Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28682 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 07/11/2019, (ud. 29/04/2019, dep. 07/11/2019), n.28682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1699-2013 proposto da:

G.S., elettivamente domiciliato in ROMA LUNGOTEVERE DEI

MILLINI 17, presso o studio dell’avvocato ORESTE CANTILLO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUGLIELMO CANTILLO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona Direttore pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 605/2011 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

SALERNO, depositata 28/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/04/2019 dal Consigliere Dott. NAPOLITANO LUCIO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 605/4/2011, depositata il 28 novembre 2011, non notificata, la CTR della Campania – sezione staccata di Salerno accolse l’appello dell’Agenzia delle Entrate nei confronti del sig. G.S., quale titolare dell’omonima ditta individuale, avverso la sentenza della CTP di Salerno, che aveva invece accolto il ricorso del contribuente avverso avviso di accertamento per IRPEF e relative addizionali, IVA ed IRAP, oltre sanzioni ed interessi, per l’anno 2005, con il quale erano stati imputati alla ditta, previa contestazione di gravi irregolarità contabili per storni, maggiori ricavi, con conseguente maggior reddito d’impresa in virtù di scostamento dagli standard dello studio di settore di riferimento.

Avverso la sentenza della CTR il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia sulla questione, riproposta dal contribuente con le controdeduzioni depositate in grado d’appello, dell’illegittimità dell’accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, basato sul solo studio di settore, che costituisce una mera elaborazione statistica.

Il ricorrente lamenta al riguardo che, sebbene sia stato espletato il contraddittorio nelle forme dell’accertamento con adesione richiesto dal contribuente, l’Amministrazione finanziaria, pur avendo convenuto con il contribuente sull’erroneità dello studio di settore applicato, svolgendo la ditta “lavori speciali di costruzione” da riportare al codice 45250 e non “costruzione di edifici” di cui al codice 45450, ignorando nel resto la documentazione allegata dal contribuente, si è limitata a proporre in maniera del tutto apodittica l’abbattimento dell’imponibile nella misura del 60% di quanto accertato e che la decisione impugnata, nel recepire detta indicazione, ha sostanzialmente omesso di pronunciarsi sull’originario motivo di ricorso del contribuente, rimasto assorbito nel contesto della decisione favorevole al contribuente emanata dal giudice di primo grado e riproposto con le controdeduzioni depositate dal contribuente in grado di appello.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.L. n. 331 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexies, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 56 e art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza impugnata legittimato un accertamento basato sul solo scostamento dei ricavi dichiarati rispetto alla media dello studio di settore di riferimento, quantunque opportunamente rettificato, una volta venuta meno, per carenza sul punto dell’effetto devolutivo dell’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria avverso la sentenza di primo grado, la contestazione delle gravi irregolarità contabili, che avrebbero giustificato l’accertamento induttivo in relazione all’art. 39, comma 2, lett. d) del D.P.R. n. 600/1973.

3. Con il terzo motivo, infine, il ricorrente lamenta ancora violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza impugnata si è appiattita sulle deduzioni svolte dall’Ufficio in sede di appello, disconoscendo la argomentazioni difensive del contribuente supportate dalla documentazione riferita al deposito del prospetto riepilogativo delle opere, forniture e servizi in corso di esecuzione, del prospetto di raccordo esemplificativo dei lavori fatturati nel 2006, iniziati ed in parte eseguiti nel 2005 e terminati nel 2006 ed al deposito del bilancio di esercizio al 31 dicembre 2005.

4. Il primo motivo va rigettato.

Premesso che lo stesso ricorrente non nega che il previo contraddittorio vi sia stato nelle forme dell’accertamento con adesione, la questione dell’incidenza, in relazione al requisito motivazionale dell’avviso di accertamento, della mancata esplicitazione delle ragioni che avrebbero determinato l’Ufficio a disattendere le argomentazioni difensive del contribuente, oggetto di censura con l’originaria impugnazione dinanzi alla CTP, non risulta, dal tenore del ricorso (pag. 6), essere stata oggetto di espressa riproposizione con le controdeduzioni in appello, non essendo sufficiente, ai fini del soddisfacimento dell’onere di riproposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, il generico richiamo del complessivo contenuto degli atti della precedente fase processuale (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 19 dicembre 2017, n. 30444; Cass. sez. 5, 27 novembre 2015, n. 24267).

5. Il secondo motivo è del pari infondato e va per l’effetto rigettato. 5.1. Non può ritenersi sussistente il dedotto giudicato interno di cui parte ricorrente lamenta la violazione da parte della pronuncia della CTR in questa sede impugnata, giudicato interno che si sarebbe formato, secondo parte ricorrente, in ordine all’insussistenza delle irregolarità contabili e finanziarie che avrebbero giustificato l’accertamento basato sui soli studi di settore.

5.2. La CTP, accogliendo il ricorso della contribuente, non esaminò dette questioni, ritenendo di accoglierne il ricorso sulla base della “ragione più liquida”, basata, come si è detto, sul rilievo relativo alla scorretta applicazione di codici riferiti al settore di attività svolta dal contribuente.

5.2.1. L’Amministrazione finanziaria ha censurato, con il ricorso in appello, la congruità del ragionamento svolto dal giudice di primo grado.

5.2.2. Sulle questioni, in quanto assorbite, sulle quali il giudice di prime cure non si era pronunciato, era dunque onere della contribuente vittoriosa in primo grado farne oggetto espresso di riproposizione con le proprie controdeduzioni in appello (cfr., tra le altre, più di recente, Cass. sez. 5, 6 giugno 2018, n. 14534).

5.2.3. Nessun giudicato interno sfavorevole all’Ufficio può pertanto ritenersi formato in punto di dedotta insussistenza, da parte del contribuente, delle gravi irregolarità contabili e finanziarie tali da giustificare l’accertamento induttivo.

6. Infine è da ritenere inammissibile il terzo motivo.

Sebbene la pronuncia impugnata pervenga in maniera anapodittica alla rideterminazione del codice di settore, riguardo all’esposizione degli elementi di fatto riguardanti lo svolgimento dell’attività del contribuente che avrebbe giustificato l’adozione di un differente codice di classificazione, l’articolazione del motivo appare carente in relazione al requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3; nè, quand’anche si ritenga che parte ricorrente abbia inteso contestare l’affermazione contenuta in sentenza in ordine alla circostanza relativa al non essere stato prodotto il bilancio di esercizio e/o la contabilità dell’anno in sede contenziosa, la censura, che avrebbe dovuto comunque essere formulata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quale applicabile, ratione temporis, al presente giudizio, è ugualmente carente in relazione al requisito di autosufficienza del ricorso per cassazione, non essendo stato indicato tempo e luogo della relativa produzione nel giudizio di merito.

7. Il ricorso del contribuente va pertanto rigettato.

8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 aprile 2019.

Depositato in cancelleria il 7 novembre 2019

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