Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28681 del 23/12/2011

Cassazione civile sez. II, 23/12/2011, (ud. 13/12/2011, dep. 23/12/2011), n.28681

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. PROTO Vincenzo – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.L.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA L. MANTEGAZZA 24, presso lo studio dell’avvocato GARDIN

LUIGI, rappresentato e difeso dall’avvocato FASANO MASSIMO;

– ricorrente –

contro

COND. (OMISSIS) IN PERSONA

DELL’AMM.RE CONDOMINIALE SIG.RA R.M. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VLE DELLE

MILIZIE 106, presso lo studio dell’avvocato VALORI GUIDO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ZOMPI’ FRANCESCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 97/2004 del TRIBUNALE SEDE DISTACCATA DI

CASARANO, depositata il 08/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2011 dal Consigliere Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA;

udito l’Avvocato Zampì Francesco difensore del controricorrente che

si riporta alle difese depositate;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.L.A. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo, emesso dal giudice di pace di Casarano, con il quale gli era stato intimato di pagare al condominio (OMISSIS) L. 2.050.000 a titolo di oneri condominiali dal 1995 al 2000.

L’opponente sosteneva l’illegittimità del decreto opposto in quanto emesso ai sensi dell’art. 63 disp. att. cod. civ. malgrado l’assenza dello stato di ripartizione previsto da detta norma quale titolo necessario per la riscossione dei contributi nella forma del giudizio monitorio. Nel merito l’opponente contestava la pretesa eccependo la nullità delle delibere assembleari poste a fondamento delle pretese del condominio.

Il condomino opposto, costituitosi, chiedeva il rigetto dell’opposizione, che veniva accolta, con sentenza in data 28 febbraio 2002, dal giudice di pace di Casarano.

Avverso tale sentenza il condominio proponeva appello, che veniva accolto, con sentenza in data 8 maggio 2004, dal Tribunale di Lecce, il quale osservava: che la sentenza impugnata era nulla perchè il giudice di pace aveva deciso la causa senza mai invitare le parti a precisare le conclusioni, così violando l’obbligo impostogli dall’art. 321 cod. proc. civ.; che, quanto al merito, l’assemblea condominiale non aveva mai deliberato di farsi luogo per il futuro ad una imputazione forfetaria e paritaria delle spese condominiali, bensì aveva deciso, anno per anno singulatim, di porre a carico di ogni condomino, a partire dalla Delib. in data 13 agosto 1984, l’obbligazione di erogare una certa somma di denaro; che A. D.l., a partire dal 1990 e fino al 1994, aveva pagato le somme desumibili dalle delibere condominiali senza eccepire alcunchè e senza contestare il criterio forfetario di riparto adottato; che tale comportamento, non occasionale e protrattosi per quattro anni, valeva a configurare l’accettazione, per fatti concludenti, del criterio medesimo derogatorio di quello legale, sussistendo sia la mancanza di contestazioni, sia l’ottemperanza spontanea ed insistita alle deliberazioni medesime.

D.L.A. ha proposto ricorso per cassazione, con quattro motivi.

Il condominio (OMISSIS) ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo D.L.A. denuncia violazione degli artt. 320-321 cod. proc. civ., sostenendo che, al contrario di quanto affermato dal tribunale, nel giudizio innanzi al giudice di pace non è previsto l’obbligo del giudice di fissare, a pena di nullità, un’apposita udienza di precisazione delle conclusioni. Secondo il ricorrente il condominio (OMISSIS) non può ritenersi pregiudicato dalla condotta dal giudice di primo grado sia perchè la stessa è conforme ad affermati principii di diritto, sia perchè nel giudizio innanzi al giudice di pace è stato rispettato il principio del contraddittorio avendo il condominio preso posizione specifica su tutto il “disputatum” senza possibilità di avanzare ulteriori istanze o richieste istruttorie.

Il motivo è infondato.

Occorre premettere che, come è pacifico nella giurisprudenza di legittimità, nel procedimento davanti al giudice di pace, la decisione della causa che non sia stata preceduta dalla precisazione delle conclusioni definitive, istruttorie e di merito, nè dal semplice invito a provvedervi rivolto dal giudice alle parti, comporta la nullità per violazione del diritto di difesa; tale nullità, peraltro, non rientrando tra quelle tassativamente previste dall’art. 354 cod. proc. civ., che impongono la rimessione della causa al giudice di primo grado, comporta che il giudice di appello, ove la questione sia ritualmente sollevata con l’atto di impugnazione, deve decidere nel merito previa rinnovazione degli atti nulli, cioè ammettendo le parti a svolgere tutte quelle attività che, in conseguenza della nullità, sono state loro precluse. Il giudice di pace, quindi, pur non essendo tenuto a fissare una udienza ad hoc per la precisazione delle conclusioni, deve pur sempre consentire alle parti tale imprescindibile attività processuale e dunque non può, a pena di nullità per violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., pronunziare sentenza subito dopo essersi riservato di provvedere sulle deduzioni delle parti, senza averle previamente invitate a precisare, nella stessa o in una successiva udienza, le rispettive conclusioni (nei sensi suddetti, tra le tante, cfr. sentenze 6 marzo 2007 n. 5096; 10 marzo 2006 n. 5225; 2 febbraio 2004 n. 1812).

A tali principi si è correttamente attenuto il tribunale.

Nel giudizio di primo grado, all’udienza del 5 febbraio 2002, il condominio opposto e il condomino opponente chiesero rispettivamente l’ammissione dei già sollecitati mezzi istruttori e la fissazione dell’udienza per la precisazione delle conclusioni. Il giudice di pace si riservò di provvedere e decise poi la causa senza fornire alcuna risposta alle richieste delle parti e senza invitare le stesse a precisare le conclusioni.

E’ pertanto evidente la violazione di quanto disposto dall’art. 321 cod. proc. civ., come ineccepibilmente rilevato dal giudice di secondo grado nella sentenza impugnata.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia difetto di motivazione su uno dei punti decisivi della controversia, deducendo che il giudice di appello, dopo avere rilevato la nullità della sentenza di primo grado, ha trattato il merito della pretesa avanzata dal condominio senza pronunciarsi in ordine al denunciato vizio circa l’irritualità del d.i. per violazione dell’art. 63 disp. att. cod. civ., norma che presuppone la necessaria esistenza di una specifica delibera assembleare di riparto delle spese. Tale presupposto è carente nella specie, non essendo mai esistito un piano di riparto da sottoporre all’approvazione dell’assemblea, la quale si è limitata a porre a carico di ciascun condomino le spese in misura uguale senza criterio di sorta e senza giustificazione degli esborsi. Il Tribunale ha sorvolato sul punto mentre avrebbe dovuto prendere atto della irritualità del decreto ingiuntivo e revocarlo per poi passare all’esame del merito.

La doglianza è fondata, ma ciò non è sufficiente alla cassazione della sentenza impugnata, in quanto la eventuale insussistenza delle condizioni per l’emissione del decreto ingiuntivo avrebbe inciso solo sulle spese della fase monitoria.

Avendo, però, il Tribunale di Lecce compensato le spese dell’intero giudizio, il ricorrente manca di interesse a denunciare l’omessa pronuncia.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 1123 cod. civ. e vizio di motivazione, sostenendo che la sentenza impugnata si fonda su una erronee rappresentazione delle carte processuali ed è viziata da errore in procedendo avendo dato per certa una circostanza di fatto (l’avere esso ricorrente tenuto un comportamento incompatibile con la volontà di contestare il criterio derogatorio di quello legale di riparto delle spese condominiali) mai ammessa ed anzi contraddetta dalle risultanze processuali. La sentenza del tribunale sarebbe altresì illogica e contraddittoria, posto che, se la deroga al criterio legale era di anno in anno deliberata, l’acquiescenza dell’attuale ricorrente non poteva avere effetti anche per gli anni successivi nei quali lo stesso criterio era stato adottato per importi diversi e per differenti interventi.

Con il quarto motivo D.L.A. denuncia violazione dell’art. 1123 cod. civ., deducendo che le delibere di ripartizione delle spese sono state assunte in contrasto con la citata norma, che richiede l’unanimità dei consensi per la deroga alle tabelle millesimali. Peraltro nella Delib. del 13 agosto 1984, come in quelle degli anni successivi, non è contenuta alcuna deroga espressa alle tabelle millesimali e non è esplicitata la volontà dei condomini presenti di derogarvi definitivamente per gli anni a venire. La radicale nullità delle dette delibere – derivante dall’art. 1421 cod. civ. – può essere eccepita senza limiti temporali e può essere rilevata di ufficio dal giudice.

I motivi, che possono essere trattati congiuntamente, non possono essere accolti, anche se va corretta la motivazione della sentenza impugnata.

Occorre, in proposito, partire dalla considerazione che sono semplicemente annullabili le delibere affette da errore nella ripartizione delle spese, mentre sono nulle solo le delibera con le quali l’assemblea operi una ripartizione delle spese deliberatamente non conforme alla legge.

Ciò, premesso, poichè lo stesso ricorrente riconosce che nelle delibere di cui si discute non era contenuta alcuna deroga espressa alle tabelle millesimali, e non era esplicitata la volontà dei condomini presenti di derogarvi definitivamente per gli anni a venire, le delibere stesse erano (in teoria) semplicemente annullabili ed avrebbero dovuto essere impugnate nei termini di cui all’art. 1137 cod. civ., non potendo, invece, la loro invalidità essere fatta valere in sede di opposizione a decreto ingiuntivo.

Il ricorso va, pertanto, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida nella complessiva somma di Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2011

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