Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28681 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 07/11/2019, (ud. 29/04/2019, dep. 07/11/2019), n.28681

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1696-2013 proposto da:

S.L., COMERCIAL PAESTUM DI E.V. & C. SNC,

E.V., elettivamente domiciliati in ROMA LUNGOTEVERE DEI

MELLINI 17, presso lo studio dell’avvocato ORESTE CANTILLO, che 1:1

rappresenta e difende unitamente l’avvocato GUGLIELMO CANTILLO;

– ricorrenti –

contro

AGEEZIA DELLE ENTRATE in persona Direttore pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso sentenza n. 409/2012 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

SALERNO, depositata il 11/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/04/2019 dal Consigliere Dott. NAPOIITANO LUCIO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 409/4/12, depositata l’11 luglio 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Campania – sezione staccata di Salerno – rigettò gli appelli principali riuniti proposti dalla società Commercia Paestum di E.V. & C. S.n.c. (di seguito la società) nonchè dai soci E.V. e S.L., nonchè l’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della CTP di Salerno, che aveva parzialmente accolto il ricorso della società avverso l’avviso di accertamento per IRES, IVA ed IRAP per l’anno 2006, con il quale erano stati accertati maggiori ricavi per Euro 113.391,00, oltre ad Euro 1.947,00 quali interessi attivi non dichiarati, essendo stati recuperati altresì a tassazione Euro 8.890,00 quali interessi passivi su mutui non inerenti ed Euro 2.874,00 per costi, del pari ritenuti dall’Ufficio non inerenti, nonchè, per quanto di ragione, i ricorsi dei soci avverso gli avvisi di accertamento loro notificati per la maggiore IRPEF dovuta per trasparenza secondo le rispettive quote di partecipazione societaria.

Il giudice di prime cure aveva, infatti, ritenuto che la percentuale di ricarico sul costo del venduto avrebbe dovuto essere calcolata secondo una percentuale del 45% in luogo di quella del 56,66% applicata dall’Ufficio.

Avverso la sentenza della CTR della Campania – sezione staccata di Salerno – la società ed i soci hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), art. 41 bis, comma 1 e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza impugnata aveva ritenuto legittimo un accertamento parziale basato unicamente su un elemento presuntivo, l’applicazione di percentuale di ricarico diversa da quella dichiarata dalla contribuente, senza che fossero neppure evidenziate le irregolarità contabili che giustificassero il ricorso ad un accertamento di tipo induttivo.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che il giudice tributario d’appello, nel confermare la pronuncia di primo grado, aveva omesso di rilevare che la stessa percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio nasceva da calcolo aritmetico i cui dati di base erano quelli esposti dalla stessa società, che però aveva contestato, ai fini della correttezza del calcolo medesimo, il riferimento anche all’annualità 2004, atteso che dal 2005 la società, che per il periodo precedente aveva svolto attività di vendita di biancheria al dettaglio, era passata al commercio all’ingrosso della stessa merce, ciò giustificando il sensibile divario tra le diverse percentuali di ricarico applicate per l’annualità 2004 e quella 2005. Avrebbe dovuto quindi la CTR, se avesse espunto dal calcolo l’annualità 2004 perchè relativa a dato non omogeneo, rilevare che le percentuali di ricarico per il triennio 2005 -2007 erano condivise dallo stesso Ufficio, sicchè nella fattispecie in esame doveva ritenersi violato il principio di non contestazione, applicabile anche nel processo tributario.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omesso esame di un motivo di appello, in relazione al quale ci si doleva che la sentenza di primo grado, nel rideterminare i ricavi non dichiarati secondo la percentuale di ricarico del 45%, sarebbe incorsa in vizio di extrapetizione.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono omessa o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella sua formulazione applicabile ratione temporis, assumendo che la conferma della decisione di primo grado riguardo all’entità della percentuale di ricarico applicata sia avvenuta in forza di motivazione manifestamente inadeguata, se non meramente apparente.

5. Con il quinto motivo, subordinatamente proposto, per il caso di mancato accoglimento dei precedenti, i ricorrenti deducono nullità della sentenza per violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per non avere previamente sottoposto al contraddittorio delle parti la questione relativa all’applicazione, nella fattispecie in esame, di percentuale di ricarico in misura difforme da quella rispettivamente richiesta dalle parti.

6. Con il sesto motivo, infine, i ricorrenti denunciano omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo anteriore alla riforma di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012, riguardo al mancato riconoscimento dell’importo di Euro 8.899,00 relativo agli interessi corrisposti per due mutui assunti dalla società ed al recupero a tassazione dell’importo di Euro 1.947,00 per interessi attivi attinenti alla giacenza media di cassa.

7. Il primo motivo è infondato.

Questa Corte (cfr. Cass. sez. 5, 28 ottobre 2015, n. 21984), ha avuto modo di affermare che “L’accertamento parziale, che è uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39 e al D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole, per cui può basarsi senza limiti anche sul metodo induttivo ed il relativo avviso può essere emesso pur in presenza di una contabilità tenuta in modo regolare”.

A detto indirizzo va assicurata ulteriore continuità.

8. Il secondo ed il quarto motivo, che possono essere congiuntamente esaminati in quanto tra loro connessi, sono invece fondati.

Affermata la legittimità in astratto dell’accertamento basato su prova presuntiva, nella fattispecie in esame tuttavia la sentenza impugnata appare viziata in relazione a ciascuno dei profili d’illegittimità indicati.

8.1. Risulta, infatti, fondata, la doglianza dei ricorrenti volta ad evidenziare come già in sè, sul piano del ragionamento inferenziale, la presunzione del conseguimento di maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati per l’anno in contestazione in virtù dell’applicazione di maggiore percentuale di ricavo da parte dell’Ufficio rispetto a quella dichiarata dalla società contribuente si ponga come conseguenza della comparazione di dati non omogenei.

Incontroversa, in fatto, la circostanza dedotta dalla società che, diversamente da quanto praticato in precedenza, a partire dal 2005 la vendita di biancheria è stata effettuata dalla società prevalentemente all’ingrosso, laddove, fino all’anno precedente, era stata svolta esclusivamente al dettaglio, risulta corretta, sul piano logico, l’estrapolazione richiesta dai ricorrenti del dato riferito al 2004 ai fini del calcolo della percentuale di ricarico sul costo del venduto.

Il sensibile scarto tra la percentuale di ricarico dichiarata dalla stessa società del 95% per il 2004 e quella del triennio successivo (pari al 38% per il 2005, al 33% per il 2006 ed al 37% per il 2007) si giustifica, infatti, in ragione del considerevole divario tra il volume di affari dichiarato nella prima annualità in cui la vendita di biancheria era svolta esclusivamente al dettaglio e le annualità successive in cui la vendita è stata svolta invece all’ingrosso.

Ne consegue che, comparando tra loro i dati effettivamente omogenei relativi al triennio 2005 – 2007 in cui la vendita è stata esercitata all’ingrosso (cfr. Cass. sez. 5, ord. 13 luglio 2018, n. 18695, in punto di erroneità dell’utilizzo del criterio aritmetico semplice per il calcolo del margine di ricarico su beni venduti tanto al dettaglio quanto all’ingrosso), la media aritmetica delle percentuali di ricarico praticate per ciascuna annualità in cui la società ha praticato vendita all’ingrosso perviene effettivamente alla percentuale del 36% indicata dalla società contribuente.

8.2. Risulta quindi fondato il secondo motivo, laddove i ricorrenti hanno dedotto la violazione del principio di non contestazione, applicabile anche nel processo tributario in relazione ai profili probatori del fatto non contestato (cfr. Cass. sez. 5, 18 maggio 2018, n. 12287; Cass. sez. 5, 6 febbraio 2015, n. 2196), perchè – una volta assunti in comparazione i dati tra loro omogenei – la percentuale di ricarico applicabile è conforme a quella dichiarata dalla società contribuente e non contestata dall’Ufficio per gli anni in cui essa ha praticato la vendita di merce all’ingrosso (tra questi, in particolare, il 2006, anno oggetto dell’accertamento per cui è causa); ed ancora è fondato il quarto motivo, nella parte in cui i ricorrenti hanno dedotto il difetto assoluto di motivazione o, comunque, motivazione insufficiente, riguardo alla conferma da parte della CTR della decisione di primo grado che aveva – secondo un non meglio precisato criterio di ragionevolezza – applicato la percentuale del 45%, dato all’incirca intermedio tra la misura percentuale di ricarico del 56,66% praticata dall’Ufficio in sede di accertamento e quella del 36% invocata dai ricorrenti, limitandosi ad affermare che la valutazione al riguardo espressa dalla CTP di Salerno fosse dotata di “senso logico ed adeguata valutazione critica”.

8.3. Il richiamo pur contenuto nella decisione impugnata alla natura del giudizio tributario come giudizio d’impugnazione – merito è idoneo a giustificare il rigetto della censura già proposta dinanzi alla CTR avverso la decisione di primo grado secondo cui è legittima la valutazione sostitutiva nel merito riguardo all’entità della pretesa impositiva, sempre che resti nel limite della pretesa esercitata dall’ufficio, ciò che è accaduto nella fattispecie in esame, di modo che alcun vizio di extrapetizione è ravvisabile, dovendo quindi essere disatteso il terzo motivo di ricorso; non legittima invece una valutazione, come quella confermativa della decisione di primo grado sul punto da parte della CTR, che prescinda da ogni riferimento ai diversi elementi di prova acquisiti agli atti del giudizio atti sorreggere sul piano logico la diversa valutazione compiuta.

9. Alla stregua delle considerazioni che precedono resta assorbito il quinto motivo di ricorso.

10. Va infine accolto il sesto motivo di ricorso.

La decisione impugnata, infatti, nella parte in cui ha confermato il disconoscimento dei costi per interessi passivi su due mutui ritenuti non inerenti ed il recupero a tassazione per Euro 1947,00 per interessi attivi attinenti alla giacenza media di cassa, non dà conto in alcun modo dei fatti addotti dai ricorrenti che, ove esaminati, avrebbero potuto determinare un esito diverso della controversia, il primo riferito all’utilizzazione del mutuo per il pagamento dei fornitori (come dalle risultanze del bilancio 2006), il secondo relativo al fatto che nel conto cassa della società refluivano anche assegni di clienti non ancora portati all’incasso.

11. Il ricorso va pertanto accolto nei termini sopra indicati e la sentenza impugnata cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania – sezione staccata di Salerno – in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alla disciplina delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini cui in motivazione.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania – sezione staccata di Salerno – in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 aprile 2019.

Depositato in cancelleria il 7 novembre 2019

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