Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28680 del 27/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 28680 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 24160-2011 proposto da:
LOLLI GABRIELLA C.F. LLLGRL37T58C901P, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ITALO CARLO FALBO 22, presso
lo studio dell’avvocato

COLUCCI ANGELO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO
MONALDI, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
3297

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. c.f. 97103880585;

– intimata –

avverso la sentenza n. 411/2010 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 27/12/2013

di ANCONA, depositata il 05/10/2010 R.G.N. 1018/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/11/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
MANNA;
udito l’Avvocato COLUCCI ANGELO;

Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

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RG. n. 24160/11
Ud. 19.11.13
Lolli c. Poste Italiane S.p.A.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 2-7.11.05 il Tribunale di Ascoli Piceno dichiarava l’inefficacia del
licenziamento intimato nei confronti di Gabriella Lolli da Poste Italiane S.p.A.
nell’ambito d’una procedura di riduzione del personale ex lege n. 223/91, con

condanna della società a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro e a pagarle le
retribuzioni maturate dal licenziamento sino all’effettiva reintegra.
Con sentenza 16.7. — 5.10.10 la Corte d’appello di Ancona, in accoglimento del
gravame interposto dalla società e in riforma della pronuncia di prime cure,
rigettava la domanda di Gabriella Lolli, che oggi ricorre per la cassazione di tale
sentenza affidandosi a quattro motivi.
Poste Italiane S.p.A. è rimasta intimata.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. – Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 342 c.p.c. nonché vizio di motivazione, per non avere la Corte territoriale
dichiarato l’inammissibilità dell’appello per difetto di specifici motivi di censura
delle argomentazioni esposte dal primo giudice, essendosi Poste Italiane S.p.A.
limitata alla mera riproposizione delle eccezioni e delle difese formulate nella
memoria di primo grado.
Con il secondo motivo ci si duole di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 415
co. 4 0 c.p.c. nonché di vizio di motivazione, nella parte in cui l’impugnata sentenza
ha respinto l’eccezione di improcedibilità dell’appello in quanto non notificato nel
termine, da ritenersi perentorio, di 10 gg. dalla data di pronuncia del decreto di
fissazione dell’udienza.
Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione per avere la gravata
pronuncia omesso di rispondere ad una ulteriore ragione di illegittimità dell’unico
criterio di scelta del personale da licenziare (quello del possesso dei requisiti per la
pensione di anzianità o di vecchiaia), consistente nell’inidoneità di tale criterio a
rispettare il limite di messa in mobilità della manodopera femminile, che non può
essere superiore alla percentuale di quella occupata. Inoltre, la Corte territoriale ha
omesso di valutare il numero delle cessazioni di rapporti lavorativi intervenute dal
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RG. n. 24160/11
Ud. 19.11.13
Lo/li c. Poste Italiane S.p.A.

1°.5.01 (data di computo del numero degli esuberi di cui all’art. 2 della
comunicazione del 25.6.01 con cui si era avviata la procedura di mobilità) fino al
31.12.01.
Con il quarto motivo si prospetta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 4 e 5

legge n. 223/91, nonché vizio di motivazione, nella parte in cui l’impugnata
sentenza ha trascurato che l’unico criterio di scelta dei lavoratori da licenziare,
quello del possesso dei requisiti per la pensione di anzianità o di vecchiaia, non ha
alcuna correlazione con gli esuberi individuati nell’allegato 2 della comunicazione
di avvio della procedura di mobilità, mentre i criteri di scelta non possono
prescindere dalle esigenze tecniche, organizzative e produttive. Per altro, la Lolli
non possedeva i requisiti minimi per la pensione e comunque in nessun documento
era indicato il numero dei lavoratori che alle date del 31.12.01 e del 31.3.02
avrebbero acquisito il diritto alla pensione di anzianità o di vecchiaia, ben potendo
in teoria essere anche superiore alle 9.000 unità previste in esubero.

2.1. – Il primo motivo è infondato.
Si premetta che con sentenza 22.5.12 n. 8077 le Sezioni Unite di questa Corte
Suprema, risolvendo un conflitto di giurisprudenza, hanno statuito che, quando col
ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del
procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di
un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal
legislatore (tale vizio può riguardare, fra gli altri, anche l’atto d’appello), il giudice
di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e
della logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione,
ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali
il ricorso si fonda.
Ritenendo di dover dare continuità a tale orientamento questa S.C. ha verificato
direttamente l’atto d’appello a suo tempo avanzato da Poste Italiane S.p.A. (allegato
al ricorso per cassazione di Gabriella Lolli), per giungere alla conclusione che esso
contiene specifiche censure all’impianto argomentativo della sentenza di primo
grado, di guisa che non presenta il vizio denunciato sub specie art. 342 c.p.c.
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Ud. 19.11.13
Lolli c. Poste Italiane S.p.A.

2.2. – Anche il secondo motivo è infondato.
Invero, come questa S.C. ha già avuto modo di puntualizzare più volte (da ultimo
v. Cass. 12.4.2011 n. 8411; Cass. 30.12.2010 n. 26489; Cass. 15.10.2010 n. 21358),

nel rito del lavoro il termine di dieci giorni, entro il quale l’appellante deve, ex art.
435 co. 2° c.p.c., notificare all’appellato il ricorso (tempestivamente depositato in
cancelleria nel termine previsto per l’impugnazione) e il conseguente decreto di
fissazione dell’udienza di discussione, non ha carattere perentorio (e, dunque, la sua
inosservanza non produce conseguenze pregiudizievoli per l’appellante), non
incidendo su alcun interesse di ordine pubblico processuale o su di un interesse
dell’appellato. Ciò che importa è che risulti integro (come nel caso di specie) il
termine che, ai sensi dei commi 3° e 4° dello stesso art. 435 c.p.c., deve intercorrere
tra il giorno della notifica e quello dell’udienza di discussione.
Il contrario assunto della ricorrente si base sull’erronea interpretazione d’un obiter
dictum della sentenza 30.7.08 n. 20604 delle S.U. di questa S.C. e trascura che
proprio il riferimento all’art. 111 Cost. e al relativo principio della ragionevole
durata del processo, che aveva costituito l’asse portante della motivazione di tale
arrét, non viene in rilievo riguardo al termine di 10 giorni di cui al comma 2°
dell’art. 435 c.p.c., giacché il suo mancato rispetto, di per sé, non determina
prolungamento dei tempi di causa o violazione del termine a comparire previsto in
favore dell’appellato dal successivo comma 3°.

2.3. – Il quarto motivo è fondato nei sensi appresso chiariti, il che assorbe la
disamina della terza censura fatta valere dalla ricorrente.
Come questa S.C. ha già ripetutamente statuito con indirizzo da confermarsi
anche in questa sede (cfr., ex aliis, Cass. n. 10424/12; Cass. n. 1938/11; Cass. n.
21541/06; Cass. n. 12781/03), nell’accordo sindacale raggiunto nel quadro d’una
procedura ex lege n. 223/91 può anche pattuirsi, come unico criterio di scelta,
quello della prossimità al pensionamento o del possesso dei requisiti pensionistici
dei lavoratori da licenziare, purché nella pratica applicazione di tale criterio non
residuino margini di discrezionalità di scelta in favore del datore di lavoro.
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Diversamente, ove cioè in concreto tale criterio non consenta di per sé l’esauriente
e oggettiva selezione dei lavoratori destinatari del licenziamento, esso risulta
illegittimo se non combinato con un ulteriore parametro di selezione interna.
Dunque, per verificare che il criterio in questione non si risolvesse

nell’attribuzione di non consentiti margini di discrezionalità per la società oggi
intimata, l’impugnata sentenza avrebbe dovuto verificare in concreto — il che non ha
fatto – se il numero di lavoratori in possesso dei requisiti per la pensione di anzianità
o di vecchiaia era inferiore, pari o superiore al numero complessivo degli esuberi
previsti: è chiaro che in tale ultima evenienza, essendo la platea dei lavoratori
potenzialmente licenziabili (alla stregua del criterio prescelto in sede di accordo
sindacale) superiore al numero degli esuberi, in assenza di ulteriori criteri (che,
appunto, non risultano essere stati previsti nella vicenda in esame) il datore di
lavoro non può che operare una selezione necessariamente implicante l’uso di non
consentite valutazioni discrezionali.

3.1. – In conclusione, si rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso, si accoglie
il quarto nei sensi di cui in motivazione, si dichiara assorbito il terzo e si cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese,
alla Corte d’appello di Perugia, che dovrà accertare se il numero di lavoratori in
possesso dei requisiti per la pensione di anzianità o di vecchiaia era inferiore, pari o
superiore al numero complessivo degli esuberi previsti.
Ove da tale accertamento risulti un numero di lavoratori in possesso dei requisiti
per la pensione di anzianità o di vecchiaia superiore al preventivato numero di
esuberi, il giudice del rinvio dovrà decidere la controversia applicando il seguente
principio di diritto:
“In tema di licenziamenti collettivi ex lege n. 223/91, il criterio di scelta adottato
nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali per
l’individuazione dei destinatari del licenziamento può anche essere unico e
consistere nella prossimità al pensionamento, purché esso permetta di formare una
graduatoria rigida e possa essere applicato e controllato senza alcun margine di
discrezionalità da parte del datore di lavoro”.
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Ud. 19.11.13
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P.Q.M.
La Corte
rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso, accoglie il quarto nei sensi di cui in

motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Perugia.
Così deciso in Roma, in data 19.11.13.

motivazione, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al

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