Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28674 del 23/12/2011

Cassazione civile sez. II, 23/12/2011, (ud. 07/12/2011, dep. 23/12/2011), n.28674

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.V. (OMISSIS), P.C.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A GALLONIO

18, presso lo studio dell’avvocato FREDIANI MARCELLO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BREVIGLIERI GAETANO;

– ricorrenti –

contro

PA.AN.RO. (OMISSIS), PA.FO.

(OMISSIS), B.A. (OMISSIS), P.

M.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA NICOLO’ PICCOLOMINI 34, presso lo studio dell’avvocato

VIOLA MARIA LETIZIA, rappresentati e difesi dall’avvocato GHEZZI

UMBERTO;

– controricorrenti –

e contro

A.P. in proprio e nella qualità di erede di V.

F. – V.F., D.O. nella qualità di

erede di D.P.E., V.G., V.L.,

V.B. in qualità di coerede di V.F. –

V.F., D.P.V. nella qualità di erede di

M.D.M. e sua volta erede di D.P.E.,

M.D.F., M.D.F.B.,

M.D.L. questi ultimi tre coeredi di M.D.

M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 442/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/12/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;

udito l’Avvocato Angelina PASQUALI, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato FREDIANI Marcello difensore dei ricorrenti che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del dicembre 1985 E. e B.A. convennero al giudizio del Tribunale di Crema A.P., V.F., M.V. e P.C., al fine di sentirsi dichiarare proprietarie,per la quota indivisa di 1/2, degli immobili siti in quel Comune, censiti in catasto con i mappali 317/1 e 325 (ex mappale 603/A) del foglio 13, al riguardo deducendo:

a) che detti immobili, ancorchè formalmente intestati al V. ed alla A., avevano formato oggetto di una convenzione, con scrittura privata del 16.7.1960, tra costoro e R.P., dante causa di esse istanti, in virtù della quale gli stessi, unitamente ad altri beni intestati quest’ultima, sarebbero rimasti indivisi tra gli stipulanti, in misura di un 1/2 per i coniugi A. – V. e di 1/2 per la R.; b) che tuttavia la A. aveva,con due distinti atti dell’11.3.61 e del 27.4.64, di cui deduceva l’inefficacia, tra l’altro e senza il consenso degli altri comproprietari, venduto i due mappali suddetti, di cui era solo comproprietaria, ancorchè formale intestataria, a tale D.P. E.; c) che quest’ultima, con successivo atto del 4.7.79, di cui deduceva la nullità in quanto stipulato a non domina, aveva venduto ai M. – P., un compendio immobiliare comprensivo di tali mappali.

Si costituivano i convenuti, aderendo gli A. – V. alla domanda attrice e contestandola i M. – P., comunque opponendo l’usucapione decennale dei beni. Il contraddittorio veniva esteso, a seguito di chiamata in garanzia da parte dei M. – P., nei confronti di D.P.E., che, costituitasi, contestò le domande attrici, tra l’altro e segnatamente eccependone il difetto di legittimazione attiva e chiedendo, in via riconvenzionale, accertarsi l’usucapione da lei maturata ex artt. 1159 o 1159 bis c.c. sui beni in questione.

Con sentenza del 19.10.90 l’adito tribunale rigettò la domanda attrice per carenza di legittimazione attiva e quella adesiva dei convenuti A. – V., ritenendo assorbite le altre questioni.

Tale decisione venne confermata, rigettandosi l’appello principale delle B. con assorbimento dell’incidentale della D.P., dalla Corte di Brescia con sentenza del 20.4.94, che tuttavia, a seguito del ricorso per cassazione delle prime con sentenza n. 9981/96 di questa S.C. fu cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, ritenendosi fondati il primo e terzo motivo (con assorbimento del secondo e del ricorso incidentale condizionato della D. P.), con i quali era stata censurata l’affermazione della corte di merito, secondo cui le attrici difettavano di legittimazione attiva in ordine alla domanda diretta a far accertare che V. M. e P.C. non erano diventati proprietari degli appezzamenti contesi, a seguito della vendita in loro favore da parte di D.P.E., in quanto tali appezzamenti non erano stati inseriti nella vendita da A.P. ad D.P.E..

Considerava al riguardo questa Corte che “i mappali 317/1 e 325, i quali in base ai registri immobiliari risultavano di proprietà esclusiva di A.P. al momento in cui quest’ultima li trasferì ad D.P.E., non furono poi inseriti nella vendita da quest’ultima a M.V. e P.C., per cui la trascrizione di tale secondo atto poteva servire ai fini della eventuale usucapione abbreviatata non sanare un eventuale acquisto a non domino. In tale situazione concludeva la Corte – “appare evidente l’errore in cui sono incorsi i giudici di secondo grado nel ritenere che le attuali ricorrenti non erano legittimate a far valere il loro asserito diritto di comproprietà sui beni che pacificamente erano stati acquistati a non domino da parte di M.V. e P.C.. Esse ricorrenti, infatti facendo valere il loro diritto di comproprietà sui mappali 317/1 e 325 in base alla scrittura privata 16 luglio 1960, avevano esperito una azione di revindica nei confronti di semplici possessori di immobili, che, in considerazione della inefficacia del loro atto di acquisto non potevano opporre una serie continua di trascrizioni.

Riassunto da B.A. e dagli eredi di B.E. (nelle more defunta), Fo., An., Ro. e P. M.V., costituitisi i M. – P. e la D. P., contumaci i V. – A., dopo due interruzioni e conseguenti riassunzioni (la prima, per il decesso della D.P., i cui eredi, collettivamente ed impersonalmente citati, non si costituivano, la seconda per quello di un difensore dei M. – P., che si ricostituivano), sulle opposte iniziali posizioni, confermate nelle rispettive conclusioni delle parti ancora costituite, la Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 15.6.04, pubblicata il 17.2.05, in riforma di quella appellata: 1) accoglieva le domande attrici, dichiarando: a) l’inesistenza di un trasferimento della proprietà dei beni in contestazione; b) l’inefficacia del contratto di vendita 4.7.79 intercorso fra la D.P. ed i coniugi M. – P. avente ad oggetto” detti beni; c) ” la validità ed efficacia fra le parti attrici in riassunzione ed i coniugi V. – A. del negozio di mero accertamento datato 16.7.1960″; 2) rigettava la domanda di rivendica degli attori; 3) dichiarava inammissibile la domanda di usucapione della D.P.;

4) rigettava le analoghe domande ex artt. 1159 e 1159 bis c.c. dei convenuti M. – P.; 5) compensava interamente tra le parti le spese di tutti i gradi del processo. Tale sentenza è stata impugnata dai M. e dalla P. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Hanno resistito B.A. e gli eredi di B.E. con controricorso. Non hanno svolto attività difensiva i rimanenti intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 81 c.p.c.,censurandosi l’omesso rilievo da parte del giudice di rinvio della sopravvenuta carenza d’interesse ad agire dei B. – Pa., in relazione alla seconda domanda volta a far dichiarare l’inefficacia dell’atto notarile di acquisto dei mappali in contestazione intervenuto fra terze persone, D.P.E. ed i M. – P., competendo la relativa azione alla sola A., che tuttavia nulla aveva chiesto per sè ed aveva lasciato passare in giudicato la sentenza di primo grado, che aveva respinto anche la sua domanda.

Il motivo va disatteso per ragioni analoghe a quelle che hanno indotto questa Corte a cassare la precedente decisione di merito, con la quale si era ritenuta la carenza di legittimazione attiva degli attori a far accertare che i M. – P. non erano divenuti proprietari dei mappali in contestazione.

L’affermazione, ormai costituente giudicato intermedi tale legittimazione si riverbera sull’altra condizione preliminare dell’azione, l’interesse ad agire, che va valutato ai sensi dell’art. 100 c.p.c., alla stregua degli effetti favorevoli ai proponenti della pronunzia da loro richiesta, tendente alla negazione della proprietà, in capo ai suddetti convenuti, di beni in relazione ai quali essi attori hanno avanzato a loro volta non solo la pretesa rivendicativa, che i giudici di rinvio hanno ritenuto di non dovere accogliere, ma anche quella di una pronunzia dichiarativa, invece accolta, concernente il negozio di accertamento del 1960 ad oggetto dei diritti sui beni stessi.

Con il secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 in rel. agli artt. 1470 e 1537 c.c., ed all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, censurandosi l’interpretazione sia dell’atto pubblico in data 27.4.1964, sia della scrittura dell’11.7.61, la cui “valutazione frettolosa e superficiale” avrebbe condotto la corte di merito all’erronea dichiarazione di inesistenza di un trasferimento dalla A. alla D.P. dei mappali in contestazione, per effetto, segnatamente, dell’inosservanza dei canoni ermeneutici imponenti la ricerca dell’effettiva intenzione dei contraenti, senza limitarsi al senso letterale delle parole e valutando il comportamento complessivo delle parti anche posteriore al contratto, indagine che avrebbe consentito di accertare come i due mappali, di complessiva estensione corrispondente a quella indicata nel citato atto pubblico, avrebbero costituito “una cascina con portico materialmente unita ad una palazzina di pregio” e “l’unico accesso all’intera proprietà”.

A sostegno di tale assunto vengono esposti alcuni richiami all’asserito contenuto dell’atto, che tuttavia non viene riportato nella sua integrità o, quanto meno, trascrivendone i brani salienti funzionali alla tesi sostenuta, nonchè riferimenti alle risultanze del vecchio e del nuovo catasto, dal quale ultimo si dovrebbe desumere una differenza per difetto della indicata “misura del compravenduto” di mq. 280,inferiore “a quella effettiva e reale dell’area compravenduta” esattamente corrispondente alla complessiva superficie interessata dalla cascina con portico e dai locali rustici.

Si deduce, ancora, che il comportamento delle parti, nessuna delle quali avrebbe contestato che la D.P. avesse ricevuto dalla A. la complessiva superficie di mq. 1385, comprensiva della cascina con portico e dei locali rustici, e poi occupato, ristrutturato ed abitato per oltre 15 anni gli immobili, e la stessa inerzia processuale della cedente, avrebbero confermato la tesi esposta.

Il motivo è inammissibile, poichè si risolve nel tentativo di rimettere in discussione, sulla scorta di palesi censure in fatto, difettanti anche di autosufficienza, una questione, quella dell’insussistenza di tale trasferimento, coperta da giudicato interno, in quanto costituente antecedente di fatto e presupposto logico – giuridico ormai inconfutabile della decisione di legittimità, nella cui motivazione è dato leggere che l’affermata legittimazione delle ricorrenti a far valer il loro asserito diritto di comproprietà atteneva a “beni che pacificamente erano stati acquistati a non domino da parte di M.V. e P. C.”, vale a dire nei confronti di “semplici possessori di immobili, che, in considerazione della inefficacia del loro atto di acquisto, non potevano opporre una serie continua di trascrizioni” (v. pag. 9 della sentenza di legittimità).

Tale inefficacia costituiva conseguenza, come correttamente evidenziato nella impugnata sentenza, della circostanza che il precedente il trasferimento A. – D.P., come già affermato dalla Corte di Brescia nella precedente decisione di appello, sul punto non impugnata, non contemplava le due particelle in questionerà anzi implicitamente le escludeva (essendo le stesse indicate quali fondi confinanti con quello compravenduto); dato quest’ultimo che ha poi consentito ai giudici di legittimità di rilevare come la mancanza di una continuità di trascrizioni impedisse ai possessori, odierni ricorrenti, di poter accampare la proprietà sui beni in questione.

In sostanza, dunque, le pur corrette e articolate argomentazioni, sulla scorta delle quali la Corte di Milano è pervenuta alla conclusione che il trasferimento di proprietà A. – P. non contemplasse anche i mappali de quibus, ancorchè materialmente appresi dagli odierni ricorrenti, risultano incensurabili, ancor prima che per la loro natura di accertamento di merito adeguatamente motivato, per la radicale considerazione che le stesse hanno portato all’emersione di un giudicato interno sul punto.

Con il terzo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1159 c.c. Si censura anzitutto l’affermazione della corte secondo cui la compravendita A. – D.P. non avrebbe integrato un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà dei beni, non essendo gli stessi oggetto del trasferimento, ma venendo soltanto indicati come confini della res compravenduta, con conseguente esclusione della buona fede dell’acquirente. Tale argomentazione viene criticata anche per aver desuntola eventuali errori o imprecisioni contenute nell’atto, la malafede della D.P., atteso che la medesima avrebbe inteso semplicemente comprare tutta la proprietà della A. costituita dalla cascina con portico,dai locali rustici e dai cortili, che di fatto misurava complessivi mq. 1365 e che dopo l’atto aveva ricevuto in consegna; sicchè, avendo quest’ultima o regolarmente acquistato detti beni o, comunque e successivamente, usucapito gli stessi li avrebbe poi validamente trasferiti ai M. – P.. Si soggiunge che comunque questi ultimi, avendo ricevuto a loro volta ed in buona fede i beni in questione, in base ad un titolo astrattamente idoneo a trasferirli, corredato dalla relativa “piantina” descrittiva, dopo essere stati anche rassicurati dal notaio rogante sulla relativa provenienza, e posseduto gli stessi fino alla data di inizio del giudizio, cumulando il loro possesso con quello della A., ne avrebbero maturato l’usucapione abbreviata. Per di più, non essendovi stata, a seguito della costituzione in giudizio della A., alcuna rivendicazione dei beni medesimi da parte di quest’ultima, sarebbe anche maturata l’usucapione ordinaria, non essendosi verificata alcuna interruzione del possesso. Il mezzo d’impugnazione non merita miglior sorte dei precedenti. Ribadita, per quanto attiene alla tesi dell’inclusione delle due particelle nella vendita A. – D.P., la preclusione, in precedenza evidenziata, derivante dal giudicato interno, è sufficiente osservare, quanto alle censure attinenti alla non accolta domanda riconvenzionale ex art. 1159 c.c., che l’accertamento, altrettanto inconfutabile, secondo cui l’atto in questione non contemplava, ma anzi implicitamente escludeva le stesse dal trasferimento, ostava all’idoneità, sia pur astratta, del titolo, indipendentemente dall’appartenenza o meno dei mappali all’alienante e dall’elemento psicologico dell’acquirente, a dar luogo alla particolare fattispecie acquisitiva invocata, esigente che il non dominus espressamente dichiari di alienare il bene che ne forma oggetto; ne consegue che il solo possesso dello stesso, comunque conseguito dalla D.P. e protrattosi oltre il decennio, non avrebbe potuto comportare l’acquisto della relativa proprietà e la conseguente possibilità di trasferirlo ai M. – P..

Altrettanto correttamente la corte milanese ha escluso che questi ultimi potessero aver acquisito ex art. 1159 c.c. la proprietà dei mappali in questione, non potendo gli stessi (che all’epoca della domanda non li avevano ancora posseduto per oltre un decennio) a tal fine cumulare il proprio possesso con quello precedentemente esercitato dalla D.P., considerato che solo quello esercitato a partire dalla data di trascrizione del titolo astrattamente idoneo al trasferimento è, per espressa previsione normativa, a tali effetti rilevante; sicchè poco o punto o rileva la buona o mala fede al riguardo.

Quanto, infine, all’ultima doglianza, attinente alla non dichiarata usucapione ordinaria, trattasi di censura inammissibile, in quanto attinente a domanda non proposta dagli odierni ricorrenti, ma solo dalla D.P., in sede di giudizio di rinvio, nè comunque proponibile (attesa la natura “chiusa ” del giudizio de quo), considerato che nei precedenti gradi di merito le domande riconvenzionali erano state formulate soltanto con riferimento agli artt. 1159 e 1159 bis c.c.; rilievo che ha correttamente indotto la corte milanese a dichiarare inammissibile la nuova domanda, peraltro rilevandone anche il difetto di legittimazione, della suddetta proponente. Il ricorso va conclusivamente respinto. Le spese, infine, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese processuali in favore dei resistenti,che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2011

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