Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28672 del 27/12/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 28672 Anno 2013
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: FORTE FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25968 del Ruolo Generale degli affari
civili dell’anno 2008 proposto:
DA
COMUNE DI S. GIORGIO A LIRI (FR),

in persona del sindaco p.t.,

autorizzato a stare in giudizio da delibera della G.M. n. 105
dell’il ottobre 2008 ed elettivamente domiciliato in Roma alla
Via Gradisca n. 7, presso l’avv. Andrea Barletta, rappresentato
e difeso dall’avv. Enrico De Magistris, per procura in calce al
ricorso notificato il 28 ottobre 2008.
_

RICORRENTE

Data pubblicazione: 27/12/2013

CONTRO
GIUSEPPINA

e

TRIESTE DI CICCO,

già nel giudizio di appello

elettivamente domiciliate in Roma alla Via Grazioli Lante n.
16, presso l’avv. Fabrizio Schiavone e rappresentate e difese
dall’avv. Mario Pica.
INTIMATE IN CASSAZIONE

del 5 – 30 luglio 2007. Udita, all’udienza del 26 novembre 2013,
la relazione del Cons. dr. Fabrizio Forte. Udito l’avv. Enrico
De Magistris per il ricorrente e il P.M., in persona del
sostituto procuratore generale dr. Aurelio Golia, che conclude
per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
Giuseppina Di Cicco e Trieste Di Cicco, comproprietarie di un
terreno in Comune di S. Giorgio a Liri (FR), in N.C.T. a F. l,
P.le 338 e 648, oggetto dì procedimento ablatorìo per realizzare
un sottopassaggio nella strada statale n. 630 e occupato a tal
fine dal predetto ente locale, per realizzare tale opera
pubblica, convenivano in giudizio detto comune dinanzi al
Tribunale di Cassino, per chiedere la condanna del convenuto al
risarcimento del danno per la perdita della loro proprietà
cagionata dalla illecita occupazione del comune.
Il Tribunale dì Cassino, con sentenza non definitiva del 23
maggio 2002, condannava l’ente locale convenuto al risarcimento
del danno, dopo averne dichiarato la contumacia per mancata
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avverso la sentenza della Corte dì appello di Roma n. 3394/07

produzione della delibera del consiglio comunale che autorizzava
il sindaco ad agire e a resistere in giudizio.
All’esito del deposito della relazione del c.t.u., il Tribunale
di Cassino, con sentenza definitiva del 5 dicembre 2003,
liquidava il chiesto risarcimento in C 14.056,37, oltre
rivalutazione e interessi dal febbraio 1990, ponendo le spese di

Il Comune di S. Giorgio a Liri proponeva quindi appello avverso
le indicate sentenze, non definitiva e definitiva, lamentando
l’errore del c.t.u., per il quale la condanna di primo grado si
era fondata su una occupazione di mq. 737, invece che di mq. 469
e la pronuncia aveva attribuito al terreno un valore eccessivo
di ben £ 10.000 a mq.
Con il gravame, l’ente locale censurava la decisione anche per
• la parte in cui aveva ritenuto, ai sensi dell’art. 40 della
legge n. 2359 del 865, che l’occupazione parziale attuata dall’
espropriante avesse comportato una perdita di valore dell’80%
dell’aree rimaste alle Di Cicco e chiedeva quindi il rinnovo
delle operazioni di consulenza.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 30 luglio 2007, ha
dichiarato inammissibile il gravame, per avere la difesa dell’
ente locale omesso di depositare la delibera di autorizzazione a
impugnare la sentenza di primo grado e a stare in giudizio nella
fase di appello, pur avendola richiamata nella procura in calce
all’impugnativa dopo che, con sentenza non definitiva, tale

causa a carico dell’ente locale convenuto.

mancanza s’era già rilevata senza che si regolarizzasse la
posizione del comune, ai sensi dell’art. 182 c.p.c..
Ad avviso della Corte romana, doveva dichiararsi l’appello
inammissibile, non essendo possibile la sanatoria della carente
legittimazione processuale dell’ente locale, se non nella fase
istruttoria e prima del passaggio in decisione della causa nel

La stessa pronuncia, in relazione alle ragioni della decisione e
in rapporto alla vicenda oggetto di causa, riteneva corretta la
integrale compensazione delle spese del grado di appello.
Per la cassazione della sentenza che precede, il Comune di S.
Giorgio a Liri ha proposto ricorso di cinque motivi notificato
il 28 ottobre 2008, cui non resistono le intimate Di Cicco che
non si difendono in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1.11 primo motivo di ricorso del Comune di S. Giorgio a Liri
deduce violazione dell’art. 50 del D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 257
(da ora T.U.E.L.: Testo Unico Enti Locali), in relazione all’
art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello
dichiarato inammissibile il gravame del detto ente locale, in
ragione del mancato deposito da quest’ultimo della delibera – di
giunta o del consiglio – che autorizzava il sindaco a stare in
giudizio, dopo averla espressamente “richiamata nella procura in
calce all’atto di appello”.
Deduce l’appellante che l’art. 50 del T.U.E.L. non impone ormai
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solo primo grado del giudizio.

la necessità di produrre tale delibera, spettando al sindaco la
rappresentanza organica del comune e traendo egli detto potere
direttamente dal corpo elettorale che lo elegge (nello stesso
senso, S.U. 16 giugno 2005 m. 12868).
Il quesito conclusivo del primo motivo di ricorso chiede a
questa Corte, se ricorra o meno la violazione dell’art. 50,

rappresentante processuale del comune e se sia necessaria una
delibera di autorizzazione ad agire, quando il sindaco proceda
ad appellare una sentenza di primo grado.
1.2. In secondo luogo si lamenta violazione degli artt. 75 e 83
c.p.c. e dell’art. 5, comma 2 del T.U_E.L. in relazione all’art.
360, comma 1 ° , n. 3, c.p.c., avendo la Corte d’appello rilevato
il mancato deposito della delibera di autorizzazione a stare in
giudizio prodotta in primo grado, a seguito del sollecito a
provvedere nei sensi indicati contenuto nella sentenza non
definitivaAW_
Afferma il comune ricorrente che, dalla sentenza definitiva di
primo grado, risultava inserita nel fascicolo di parte la copia
della delibera della G.M. n. 142 del 16 ottobre 1999, che
autorizzava l’ente locale a costituirsi e conferiva al difensore
il patrocinio legale e che tale provvedimento consentiva anche
di proporre appello contro la decisione di primo grado (si cita
in ricorso nello stesso senso Cass. 26 settembre 2006 n. 20820).
Pertanto era irrilevante per il comune ricorrente il deposito
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comma 2, del T.U.E.L., quando il sindaco si qualifichi

della delibera della giunta n. 66 dell’il maggio 2004, relativa
alla legittimazione a proporre il gravame già prevista nel
precedente provvedimento amministrativo autorizzatorio dell’ente
locale del 1999, dal quale risultava chiaro l’interesse a
impugnare la decisione in caso fossero disattese le richieste
dell’ente locale in primo grado.

la delibera che autorizza il sindaco ad agire in giudizio,
resistendo all’avversa domanda proposta in primo grado, estende
implicitamente i suoi effetti alla proposizione dell’appello
avverso la sentenza di primo grado, in caso di esito negativo
della controversia.
1.3. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt.
75 e 182 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1 ° , n. 3,
c.p.c., per aver dichiarato la Corte di merito la
inammissibilità dell’appello, per la “mancata produzione da
parte del legale rappresentante dell’ente territoriale” d’una
delibera di autorizzazione adottata in precedenza, quale era
quella della G.M. dell’il maggio 2004 n. 66 e l’altra precedente
del 1999 sopra richiamata.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta quindi la
violazione dell’art. 182 c.p.c., per non avere la Corte di
appello, ai sensi di tale norma, rimesso in termine il Comune
di S. Giorgio a Liri, per una rituale costituzione in giudizio e
per il rilascio delle eventuali delibere autorizzative per la
6

Il quesito finale del motivo chiede alla Corte di affermare che

presente causa.
Nel caso non si trattava di consentire il rilascio di una
autorizzazione mancante ma solo di produrre un documento
integrativo di altro ritualmente prodotto, cioè la procura, e
nella stessa richiamato espressamente.
Il quesito conclusivo del motivo di ricorso chiede di affermare

merito disposto la rimessione in termini per la produzione della
documentazione legittimante l’ente locale alla proposizione del
gravame, dichiarando quest’ultimo precluso.
1.5. Si censura infine la sentenza ai sensi dell’art. 360 n. 5
c.p.c. per avere la Corte di merito riscontrato che, nella
procura in calce all’atto di appello, era richiamata la delibera
che autorizzava al gravame, con la conseguenza che il non averne
la Corte d’appello disposto la produzione, in difetto di ogni
motivazione, rendeva la sentenza impugnata illegittima e da
cassare, per avere affermato la preclusione dell’appello.
2.1. L’art. 50 del T.U.E.L. sancisce, al 2 ° comma, che il
sindaco rappresenta il comune e di regola l’autorizzazione della
giunta municipale allo stesso a presentare una domanda o a
resistere in giudizio che, secondo quanto incontestatamente
dedotto dal ricorrente esisteva già nel primo grado, abilita
tale organo dell’ente locale implicitamente a proporre
l’appello,

per estendersi di regola all’intero processo

l’autorizzazione che legittima l’organo a stare in causa per
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la violazione dell’art. 182 c.p.c. per non avere la Corte di

l’ente che rappresenta (cfr. in tal senso Cass. 6 febbraio 2012
n. 2210, 16 febbraio 2012 n. 2219 e 9 marzo 2012 n. 4556).
La costituzione in primo grado del sindaco non ancora abilitato
ad agire, nel caso era stata sanata in corso di causa, pur in
una fattispecie di difetto originario dell’autorizzazione, che
però risultava depositata in atti dal ricorso stesso con

Anzi, nella fattispecie, dal ricorso emerge pure l’esistenza di
una seconda autorizzazione all’appello, la n. 66 del 2004, non
prodotta con il gravame, che avrebbe comunque legittimato il
sindaco a conferire la procura per la impugnazione del comune e
che era da presumersi in atti.
La presenza di tale seconda autorizzazione, richiamata nella
procura al difensore per il gravame, in cui si citava pure la
delibera che già nel 1999 aveva autorizzato una prima volta il
sindaco al giudizio e che risultava inserita nel fascicolo di
parte all’esito della sollecitazione in tal senso contenuta
nella sentenza non definitiva di primo grado, non consente di
escludere che l’atto esistesse e che la sua presenza era stata
rilevata nella sentenza definitiva del Tribunale che, con la
condanna, aveva revocato la dichiarazione di contumacia del
convenuto ente locale, perché nel suo fascicolo di parte, aveva
rilevato l’inserimento dell’atto amministrativo autorizzativo a
resistere in causa, cioè della delibera della G.M. del 16
ottobre 1999 n. 142.
8

attestazione non contestata dalle altre parti.

E’ allora chiaro che il fascicolo di parte di primo grado,
ritirato dal comune dopo la rimessione della causa al collegio
per la decisione, ai sensi dell’art. 169 c.p.c. ovvero su
autorizzazione del giudice, ai sensi dell’art. 77 disp att.
c.p.c., e che non risultava in atti al momento della decisione
di appello, non esclude che da tale pronuncia risulta comunque

maggio 2004 n. 66 a stare in giudizio, ai sensi dell’art. 50 del
T.U.E.L., per cui, anche in ragione dell’efficacia nel tempo di
tale provvedimento dell’organo di governo del comune e
dell’effetto eventualmente sanante della carente legittimazione
precedente del sindaco (così con le sentenze sopra citate anche
Cass. 5 aprile 2006 n.7879), è da cassare la sentenza oggetto di
ricorso che ha rilevato la inammissibilità del gravame per
difetto di legittimazione ad agire dell’ente locale invece che
invitare le parti a produrre tale documento la cui produzione
risultava implicita da sentenza passata in giudicato; nei limiti
ora detti il primo motivo di ricorso deve quindi accogliersi.
2.2. In tale contesto risulta chiaro che della delibera di
autorizzazione a stare in giudizio o a proporre il gravame in
appello, pur se non risultava avvenuto il rituale deposito o la
produzione nel fascicolo di parte dell’ente locale appellante,
emergeva certa l’esistenza
i dopo che con la sentenza non
definitiva di primo grado se ne era sollecitato il deposito e
con quella .4~ definitiva non risultava negata la esistenza in
9

l’esistenza della successiva autorizzazione giuntale dell’il

atti del documento autorizzatorio.
Pertanto, la Corte di merito doveva presumere la produzione in
atti dell’autorizzazione della G.M. o del consiglio comunale al
sindaco per stare in giudizio, con efficacia estesa anche al
diritto ad impugnare, come dedotto con il secondo motivo di
ricorso, che è anche esso fondato e da accogliere.

in giudizio, necessaria perché il sindaco potesse rappresentare
il comune in ogni stato e grado del processo, nella fattispecie,
e che la stessa era in atti alla data della sentenza di secondo
grado,

comporta che la Corte d’appello che, nella sua

discrezionalità e come era nei suoi poteri, avrebbe potuto
rimettere

in

termini

l’ente

locale

per

produrre

le

autorizzazioni di cui sopra, ha errato nell’escludere che le
stesse fossero prodotte in atti, in considerazione della
condotta processuale del Comune di San Giorgio a Liri, che in
primo grado era incorso in analoga omissione come emergeva dalla
pronuncia non definitiva, avendo sanato però la mancata
produzione che precede come rilevato con il silenzio sul punto
della pronuncia definitiva del giudice di primo grado.
Il Comune aveva comunque evidenziato i anche con l’appello/ la sua
volontà di sanare il difetto di capacità processuale, producendo
l’originaria

delibera autorizzatoria

del

1999

e

quella

successiva del 2004 e anche se di tali documenti non vi era
traccia in atti di essi risultava l’esistenza dalla sentenza
10

2.3. L’affermazione della esistenza dell’autorizzazione a stare

definitiva del Tribunale che sul punto aveva superato quellinon
definitiva che faceva riferimento espresso alla carenza di tali
autorizzazioni) sanata successivamente.
La Corte d’appello non ha rilevato la sanatoria dell’omesso
deposito dell’autorizzazione e comunque non ha esercitato il suo
potere discrezionale di invitare l’ente locale a produrre tale

era stato invitato a sanare il suo difetto di capacità e
legittimazione processuale e vi aveva presuntivamente provveduto
anche con la successiva e nuova delibera, di cui vi era traccia
in atti al momento della sentenza definitiva del Tribunale, che
aveva ritenuto ammissibile la domanda, come emerge dalla stessa
pronuncia qui impugnata.
2.5. Il richiamo dell’autorizzazione nella procura non è da sola
sufficiente a sanare il difetto di legittimazione processuale
riscontrato nel caso, ma anche il quinto motivo di ricorso non
può che essere accolto, risultando dall’atto di appello
incontestata la esistenza di tale delibera autorizzatoria di cui
la Corte di merito avrebbe dovuto quindi disporre la esibizione
prima di dichiarare la inammissibilità del gravame
3. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e nulla deve
disporsi per le spese, per non essersi difesi in questa sede gli
intimati; la sentenza impugnata deve quindi essere cassata e le
parti devono rimettersi dinanzi alla Corte d’appello di Roma in
diversa composizione, perché provveda sulla causa e sulla
11

atto, dopo che già in primo grado il Comune di S. Giorgio a Liri

disciplina delle spese anche per il presente giudizio di
cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata;
rinvia la causa alla Corte di appello di Roma in diversa
composizione anche per le spese del presente giudizio di

Così deciso nella camera di consiglio della l^ sezione civile
della Corte suprema di Cassazione il 26 novembre 2013.

cassazione.

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