Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28672 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 07/11/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 07/11/2019), n.28672

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5497/2012 R.G. proposto da:

SO.GE.CO s.p.a. in liquidazione, in persona del liquidatore sig.

C.C., rappresentata e difesa dall’avv. Maurizio D’Ammando,

con domicilio eletto in Roma via Germanico n. 168 presso lo studio

dell’avv. Franco D’Ammando;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, ed ivi domiciliata in via dei Portoghesi, n.

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per

l’Umbria – Perugia n. 98/04/11 pronunciata l’11 aprile 2011,

depositata il 3 maggio 2011 e notificata il 20 dicembre 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 14 maggio 2019

dal Consigliere Dott. Fracanzani Marcello Maria;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Tassone Kate che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso ed in subordine per il suo rigetto in quanto infondato;

Udito l’avv. dello Stato Giancarlo Caselli.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A seguito di controlli operati su tre società facenti parti del gruppo Sogeco, venivano contestate come soggettivamente inesistenti alcune operazioni infragruppo, ritenute unicamente mirate a ridurre i ricavi maturati dalla capogruppo per limitarne l’imponibile fiscale. Ne seguiva accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), con cui l’ufficio rideterminava in Euro 441.372,48 il reddito di Sogeco spa per l’anno di imposta 2003, recuperava a tassazione le maggiori imposte ed irrogava sanzioni.

Avverso tale avviso insorgeva la contribuente proponendo ricorso dinanzi alla CTP di Terni che apprezzava le sue ragioni, tese a dimostrare che si era trattato di una strategia infragruppo per il mantenimento delle scorte.

Appellava l’Ufficio, rilevando come tra le molte operazioni infragruppo solo nei casi contesati ci fossero discrepanze significative fra registri IVA e prospetti extracontabili, e tali da giustificare la tipologia dell’accertamento induttivo.

La CTR accoglieva l’appello ritenendo dimostrata l’indisponibilità della merce compravenduta, l’anomalia dei prezzi, le modalità eccentriche di pagamento, da cui derivava l’inesistenza dell’operazione.

Ricorre contro tale pronuncia la contribuente affidandosi ad unico articolato motivo, cui replica con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Il ricorso è stato chiamato all’odierna pubblica udienza a seguito di avviso notificato a mezzo PEC con invio telematico perfezionatosi in data 5 aprile 2019.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36 comma 2, n. 4, art. 61, ove prevede che le commissioni tributarie debbano contenere la motivazione della decisione; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In via preliminare deve essere disattesa, perchè eccentrica, l’eccezione dell’amministrazione finanziaria circa l’inammissibilità della doglianza che, in tesi, prospetterebbe contestualmente vizi in procedendo et in iudicando, insieme a vizi motivazionali tra loro logicamente incompatibili, cioè una motivazione al tempo stesso carente e contraddittoria.

Perchè, invero, la contribuente contesta l’omissione di motivazione sulle asserite differenze inventariali al 31/12/2002, costituenti le rimanenze iniziali per il 2003. Mentre, invece, l’insufficienza di motivazione è lamentata con riferimento ai presupposti dell’accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d).

Si può, dunque, procedere con l’esame del motivo di gravame. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

E’ inammissibile per la parte in cui mira ad ottenere una riedizione del giudizio di merito, non consentita in sede di legittimità.

La censura è, poi, è infondata sotto il profilo della prospettata insufficienza di motivazione. Emerge, infatti, dal testo della pronuncia impugnata (per es. pag.6) che il giudice del merito ha effettuato un esame analitico della documentazione prodotta e si è anche cimentato in un approfondito scrutinio in fatto della questione al suo esame, ben al di sopra dei livelli minimi ai quali può spingersi questa Corte di legittimità. Sicchè l’operato del giudice è immune da vizi e censure.

In definitiva il ricorso deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate coma da dispositivo nel rapporto processuale tra le parti costituite.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio che liquida in Euro 7.300,00 (settemilatrecento), oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 7 novembre 2019

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