Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28670 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 07/11/2019, (ud. 18/04/2019, dep. 07/11/2019), n.28670

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

OMISSIS…

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 27263/2016 R.G. proposto da:

H.C. S.R.L., con sede in (OMISSIS), rapp.ta e difesa dall’Avv.

M.A.  del Foro di Roma, elett.te dom.ta presso lo studio

del medesimo in Roma, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata

in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle

Marche n. 506/O1/16, depositata il 3 agosto 2016, non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblicata udienza del 18 aprile

2019 dal Consigliere Dott. N.L..

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. D.L., che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Udito l’Avv. M.A. per la contribuente, che ha concluso

per l’accoglimento del ricorso.

Udito l’Avv. F.S. per l’Agenzia delle Dogane che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La s.r.l. H.C. proponeva innanzi alla CTP di Ascoli Piceno ricorso avverso il provvedimento, notificatole il 9.02.2010, con il quale l’Agenzia delle Dogane di San Benedetto del Tronto aveva dichiarato la Società decaduta, ai sensi dell’art. 14 comma 2 TUA, dal diritto al rimborso della somma di Euro 35.548,53, versata per accise su energia elettrica relative all’annualità 2006 e risultate non dovute; rimborso richiesto mediante autorizzazione alla compensazione con omologhi debiti tributari da estinguere presso l’Ufficio delle Dogane di Modena. In particolare la Società ricorrente deduceva di aver scomputato i maggiori crediti derivanti da versamenti in acconto eccedenti l’imposta dovuta con i versamenti mensili fino al marzo 2008 e di aver richiesto, con istanza del 24.07.2009, il rimborso del residuo entro il biennio dall’ultima denuncia, dalla quale risultava l’impossibilità di procedere ad ulteriori compensazioni; di non essere pertanto incorsa in alcuna decadenza sia in virtù delle interruzioni determinate dalle ripetute compensazioni mensili, sia per l’inapplicabilità della decadenza in tema di rimborso, sia per violazione dei principi in tema di affidamento.

La CTP adita, con sentenza n. 574/02/2014, ha accolto il ricorso; quindi, con la pronuncia oggetto della presente impugnazione, la CTR delle Marche ha accolto l’appello principale dell’Agenzia delle Dogane ed ha respinto quello incidentale della Società, condannandola alla rifusione delle spese di lite.

In particolare il giudice d’appello, premesso che il significato da attribuire al termine “indebito” evocato nell’art. 14 TUA non è quello lessicale comune attribuitogli dalla CTP, bensì quello giuridicamente rilevante espresso in via generale dall’art. 2033 c.c., ha manifestato adesione all’orientamento di Cass. sez.V n. 23515/2008 e n. 24056/2011, per le quali la necessità dell’istanza di rimborso sorge in tutti i casi di indebito, qualunque ne sia l’origine; sicchè il termine per l’istanza di rimborso ai sensi dell’art. 14 decorre dal momento in cui il versamento è avvenuto.

La società soccombente ricorre per la cassazione di tale sentenza, con atto notificato il 6.11.2017, fondato su due motivi.

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha notificato e depositato controricorso.

Il 9 aprile 2019 la Società ricorrente ha depositato memoria illustrativa dei motivi e di replica al controricorso.

Nella pubblica udienza del 18.04.2019 il P.G. e le parti hanno discusso oralmente la causa ed all’esito della camera di consiglio la Corte ha deciso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la H.C. s.r.l. denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 504 del 1995, artt. 56 e 14 (in avanti anche TUA): poichè l’art. 56 consentirebbe al contribuente di portare il suo credito in detrazione, il combinato disposto delle norme menzionate in epigrafe non sarebbe applicabile all’istanza di autorizzazione alla compensazione con altri crediti, non identificabile con l’istanza di rimborso e non potendosi evincere la sopravvenuta indetraibilità dall’art. 14, comma 2.

L’Agenzia ha controdedotto che la distinzione tra rimborso e detrazione sarebbe inammissibile, essendo anche tale ultima modalità di restituzione (disciplinata nell’art. 14, comma 4 e nel Reg. n. 689 del 1996, art. 1, commi 1 e 2, come illustrate nella Circolare Min. Finanze Dip. Dogane ed Imposte Indirette n. 59 del 1997) una modalità alternativa di rimborso; quindi, richiamata l’autorità di Cass. sez. V n. 9283/2013 e di altre successive conformi, conclude che l’istanza di rimborso sarebbe intempestiva se presentata oltre il biennio dal pagamento dell’imposta, qualunque sia la causa della non debenza.

Nella memoria la ricorrente replica agli argomenti avversari, insistendo nell’identificabilità nelle detrazioni mensili di una speciale forma di rimborso.

Con il 2 motivo di ricorso la H.C. deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; o, in subordine, degli artt. 2966 e 2967 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; o, in ulteriore subordine, di omesso esame di un fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La CTR avrebbe invero omesso di pronunciare sull’espresso motivo di appello incidentale con il quale si deduceva che, avendo la Società parzialmente utilizzato i crediti in detrazione, senza che l’Agenzia alcunchè rilevasse, detto utilizzo doveva considerarsi come interruttivo di qualsiasi termine. Per l’ipotesi in cui la Corte ritenesse il motivo d’appello implicitamente rigettato dalla CTR, allora la decisione avrebbe violato il combinato disposto degli artt. 2966 e 2967 c.c., avendo la società ricorrente già manifestato l’intenzione di ottenere la restituzione, mediante compensazione dei suoi crediti, costituente parziale compimento dell’atto che evita la decadenza. Nell’ipotesi in cui anche tale motivo fosse ritenuto infondato, dovrebbe prendersi atto della totale omissione di esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione (ancorchè non controverso) tra le parti.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

La materia del contendere concerne la individuazione del dies a quo dal quale decorre il termine biennale di decadenza, ex art. 14 TUA, comma 2, per l’esercizio del diritto al rimborso del credito di accisa sul consumo di energia elettrica; del resto non è dubbio che la richiesta di autorizzazione del residuo credito maturato in virtù di indebiti versamenti di accise mediante autorizzazione alla compensazione con debiti verso la medesima Amministrazione, ancorchè gestiti da altro Ufficio, rappresenta una richiesta di rimborso mediante modalità estintiva diversa dal pagamento, cui è applicabile la disciplina dell’art. 14 TUA, comma 2.

Ai sensi del (TUA) D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 14, comma 2, vigente ratione temporis: “L”accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata. Il rimborso deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento” Il successivo comma 4 aggiunge che “Il rimborso può essere concesso anche mediante accredito dell’imposta da utilizzare per il pagamento dell’accisa”.

Sul tema, la giurisprudenza prevalente della sezione quinta di questa Corte (sez.V, nn. 3469-3470-3471 del 14.02.2014; nello stesso senso, sez. 5, n. 13724 del:31.05.2017), alla quale si è esplicitamente conformata la pronuncia appellata, ha affermato che “A norma del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 14, il rimborso dell’accisa (..) indebitamente versata va richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento, che segna il momento dal quale indefettibilmente decorre il termine decadenziale per l’esercizio del diritto(alla restituzione, fissato per finalità di interesse pubblico e non disponibile neppure dalla stessa P.A., restando ininfluenti le cause per cui il pagamento non è dovuto; nè l’avvenuta detrazione del credito di imposta, operata dal contribuente per le annualità successive, è idonea a spostare in avanti il “dies a quo” del suddetto termine” (cfr. Cass. sez.V n. 24056 del 16.11.2011). Secondo tale orientamento, invero, il diritto del contribuente al rimborso delle somme pagate indebitamente a titolo di accise (nel caso concreto per il consumo del gas metano), va attivato con richiesta proposta nel termine biennale suindicato, con decorrenza o dal pagamento (qualora intervenuto dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 504 del 1995) o dall’entrata in vigore di detto decreto (ove si tratti di pagamento avvenuto prima di tale data) (Cass. sez.V 14.05.2008 n. 12045).

Tali eventi segnano, infatti, il momento dal quale indefettibilmente decorre il predetto termine decadenziale per l’esercizio del diritto alla restituzione, “qualunque sia la causa per la quale il pagamento non sia dovuto, e perfino nel caso in cui l’accisa sia stata debitamente pagata, e sia sopravvenuta una causa di non debenza del tributo” (Cass. sez.V 12.09.2008 n. 23515; Cass. sez.V 16.11.2011 n. 24056; 2.03.2012 n. 3363; n. 13724 del 2017). Il termine decadenziale suindicato è fissato, invero, per finalità di interesse pubblico, sicchè esso non è disponibile neppure dalla stessa Amministrazione, restando del tutto irrilevanti ed ininfluenti le cause per le quali la non debenza venga a verificarsi.

Pronuncia dissonante, alla quale, invece, questa Corte intende dare seguito, è quella secondo cui “in materia d’imposta sulla produzione e sui consumi, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 14, comma 2, il rimborso (o la corrispondente detrazione) dell’accisa indebitamente pagata deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni, decorrenti dalla data di presentazione della dichiarazione annuale, con la conseguenza che, nel caso di versamento di acconti risultati maggiori del dovuto, questi devono sommarsi con il credito d’imposta relativo all’anno successivo, derivandone che il saldo creditorio va a costituire un nuovo credito rispetto a quelli precedentemente maturati (così, Cass. Sez.V 17.04.2013 n. 9283; v. anche la recentissima Cass. Sez.V 1.02.2019, n. 3051). E invero, tale ultimo orientamento valorizza la peculiarità del sistema di liquidazione dell’accisa – nella specie, relativa al consumo di gas metano, ma ugualmente per quella relativa al consumo dell’energia elettrica – per cui, ai sensi del TUA 504 del 1995, art. 26, comma 8,: “l’accertamento dell’accisa viene effettuato sulla base delle dichiarazioni annuali, contenenti tutti gli elementi necessari per la determinazione del debito d’imposta. Il pagamento dell’accisa deve essere effettuato in rate mensili di acconto calcolate sulla base dei consumi dell’anno precedente, con eventuale conguaglio in fase di successiva dichiarazione di consumo”. Ed infatti, ai sensi di detta norma, il pagamento dell’accisa deve essere effettuato in rate di acconto mensili entro la fine di ciascun mese, calcolate sulla base dei consumi dell’anno precedente e il versamento a conguaglio è effettuato entro il mese di febbraio dell’anno successivo a quello cui si riferisce; per cui le rate mensili di versamento dell’accisa in acconto non corrispondono ad autonomi adempimenti di autonomi debiti, bensì a modalità di adempimento di un unico debito, frazionato, appunto, in più rate (così, Cass. Sez.V 12.02.2014 n. 3100; Cass. n. 3051 del 2019 cit.).

Tale impostazione risulta conclivisibile in quanto coerente anche con il meccanismo di compensazione (detrazione) autorizzato ai sensi del TUA, art. 56, comma 1, – secondo cui “Le somme eventualmente versate in più del dovuto sono detratte dai successivi versamenti di acconto” – operante fino all’esaurimento del rapporto tributario medesimo.

Invero, il saldo attivo dei versamenti in acconto di ciascun periodo – al netto di quanto detratto ex lege dai versamenti di acconto del periodo successivo – risulta da una modalità di pagamento dell’accisa sui consumi di energia elettrica (come di gas metano) prevista dalla stessa legge, per cui, in corso di rapporto tributario, non è configurabile come “pagamento indebito”, bensì come una sorta di anticipazione soggetta per sua natura a conguaglio, con conseguente inapplicabilità del termine di decadenza biennale ex art. 14 TUA, comma 2,. Solo alla fine del rapporto tributario, nel caso in cui emergesse dall’ultima dichiarazione di consumo un saldo a credito, quest’ultimo darebbe luogo a un pagamento indebito e il contribuente dovrebbe reclamare il credito medesimo con decorrenza del termine biennale di decadenza ex art. 14 TUA, comma 2 dalla data del pagamento in eccesso che, in sostanza, coincide con il momento di presentazione dell’ultima dichiarazione annuale dalla quale sia risultato il credito di imposta.

In buona sostanza, il rapporto, così come descritto anche in Cass. n. 9283/2013, funziona come una sorta di conto corrente, nel quale le reciproche partite di credito e debito si elidono progressivamente a seconda dell’andamento dei consumi e dei versamenti periodici parziali, senza che le dichiarazioni annuali determinino cesure nella continuità del rapporto tributario.

Dalle considerazioni sin qui svolte l’enunciazione del seguente principio di diritto: “In tema di accise sull’energia elettrica, il saldo creditorio che matura al momento della presentazione della dichiarazione annuale – costituendo il frutto di una modalità di pagamento dell’imposta, in quanto detratto ex lege dai successivi versamenti di acconto – non è reclamabile prima della chiusura del rapporto tributario, con conseguente decorrenza del termine biennale di decadenza del D.Lgs. n.. n. 504 del 1995 (TUA), ex art. 14, comma 2, per il rimborso dell’eventuale credito di imposta dal momento della presentazione dell’ultima dichiarazione annuale di consumo”.

Il giudice di appello non si è conformato al suddetto principio, respingendo l’istanza di autorizzazione all’accredito presentata il 24.07.2009, avendo avuto riguardo come dies a quo alla data di effettuazione dei singoli versamenti eccedenti le accise dovute come risultanti dalla dichiarazione del marzo 2009; sicchè la sentenza impugnata deve essere cassata.

Il secondo motivo, avente ad oggetto nullità per omesso esame di fatti decisivi, resta assorbito dall’accoglimento del primo, non rendendosi ulteriormente necessario indagare, una volta applicato l’enunciato principio di diritto, se l’avvenuto esercizio della facoltà di applicazione delle detrazioni mensili ex art. 56 TUA rappresentasse atto interruttivo del termine decadenziale o manifestazione espressa della vO1Oni:à di far ricorso al rimborso medesimo, fatti cioè idonei ad evitare la eccepita decadenza.

In conclusione, il primo motivo di ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata. Alla luce dei fatti esposti e documentati la Corte è peraltro nelle condizioni di decidere la controversia nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessario accertare circostanze di fatto ulteriori.

In particolare, alla stregua del principio di diritto enunciato, il provvedimento di diniego del diritto al rimborso oggetto d’impugnazione si rivela illegittimo e deve essere annullato, non potendo all’epoca dell’istanza considerarsi la Società H.C. decaduta dal diritto al rimborso medesimo ai sensi dell’art. 14 TUA, comma 2.

Stanti la peculiarità della questione e le oscillazioni giurisprudenziali in materia, si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti integralmente le spese processuali del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e, assorbito il secondo, cassa e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo e compensa le spese di tutti i gradi del giudizio.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.

Depositato in cancelleria il 7 novembre 2019

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