Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28668 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/12/2020, (ud. 04/11/2020, dep. 15/12/2020), n.28668

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17862-2019 proposto da:

M.A., C.P., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato FEDERICA DI BENEDETTO;

– ricorrenti –

contro

C.O., D.N.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2278/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 04/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. TEDESCO

GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Teramo ha rigettato la domanda proposta da C.P. e M.A. nei confronti del figlio C.O., di revocazione di donazione di immobile per ingratitudine del figlio donatario (atto dell’11 novembre 2006).

Nel corso del giudizio di primo grado, svoltosi nella contumacia del convenuto, è intervenuta il coniuge del donatario D.N.A., in proprio e quale rappresentante della figlia minore, denunciando il carattere fraudolento dell’iniziativa, finalizzata a privarla della garanzia dei propri crediti verso il coniuge e consentire ai donanti di rientrare nel possesso della casa familiare.

La Corte d’appello, nella contumacia del convenuto e della intervenuta, ha confermato la sentenza.

In particolare essa ha condiviso la valutazione del tribunale con riguardo alla lettera dell’11 giugno 2002, scritta dal donatario ai donanti e da costoro considerata, per il suo contenuto, alla stregua di ingiuria grave tale da giustificare la revocazione della donazione ai sensi dell’art. 801 c.c. La corte d’appello ha negato che il malore, che il genitore aveva dedotto di avere accusato dopo la lettura della lettera, potesse porsi in rapporto causale con questa. A tale valutazione ha anteposto il rilievo che la stessa lettera era priva di data certa, mentre tale requisito era essenziale in rapporto alla presenza in causa di un terzo. La stessa corte d’appello ha poi preso posizione sulla ulteriore circostanza dedotta dai donanti a sostegno della domanda, e cioè il disinteresse del donatario per l’immobile, manifestatosi con l’omissione degli adempimenti fiscali, curati al suo posto dai genitori. Essa ha sostenuto che il fatto non era stato provato, non risultando dai documenti prodotti l’identità del soggetto che aveva effettuato il pagamento, trattandosi in ogni caso di circostanza equivoca, che poteva spiegarsi con l’intenzione dei genitori di continuare a beneficiare il figlio.

Per la cassazione della sentenza C.P. e M.A. hanno proposto ricorso, affidato a due motivi. C.O. e D.N.A. sono rimasti intimati.

La causa è stata fissata per la trattazione dinanzi alla sesta sezione civile della Suprema Corte su conforme proposta del relatore di manifesta infondatezza del ricorso.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Il primo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 232 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”.

La corte d’appello avrebbe dovuto ritenere raggiunta la prova della ingiuria grave in applicazione del principio di non contestazione. Si sottolinea, al fine di suffragare la censura, che alla contumacia del convenuto donatario si congiungeva, nella specie, la mancata comparizione del medesimo a rendere la risposta all’interrogatorio formale a lui deferito dagli attori.

La sentenza è poi oggetto di censura nella parte in cui si assume che il genitore aveva riferito di essersi recato in ospedale per un malore, cagionato da un diverbio. Diversamente, gli attuali ricorrenti avevano dedotto nei loro scritti che il malore avvertito dal C.P. era stato determinato dalla lettura della missiva del figlio donatario.

Il motivo è inammissibile.

L’esclusione dei fatti non contestati dal thema probandum non può ravvisarsi in caso di contumacia del convenuto, in quanto la non negazione fondata sulla volontà della parte non può presumersi per il solo fatto del non essersi la stessa costituita in giudizio, non essendovi un onere in tal senso argomentabile dal sistema (Cass. n. 461 del 2015; n. 14623/2009).

Nello stesso tempo deve richiamarsi il principio secondo cui la facoltà di ritenere o meno come ammessi, sulla base della valutazione di ogni altro elemento probatorio, i fatti dedotti nell’interrogatorio formale, nel caso in cui la parte cui esso è deferito non si presenti a rispondere senza giustificato motivo, costituisce una facoltà discrezionale del giudice del merito, la quale è insindacabile in sede di legittimità; nè l’omessa considerazione di tale mancata presentazione costituisce vizio di motivazione deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè da detta circostanza, escluso l’effetto automatico di ficta confessio ad essa ricollegato dal codice di rito abrogato, l’art. 232 c.p.c. vigente consente di desumere solo elementi indiziari, che non hanno, di per sè, alcuna portata decisiva (Cass. n. 6769/1982; n. 1221/2003; n. 11495/2000).

C’è poi un ulteriore profilo di inammissibilità della censura, derivante dalla mancata trascrizione dei capitoli sui quali si sarebbe verificata la ficta confessio (Cass. n. 5043/2009).

Si deve ancora aggiungere che il principio di non contestazione è poi riferibile ai fatti (Cass. n. 20998/2019), mentre i ricorrenti ne pretendono l’applicazione con riferimento a una qualificazione giuridica, quale è quella di ingiuria gravi di un certo comportamento.

Quanto alla circostanza del ricovero in ospedale, si osserva che la corte d’appello, quando allude al diverbio, non sembra riferirsi a un fatto affermato negli scritti difensivi di parte, ma a una notizia desunta dagli atti di causa. La censura, su questo punto, doveva essere perciò formulata diversamente. Occorre ancora aggiungere che alla valutazione circa il difetto di prova della genesi del malore, la corte d’appello ha anteposto la considerazione che la lettera, che avrebbe determinato il malore, è priva di data certa, requisito essenziale in considerazione della presenza in causa di un terzo. Tale rilievo della corte d’appello, suscettibile di essere riguardato sullo specifico aspetto quale autonoma ratio decidendi, non ha costituito oggetto di censura.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 801 c.c.

La sentenza è oggetto di censura laddove la corte d’appello ha negato, nella lettera dell’11 giugno 2012, la sussistenza dell’ingiuria grave del donatario verso il donante.

Si richiamano i principi della giurisprudenza di legittimità in materia e si sottolinea come tali principi non richiedano che l’ingiuria sia portata a conoscenza del terzo, imponendo inoltre l’art. 801 c.c. che la valutazione delle prove tenga conto delle condizioni soggettive dei donanti e della realtà sociale in cui l’ingiuria si è consumata.

Il motivo è inammissibile. Nella sentenza impugnata non si legge alcuna affermazione in contrasto con i principi di cui si assume la violazione. In particolare la corte d’appello non ha minimamente affermato che la ingiuria, per rilevare quale causa di revocazione, debba essere portata a conoscenza dei terzi; nè ha affermato che la valutazione dell’offesa deve prescindere dalla considerazione della persona del donante, delle condizioni sociali dei protagonisti e, in genere, di tutte le circostanze che accompagnato l’atto.

In verità la corte d’appello ha piuttosto negato in fatto i presupposti dell’ingiuria, considerando il contenuto della lettera alla stregua di uno “sfogo all’interno di rapporti familiari caratterizzati da forte tensione incentrata sulla proprietà e l’uso degli appartamenti donati dagli appellanti al figlio”; ha aggiunto che, nella stessa lettera, il donatario aveva scritto di avere fatto uso di quel mezzo in modo da dare ai genitori la possibilità di “far finta di niente di fronte alla gente e preservare le apparenze alle quali tenevano tanto”. La corte di merito ha poi proseguito l’analisi concentrandosi sul “malore” che avrebbe colto il donante alla lettura della missiva e ne ha escluso, con argomentazioni logiche e coerenti, la rilevanza; ha infine preso in esame la deduzione sul mancato adempimento, da parte del donatario, degli oneri riguardanti la proprietà dei beni donati, oneri che i donanti avevano sostenuto di aver curato al posto del donatario. I ricorrenti riprendono tale ultimo argomento anche in questa sede, ma in termini di un mero dissenso rispetto alla valutazione dei giudici di merito, senza darsi carico di censurare la ratio che sorregge la decisione sul punto, e cioè che i documenti non provavano chi fosse stato l’autore del pagamento e, comunque, la non univocità del fatto in relazione al fine per il quale era invocato, “ben potendo sottendere (il pagamento) la volontà dei donanti di continuare a beneficiare il donatario”.

In definitiva, sotto la veste della violazione di legge, i ricorrenti censurano la valutazione in fatto operata dal giudice di merito in ordine alla insussistenza dell’ingiuria. Tale valutazione, motivata nella specie in modo logico e coerente e sulla base di rilievi che non evidenziano errori di diritto, è certamente incensurabile in questa sede (Cass. n. 754/1973).

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Nulla sulle spese.

Ci sono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

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