Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28668 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 09/11/2018, (ud. 05/06/2018, dep. 09/11/2018), n.28668

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29440-2011 proposto da:

PRISMA IMMOBILIARE S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.,

elett.te dom.to in Roma, al V.LE PARIOLI, n. 43, presso lo studio

dell’Avv. FRANCESCO D’AYALA VALVA che, unitamente agli Avv.ti VICTOR

UCKMAR e GIUSEPE CORASANITI, la rapp.no e dif.no in virtù di

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t. (C.F.

(OMISSIS)), dom.to ope legis in Roma, alla Via del Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rapp. e dif.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 113/04/11 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di PERUGIA, depositata il 17.5.2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/06/2018 dal Consigliere Dott. GIAN ANDREA CHIESI;

udito il Pubblico Ministero, nella persona del Dr. TOMMASO BASILE,

che ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto

del ricorso;

udito l’Avv. RAFFAELA FERRANDO per la parte controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. In data 27.10.2008 la PRISMA IMMOBILIARE S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t. (d’ora in avanti, breviter, PRISMA), propose ricorso, innanzi alla C.T.P. di Perugia, avverso gli avvisi di accertamento nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), con cui, oltre ad essere disconosciuta la deducibilità del reddito di impresa dei compensi corrisposti agli amministratori, per complessivi Euro 25.341,71, furono altresì recuperati ad imposizione, rispettivamente, Euro 55.680,00 (a titolo di maggiore Ires, Irap ed Iva per l’anno 2004), oltre interessi ed irrogazione di una sanzione amministrativa unica pari ad Euro 60.487,67, ed Euro 29.408,00 (a titolo di maggiore Ires ed Irap per l’anno 2005) oltre interessi ed irrogazione di una sanzione amministrativa unica pari ad Euro 47.464,57.

2. In particolare, i due avvisi di accertamento trovavano il proprio fondamento nei maggiori ricavi (calcolati sulla base delle indagini finanziare svolte sui conti correnti ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 7) che l’Agenzia delle Entrate Ufficio (OMISSIS) aveva ascritto alla società predetta per la vendita a terzi, ad un prezzo apparente ritenuto non congruo rispetto al valore di mercato, di alcuni immobili realizzati dalla medesima PRISMA.

3. Riuniti i due giudizi, la C.T.P. accolse i ricorsi ed annullò entrambi gli atti impugnati.

4. Avverso tale decisione l’AGENZIA DELLE ENTRATE propose appello innanzi alla C.T.R. di Perugia che, con sentenza n. 113/04/11, depositata il 17.5.2011, riformò l’impugnata pronunzia, confermando la legittimità e correttezza dell’operato dell’Ufficio impositore sia (a) per quanto concerne il recupero ad imposizione dei maggiori ricavi di cui si è detto, che (b) in relazione alla ritenuta indeducibilità dei compensi agli amministratori, in assenza di apposita delibera assembleare.

5. Avverso tale sentenza la PRISMA ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidato a 7 motivi. Si è costituita l’AGENZIA DELLE ENTRATE.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c.. (in relazione al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per non essersi la C.T.R. pronunziata su di una specifica censura sollevata dalla PRISMA in prime cure, accolta dalla C.T.P. e riproposta in secondo grado, relativamente alla ritenuta illegittimità dell’autorizzazione conferita dalla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate dell’Umbria in favore dell’Ufficio di (OMISSIS), siccome basata su di una circostanza (la notevole discrasia tra il valore di mercato ed il prezzo degli immobili compravenduti) in realtà insussistente.

2. Con il secondo motivo, la difesa della PRISMA Si duole, in via subordinata rispetto al primo mezzo di impugnazione, dell’omessa motivazione, ad opera della C.T.R. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), rispetto alla dedotta insussistenza della notevole differenza tra il valore di mercato ed il prezzo di cessione degli immobili: il giudice di appello, cioè, avrebbe omesso “del tutto di indicare gli elementi da cui avrebbe desunto il proprio convincimento in merito alla effettiva sussistenza” (cfr. ricorso, p. 29) del presupposto fondante le indagini finanziarie sui conti correnti della società, sei soci e dei loro congiunti e di cui si è detto.

3. Con il terzo motivo la PRISMA lamenta l’extrapetizione in cui sarebbe incorsa la C.T.R. (in relazione, dunque, al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per avere essa fondato la propria decisione su fatti giustificativi delle pretese impositive dell’Agenzia delle Entrate diversi da quelli indicati nelle motivazioni degli avvisi di accertamento.

4. I tre motivi – che, per l’identità di questioni agli stessi sottese, ben possono essere trattati congiuntamente – sono infondati.

4.1. Invero, la motivazione della gravata decisione dà atto che, in prime cure, i ricorsi furono accolti “per grave difetto di motivazione degli accertamenti da parte dell’Ufficio, nonchè per la contraddittorietà degli elementi di sostegno agli stessi” (cfr. p. 3, secondo cpv.); secondo la stessa prospettazione della difesa della PRISMA (cfr. ricorso, pp. 17, nonchè 24-25), inoltre, gli originari ricorsi furono accolti anche per la ritenuta illegittimità delle indagini finanziarie autorizzate dalla Direzione Regionale, difettando la prova del presupposto legittimante il loro espletamento e, cioè, dell’effettiva sussistenza della notevole discrasia di valore di cui si è dato conto in precedenza. Premesso, dunque, che rispetto a tale difesa, espressamente esaminata in primo grado ed integralmente accolta dalla C.T.P., la PRISMA non aveva alcun onere di riproposizione ex D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 (cfr., sia Ric. 2011 n. 29440 sez. ST – ud. 05-06-2018 pure in relazione all’analogo istituto contemplato dall’art. 346 c.p.c., Cass. SU., 12.5.2017, n. 11799, Rv. 64430501) nè, tantomeno, obbligo di formulazione di appello incidentale (difettando una sua posizione di soccombenza, neppure teorica), nondimeno osserva il Collegio come entrambe le censure sviluppate nei primi due motivi di ricorso non si confrontano con la motivazione della impugnata decisione la quale, non solo affronta espressamente la tematica relativa alla discrasia di valore di cui si è detto (cfr. p. 4, terzultimo, quartultimo e quintultimo cpv.), ma altrettanto espressamente la supera, ritenendo tale differenza di valore effettivamente esistente (a tale riguardo preme altresì osservare che la questione concernente la vendita degli immobili allo stato grezzo appare del tutto nuova, non essendo specificato se e quando essa fu proposta in prime o seconde cure nè, tantomeno, i termini cui ciò sarebbe avvenuto), ed idonea, unitamente ad altre (in specie, la non corrispondenza dei dati contabili e la non congruità dei ricavi della PRISMA rispetto agli studi di settore) ad essere sottesa alle disposte indagini sui conti correnti bancari.

4.2. Nè il riferimento della C.T.R. a tali circostanze, asseritamente “ulteriori” rispetto all’unica emergente dalla motivazione degli avvisi di accertamento impugnati, è stato correttamente censurato in questa sede, difettando il terzo motivo di specificità in parte qua (cfr. l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6): ed infatti, la difesa della PRISMA ha trascritto le motivazioni dei due avvisi di accertamento in maniera assolutamente incompleta (cfr. ricorso, p. 33, cpv.), sì da non consentire al Collegio la verifica circa la effettiva assenza di “traccia alcuna nelle (relative) motivazioni” (cfr. ricorso, p. 34), delle circostanze circostanze evidenziatg C.T.R. e di cui si è detto. In proposito, se è vero che la Corte di Cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, quale indubbiamente il vizio di ultra o extrapetizione, è anche giudice del fatto ed ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale potere-dovere è necessario, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di specificità, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (Cass., Sez. 5, 23.1.2004, n. 1170, Rv. 569603-01).

5. Con il quarto motivo parte ricorrente si duole della violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione al vizio ex art. 360 c.p.p., comma 1, n. 4), per non essersi la C.T.R. pronunziata sul motivo di ricorso, rimasto – si opina – assorbito in primo grado e riproposto in seconde cure, concernente la dedotta incompetenza territoriale dell’Ufficio di (OMISSIS), ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31, comma 2.

5.1. Il motivo è inammissibile, per difetto di specificità, non essendo state trascritte, in ricorso, le parti degli atti di primo e secondo grado in cui la doglianza in commento sarebbe stata sviluppata, così risultando preclusa al collegio la valutazione dei termini esatti in cui essa sarebbe stata avanzata dalla difesa della PRISMA e, in particolare, (a) se e come essa fu effettivamente sollevata in prime cure e, a tutto volere, (b) se la stessa fu effettivamente riproposta (siccome assorbita) in grado di appello (arg. da Cass., Sez. L, 14.3.2011, n. 5970, Rv. 616425-01 e da Cass., Sez. L, 8.6.2016, n. 11738, Rv. 640032-01).

6. Con il quinto motivo parte ricorrente lamenta la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in relazione alle conseguenze che la C.T.R. ha tratto, da un punto di vista probatorio, dalla mancata adesione agli accertamenti ad opera dei soggetti coinvolti nelle attività di indagine.

6.1. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse giacchè, nella motivazione della C.T.R., la mancata adesione al procedimento di accertamento con adesione rappresenta non già l’unica ragione a sostegno dell’accertamento quanto, piuttosto, un elemento indiziario ulteriore rispetto agli esiti delle indagini bancarie, “convergente a supportare la corrispondenza e la realtà” dello stesso (cfr. motivazione, p. 5, cpv.).

7. Con il sesto motivo, parte ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32,comma 1, n. 2,, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, nonchè degli artt. 2697 e 2729 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la C.T.R. erroneamente applicato le presunzioni di cui ai primi due referenti normativi innanzi indicati e, per l’effetto, aver automaticamente imputato ad essa odierna ricorrente, alcune movimentazioni (in entrata ed uscita) afferenti conti correnti riferibili a soggetti terzi, sulla base dei soli legami di carattere societario o “familiare” esistenti tra questi e la PRISMA O i suoi soci ed in assenza di qualsivoglia ulteriore riscontro probatorio.

8. Con il settimo motivo la PRISMA si duole dell’omessa motivazione (in relazione, dunque, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) circa la riferibilità ad essa società delle movimentazioni relative ai conti correnti intestati soggetti terzi. 8.1. I due motivi – che per identità di questioni possono essere trattati congiuntamente – sono infondati e vanno rigettati per quanto di ragione.

8.2. Premesso che entrambi difettano di specificità (cfr. art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), per avere parte ricorrente fatto genericamente riferimento a delle movimentazioni bancarie su alcuni dei conti oggetto di indagine (“molte delle movimentazioni che avevano interessato i suoi conti erano legate ai costi che lo stesso aveva sopportato negli anni in contestazione per la realizzazione delle opere di finitura di un appartamento di sua proprietà”, relativamente alla posizione del socio F.L.; “allo stesso modo, anche il sig. A.N….svolgeva altra attività nelle forme della ditta individuale”. Cfr. ricorso, p. 48 e 50), senza tuttavia indicare esattamente in ricorso quali di esse dovrebbe essere espunta da quelle riferibili alla PRISMA (così precludendo al Collegio ogni valutazione in merito), va nondimeno evidenziato come la decisione della C.T.R. sia conforme al principio costantemente affermato da questa Corte, per cui le presunzioni stabilite dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, secondo cui le movimentazioni sui conti bancari risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio finanziario si presumono conseguenza di operazioni imponibili, opera anche in relazione alle società di capitali con riferimento alle somme di danaro movimentate sui conti intestati ai soci o ai loro congiunti, conti che devono ritenersi riferibili alla società contribuente stessa, in presenza di alcuni elementi sintomatici (ricorrenti nella specie), come la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra l’amministratore, o i soci, ed i congiunti intestatari dei conti bancari sottoposti a verifica. In tal caso, infatti, è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci, e perfino dei loro familiari, debbano in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario – ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica (Cass., Sez. 5, 12.6.2015, n. 12276, Rv. 635671-01).

9. Con l’ultimo motivo parte ricorrente lamenta la violazione

e/o falsa applicazione del.P.R. n. 917 del 1986, art. 83, comma 1, e art. 95, comma 5, per non avere ritenuto la C.T.R. deducibili i compensi corrisposti nel 2004 in favore degli amministratori, per difettare una preventiva delibera da parte dell’assemblea dei soci e non essendo stata ritenuta all’uopo sufficiente una successiva ratifica contenuta nella delibera di approvazione del bilancio.

9.1. Anche tale motivo è infondato e va rigettato.

9.2. Ed infatti, la Corte territoriale si attenuta al consolidato principio, affermato da Cass. Sez. Un., 29.8.2008, n. 21933, Rv. 604262-01, per cui, con riferimento alla determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell’art. 2389 c.c., comma 1, qualora non sia stabilita nello statuto, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, attesa: (a) la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall’essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall’assemblea (art. 2630 c.c., comma 2, abrogato dal D.Lgs. n. 61 del 2002, art. 1); (b) la distinta previsione delle delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364 c.c., n. 1 e 3); (c) la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 c.c.); (d) il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393 c.c., comma 2). Conseguentemente, l’approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall’art. 2389 cit., salvo che un’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori (conforme Cass. Sez. 5, 4.9.2013, n. 20265, Rv. 628116 – 01. Più recentemente, cfr. anche Cass., Sez. 5, 28.10.2015, n. 21953, Rv. 636925-01 e Cass., Sez. 6-5, 30.3.2017, n. 8210, Rv. 643637-01).

9.3. Orbene, tale principio, affermato con riferimento alla formulazione della norma nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, appare applicabile anche al caso di specie, avendo nella medesima occasione le Sezioni Unite chiarito che le modifiche, apportate dal D.Lgs. n. 6, cit. non sono decisive per avallare una diversa interpretazione della disposizione: nè risulta – e sotto tale profilo il ricorso difetta di specificità (cfr. l’art. 366 c.p.c., n. 6), per non essere stato trascritto il verbale del’assemblea che avrebbe proceduto alla detta “ratifica”, che l’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio abbia “espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori”.

10. Il ricorso va dunque rigettato e, per l’effetto, la PRISMA condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la PRISMA IMMOBILIARE S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento, in favore DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00 (settemilatrecento/00) per compenso professionale oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Civile Tributaria, il 5 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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