Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28667 del 23/12/2011

Cassazione civile sez. II, 23/12/2011, (ud. 02/12/2011, dep. 23/12/2011), n.28667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – Presidente –

Dott. NUZZO Laurenza – rel. Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1580/2007 proposto da:

CENTRO BOTANICO BARESE DI FERDINANDO VALENZANO DITTA (OMISSIS),

in persona del Titolare e legale rappresentante Sig. V.

F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA

29, presso lo studio dell’avvocato TROPIANO FABRIZIO MARIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato POZZI Fabio;

– ricorrente –

contro

R.A. (OMISSIS), RA.RO.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.

ZANARDELLI 20, presso lo studio dell’avvocato ALBISINNI LUIGI,

rappresentati e difesi dagli avvocati DALFINO Luciano, D’AMBROSIO

LUIGI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 593/2006 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 28/06/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2011 dal Consigliere Dott. LAURENZA NUZZO;

uditi gli Avvocati D’AMBROSIO Luigi, DALPINO Luciano, difensori dei

resistenti che ha chiesto rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 13.1.1997 R.A. e Ra.Ro. convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Bari, V.F., quale titolare dell’impresa denominata “Centro Botanico Barese”, con sede in (OMISSIS), esponendo:

sul suolo frontistante l’affaccio di un balcone di pertinenza del loro appartamento, sito in Bari, al primo piano, il convenuto aveva realizzato, senza concessione, un capannone adibito a vivaio, in violazione delle distanze fra fabbricati di cui agli artt. 872-873 c.c., come integrati dalla normativa del P.R.G..

Chiedevano, pertanto, la condanna del V. all’abbattimento e/o arretramento del proprio edificio, oltre al risarcimento del danno.

Il convenuto si costituiva in giudizio, negando che il suolo su cui egli aveva edificato fosse gravato divincolo di inedificabilità assoluta.

Espletata C.T.U., il Tribunale rigettava la domanda con compensazione totale delle spese processuali.

Avverso tale sentenza i coniugi R. – Ra. proponevano appello cui resisteva il V..

Con sentenza 28.4.2006 la Corte d’Appello di Bari, in totale riforma della sentenza di primo grado,dichiarava che il capannone realizzato dal convenuto era posto a distanza non regolamentare dalla fronteggiante proprietà degli appellanti, ai sensi dell’art. 872 c.c., comma 2 e art. 873 c.c., come integrati dagli artt. 63 e 34 delle norme tecniche di attuazione collegate al P.R.G. barese;

condannava, quindi, l’appellato ad arretrare la propria costruzione, rispetto a quella degli appellanti, per una distanza di m. 10 dal confine comune e per una distanza, tra le facciate fronteggianti dei due edifici, non inferiore alla somma delle loro altezze; condannava, inoltre, l’appellato al risarcimento del danno, in favore degli appellanti, liquidato, in via equitativa, in Euro 3.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio e di quelle di C.T.U..

Rilevava la Corte territoriale che la particella 525, ove il convenuto aveva edificato il capannone, costituiva area di servizi per la residenza, destinata in forza dell’art. 40, comma 3 – artt. 43 e 52 NTA del PRG barese ad opere pubbliche, con vincolo sottoposto al termine di efficacia quinquennale di cui alla L. n. 1187 del 1968, art. 2, comma 1; venuto meno tale vincolo nel 1981, ai sensi del combinato disposto degli artt. 63 e 34 N.T.A., occorreva osservare, fra i fabbricati adiacenti, una distanza dal confine di ml. 10 e, fra le facciate che si fronteggiano, una distanza pari alla somma della loro altezza, nella specie determinata dal C.T.U., in m. 19,90; il C.T.U. aveva, invece, accertato che la costruzione del convenuto distava dal confine m. 4,90 e che gli edifici delle parti si fronteggiavano ad una distanza variabile da m. 7,10 a m. 9,40.

Tale sentenza è impugnata con ricorso per cassazione da V. F., quale titolare della Ditta suddetta, con un unico motivo di ricorso. Resistono con controricorso e successiva memoria R. A. e Ra.Ro.. Il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente deduce:

insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione circa i presupposti di diritto relativi a punti decisivi della controversia, afferenti la natura del vincolo di inedificabilità; “non motivato esame della sentenza di primo grado”; violazione e falsa applicazione della L. n. 1187 del 1968, art. 2 e dell’art. 872 c.c., comma 2 e art. 873 c.c., come integrati dagli artt. 63 e 64 della norme tecniche di attuazione collegate al PRG del Comune di Bari, in relazione all’art. 360 c.p.p., nn. 3 e 5;

in particolare, la Corte territoriale era incorsa in errore dal momento che l’area di proprietà del Valenzano su cui era stata realizzata l’opera per cui è causa, “è area destinata a servizi di residenza e, come tale, trattandosi di mera destinazione urbanistica, rientrante in una determinata tipologica urbanistica prevista nel piano regolatore, non era caratterizzata da un vincolo di inedificabilità o, comunque, da un vincolo preordinato all’esproprio sicchè non era neppure soggetta alla decadenza quinquennale L. 19 novembre 1968, n. 1187, ex art. 2”; nella specie, quindi, la previsione urbanistica consentiva, anche su iniziativa del privato, la realizzazione di scuole e altre opere di interesse pubblico con la conseguenza che non si verteva in ipotesi di vincolo preordinato all’espropriazione bensì di esercizio della potestà conformativa, normalmente inerente alla pianificazione urbanistica.

Preliminarmente si osserva che l’abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c. (intervenuta ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 47) è divenga efficace, in forza della disposizione transitoria contenuta nell’art. 58, co. 5, della stessa legge) per i ricorsi proposti con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla data del 4.7.2009.

Conseguentemente per quelli relativi a provvedimenti pubblicati anteriormente, come quello in esame, tale norma è da ritenersi ancora applicabile. (Cfr. Cass. n. 7119/10).

La censura svolta dal ricorrente, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, non è in alcun modo correlata alla formulazione del quesito di diritto, indispensabilmente previsto ex art. 366 bis c.p.c., a pena di inammissibilità e, pertanto, deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso con condanna del ricorrente alla refusione delle spese di lite, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per spese oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2011

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