Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28663 del 27/12/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 28663 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: NAZZICONE LOREDANA

Data pubblicazione: 27/12/2013

SENTENZA

sul ricorso 26707-2008 proposto da:
ZIZZI

FEDERICO

ZZZFRC57B01L120Q),

(c.f.

nella

qualità di erede di ELSA MARIA VELIA RIZZI, già
erede di CLAUDIO ZIZZI,

elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA DEI PREFETTI 17, presso l’avvocato
DOMENICO RECCIA (STUDIO PANDISCIA), rappresentato e
2013
1631

difeso dall’avvocato BRACCIALE FRANCO,

giusta

procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro

/T\
1

a.

BANCA POPOLARE DI FONDI SOC. COOP.

(C.F./P.I.

00076260595), in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
GERMANICO 172, presso l’avvocato PANICI PIER LUIGI,
rappresentata e difesa dall’avvocato DI CIOLLO

controricorso;

controricorrente

avverso la sentenza n. 118/2007 del TRIBUNALE DI
LATINA – SEDE DISTACCATA DI TERRACINA, depositata
il 25/05/2007;

udita la relazione della causa svolta nella

,

pubblica udienza del 31/10/2013 dal Consigliere
Dott. LOREDANA NAZZICONE;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato DEL VESCOVO
MATTEO, con delega, che ha chiesto l’accoglimento
del ricorso principale, rigetto del ricorso
incidentale;
udito, per la controricorrente,

l’Avvocato DI

FRANCESCO, giusta procura a margine del

CIOLLO FRANCESCO che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FEDERICO SORRENTINO che ha concluso
per il rigetto del ricorso principale, assorbito il
ricorso incidentale condizionato.
.-

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 25 maggio 2007, il Tribunale di Latina ha
respinto l’opposizione proposta dai coniugi Claudio Zizzi ed Elsa Maria
Velia Rizzi avverso il precetto loro notificato dalla Banca Popolare di
Fondi soc. coop. a r.1., avvalendosi del contratto di mutuo dell’importo di
concluso fra Claudio Zizzi e la banca per atto pubblico del 20 novembre
1997.
I coniugi hanno contestato il diritto sostanziale della creditrice a
conseguire coattivamente la prestazione restitutoria rimasta inadempiuta,
deducendo: a) la nullità del precetto per l’omessa notifica del titolo
esecutivo ex art. 479 c.p.c.; b) la nullità, contraddittorietà e genericità
dell’atto di precetto; c) la simulazione ex art. 1414 c.c. del contratto di
mutuo; d) l’inesistenza o la nullità dell’ipoteca per la violazione del
principio di specialità; e) la nullità della fideiussione ai sensi degli art.
1344, 1418 e 1938 c.c.; fi in subordine, l’usurarietà del tasso applicato;
g) sempre in subordine: g’) la nullità della clausola di determinazione

degli interessi ultralegali nella misura di mezzo punto oltre il prime rate
Abi ed iniziale del 9,50%; g’) la nullità dell’art. 4 delle condizioni
generali di contratto in tema di anatocismo, ai sensi dell’art. 1283 c.c.
Il tribunale ha ritenuto assorbente la questione preliminare della
qualificazione, dal giudice del merito accertata, del contratto come
mutuo fondiario e non di scopo, con conseguente insussistenza della
simulazione, pur in presenza dell’utilizzo parziale delle somme per
estinguere debiti precedenti della parte mutuataria; ha accertato, altresì,
che il contratto ha avuto esecuzione piena da parte della banca con il
prestito della somma e solo parziale della controparte, che non ha
adempiuto all’obbligazione di restituzione rateale, nonché l’insussistenza
del carattere usurario del tasso, per il mancato assolvimento dell’onere
probatorio circa l’approfittamento da parte della banca dello stato di
3

Il con rel. est.
Loredani Nhzicone

L. 650.000.000, garantito da ipoteca e da fideiussione della Rizzi,

bisogno e di un vantaggio usurario. Per il resto, ha ritenuto le altre
deduzioni assorbite in dette statuizioni.
Avverso la sentenza ha notificato il 6 novembre 2008,
depositandolo il 21 novembre 2008, ricorso per cassazione sulla base di
tre motivi Federico Zizzi, quale erede universale della madre Rizzi,
Zizzi, precedentemente scomparso 1’8 novembre 2006 nel corso del
giudizio di opposizione.
Si è costituita l’intimata, chiedendo dichiararsi il ricorso
inammissibile per tardività, posto che nessuna dichiarazione dell’evento
interruttivo fu resa dal difensore di Claudio Zizzi nel corso del giudizio
di merito, onde tale evento non ha avuto alcun rilievo al fine del decorso
del termine per impugnare e la decisione è passata in giudicato verso il
medesimo, con effetto anche sulla posizione accessoria del fideiussore.
Ha chiesto, in subordine, il rigetto del ricorso, proponendo ricorso
incidentale condizionato con riguardo alla disposta compensazione delle
spese.
Le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. — La sentenza di primo grado, che ha deciso sull’opposizione
all’esecuzione, è stata depositata il 25 maggio 2007, dunque nell’arco
temporale compreso tra il 1° marzo 2006 ed il 4 luglio 2009 e durante il
periodo di vigenza dell’art. 616 c.p.c., nel testo risultante dalla novella di
cui all’art. 14 1. 24 febbraio 2006 n. 52 (poi oggetto di modificazione da
parte dell’art. 49 1. 18 giugno 2009 n. 69).
Ne deriva che essa non è impugnabile con l’appello ed è, perciò,
soggetta al ricorso immediato per cassazione, ex art. 111, 7 0 comma,
cost. (cfr. Cass., sez. III, 3 aprile 2013, n. 8106; sez. lav., 19 marzo 2013,
n. 6788; sez. III, 29 gennaio 2013, n. 2072; sez. III, 18 luglio 2011, n.

4

Il c n rel. est.
Lored
zicone

venuta meno il 6 maggio 2008 e già erede universale del marito Claudio

15731; sez. VI, ord. 6 giugno 2011, n. 12165; sez. VI, ord. 30 aprile
2011, n. 9591).
1.2. — Il ricorso è, altresì, tempestivo, dovendosi disattendere
l’eccezione di inammissibilità sotto tale profilo sollevata dalla
controricorrente.
i termini mensili o annuali, fra i quali è compreso quello di decadenza
dall’impugnazione ex art. 327 c.p.c., si osserva, a norma degli art. 155, 2°
comma, c.p.c. e 2963, 4° comma, c.c., il sistema della computazione
civile non ex numero, bensì ex nominatione dierum, onde il decorso del
tempo si ha, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni
compresi nel rispettivo periodo, allo spirare del giorno corrispondente a
quello del mese iniziale (Cass., sez. VI, 9 luglio 2012, n. 11491), risulta
che il primo evento interruttivo riguardò il dante causa dell’odierno
ricorrente e si verificò in data 8 novembre 2006, restando, però,
irrilevante, in quanto non dichiarato dal difensore a norma dell’art. 300
c.p.c. nel corso del giudizio di primo grado.
Sopraggiunta la definizione del grado con sentenza pubblicata il
25 maggio 2007, il termine lungo annuale per impugnare, a norma
dell’art. 327 c.p.c. (ratione temporis applicabile, nel testo anteriore alla
dimidiazione disposta con l’art. 46, comma 17, 1. 18 giugno 2009, n. 69,
per la disposizione transitoria di cui all’art. 58 1. cit. applicabile solo ai
giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009), va individuato nella data del 25
maggio 2008, trattandosi di giudizio di opposizione all’esecuzione,
sottratto alla sospensione feriale dei termini ai sensi degli art. 92 del r.d.
30 gennaio 1941, n. 12 e 3 della legge 7 ottobre 1969, n. 742.
Un secondo evento interruttivo si verificò il 6 maggio 2008,
quindi nel secondo periodo semestrale di decorrenza del termine lungo
per l’impugnazione: termine che, pertanto, fu automaticamente prorogato
di sei mesi per tutte le parti, ai sensi dell’art. 328 c.p.c., andando a
5

Lore

Il co s. j reI. est.
Nzzicne

Premesso che, secondo il costante orientamento di legittimità, per

scadere il 6 novembre 2008. Sul punto, giova osservare che la riforma
attuata con la citata legge n. 69 del 2009 ha mancato di incidere
sull’articolo ora ricordato, al fine di renderlo coerente con il nuovo
disposto dell’art. 327 c.p.c., che ha abbreviato a sei mesi il termine lungo
per l’impugnazione, dal momento che, invero, quando l’evento
— fattispecie contemplata dall’art. 328 c.p.c. — ormai la sentenza stessa è
di regola già passata in giudicato e, dunque, non rileva alcuna proroga
del termine stesso.
Il difetto di coordinamento è stato risolto in dottrina in vario
modo, avendo taluni sostenuto che la norma sia da reputare
implicitamente abrogata, in quanto incompatibile con l’innovazione
disposta nel 2009. Tale profilo, peraltro, resta irrilevante nel caso di
specie, cui deve applicarsi il regime anteriore, e dunque anche
l'(invariato) art. 328 c.p.c.
Proprio l’ultimo giorno utile del 6 novembre 2008 è stato
notificato il ricorso introduttivo di Federico Zizzi, che quindi è
tempestivo.
2. — Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la «radicale
carenza di motivazione su questioni di fatto e conseguente nullità della
sentenza per difetto di un requisito di forma indispensabile prescritto
dagli art. 132, primo comma, n. 4, c.p.c. e 118, secondo comma, disp.
att. c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
Il motivo si articola in sette sottomotivi, rubricati da “A” a “G”,
con i quali egli intende evidenziare l’omessa motivazione su “questioni
di fatto”, indicate come segue:
A) inapplicabilità dell’art. 41 del d.lgs. 24 settembre 1993, n., 385,
avendo le parti palesato (mediante gli argomenti dal ricorrente
richiamati, quali la nullità dell’ipoteca ed elementi testuali del
contratto) trattarsi di mutuo ipotecario ordinario e non di mutuo
6

A

Il cons rel e t.
Loreda
zzi on

interruttivo si verifichi dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza

fondiario, con violazione conseguente dell’art. 479 c.p.c. a causa
dell’omessa notifica del titolo esecutivo;
B) nullità, contraddittorietà e genericità dell’atto di precetto, quanto alla
quantificazione delle 45 rate scadute e degli interessi;
C) simulazione ex art. 1414 c.c. del contratto di mutuo, mirante nella
chirografari del mutuatario;
D) inesistenza o nullità dell’ipoteca per violazione del principio di
specialità ex art. 2809, 2839, 2841 c.c., indicando l’atto di
concessione di ipoteca la somma di lire 1.950.000.000, ma per una
serie di importi in parte ancora indeterminati, quale il debito degli
interessi;
E) nullità della fideiussione ai sensi degli art. 1344, 1418 e 1938 c.c., in
quanto fissata pari al predetto importo di lire 1.950.000.000, con
elusione della norma, costituendo in effetti una fideiussione omnibus;
F) nullità, ai sensi degli art. 1815, 1284 c.c., 2 e 20 della legge 10
ottobre 1990, n. 287, delle clausole di determinazione degli interessi
ultralegali nella misura di mezzo punto oltre il prime rate Abi ed
iniziale del 9,50%;
G) nullità ex art. 1283 e 1418 c.c. delle condizioni generali di contratto
sugli interessi moratori sulle rate scadute, per violazione del divieto
di anatocismo.
Il quesito di diritto è così formulato: «Dica la Corte se,
considerate le censure e i motivi sopra enunciati, la sentenza impugnata
sia affetta da nullità a causa della radicale carenza di motivazione sulle
questioni analiticamente indicate nei punti A) — B) — C) — D) — E) — F) —
G) del presente motivo di ricorso, la quale si traduce nel difetto di un
requisito indispensabile prescritto dal combinato disposto degli art. 132,
I comma, n. 4, c.p.c. e 118, H comma, disp. att. c.p.c.».

7

Il cons. r I.
Loredana Nicné

realtà a costituire la garanzia ipotecaria per precedenti debiti

2.1. — Occorre ricordare che l’opposizione all’esecuzione ex art.
615 c.p.c. introduce un giudizio avente per oggetto la contestazione del
diritto della parte istante a procedere all’esecuzione forzata, essendo
strutturata come un processo ordinario di cognizione, in cui la domanda è
volta alla contestazione dell’azione esecutiva, mirando essa ad accertare
quello vantato, onde l’opponente ha l’onere di dedurre elementi idonei a
giustificare la dedotta insussistenza del diritto all’esecuzione.
Assumendo la veste sostanziale e processuale di attore,
l’opponente ha, quindi, l’onere di allegare e di provare i fatti estintivi,
impeditivi o modificativi del credito vantato, nonché gli elementi di
diritto costituenti i motivi di opposizione; l’opposto, a sua volta, può
contestare tali deduzioni, sia quanto all’esistenza dei fatti che
l’opponente assume a fondamento dell’opposizione, sia alle conseguenze
che l’opponente vuol trarne (Cass., sez. III, 19 febbraio 2013, n. 4011;
sez. III, ord. 20 gennaio 2011, n. 1328; sez. III, 13 novembre 2009, n.
24047). La contestazione del debitore esecutato circa l’ammontare
del credito per cui si procede può, quindi, comportare una pronuncia, con
la quale si affermi, da parte del giudice dell’opposizione all’esecuzione,
l’inesistenza del diritto del creditore di procedere per quella parte del
credito che, rispetto alla maggior somma per cui si agisce in sede
esecutiva, si accerti come non dovuta (Cass., sez. III, 16 aprile 2013, n.
9161). Sulla base di tali consolidati principi deve, dunque, concludersi
che le “eccezioni” o “questioni”, avanzate per contrastare il diritto del
creditore a procedere ad esecuzione forzata, costituiscono le causae
petendi della domanda proposta con il ricorso in opposizione.
Nel motivo, il ricorrente lamenta che, su tutte, meno una, delle
censure in diritto proposte in primo grado, il tribunale ha omesso
interamente di motivare il rigetto.

8

Il c
Lore

r91. est.
z ‘cone

che il credito, per il quale si procede, sia inesistente, oppure inferiore a

La parte ricorrente aveva chiesto, innanzi al tribunale,
l’accoglimento di talune domande di accertamento della nullità del
contratto di mutuo, della costituzione di ipoteca e della fideiussione:
sebbene così formulata ivi la pretesa, deve ritenersi che essa (per quanto
esposto) fosse volta all’accertamento del minore ammontare o
In questa sede di legittimità, il vizio denunziato dal ricorrente non
è l’omessa pronunzia, ma l’omessa motivazione: si sostiene, invero, che
il tribunale avrebbe respinto — in parte espressamente ed in parte
reputandole assorbite — tutte le domande proposte con l’atto di citazione
in opposizione, pur mancando di motivare circa il rigetto delle
medesime, salvo che per una (l’usurarietà del tasso, per la quale infatti il
ricorrente propone autonomamente il secondo motivo di ricorso).
2.2. — Questa Corte ha chiarito come «la figura dell’assorbimento,
che esclude il vizio di omessa pronuncia, ricorre, in senso proprio,
quando la decisione sulla domanda cd. assorbita diviene superflua, per
sopravvenuto difetto di interesse della parte, che con la pronuncia sulla
domanda cd. assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più
pieno, e, in senso improprio, quando la decisione cd. assorbente esclude
la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero
comporta un implicito rigetto di altre domande» (cfr., fra quelle recenti,
Sez. 2, 9 ottobre 2012, n. 17219; sez. 5, 16 maggio 2012, n. 7663).
Dunque, l’ipotesi di assorbimento c.d. improprio — che il tribunale
ha reputato sussistere nell’ipotesi in esame per le questioni non
espressamente affrontate nella sua motivazione — ricorre allorché una
domanda venga decisa sulla base della soluzione di una questione di
carattere esaustivo, che renda vano esaminare le altre: in sostanza, ove
sussista il presupposto logico predetto, la motivazione sufficiente e
pertinente è proprio quella dell’assorbimento.

9
Lore

dell’inesistenza del debito.

Pertanto, l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia
(se non in senso solo formale), in quanto, in realtà, la decisione cd.
assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto come
nella specie, oppure di accoglimento) anche sulle questioni cd. assorbite.
Con riguardo alla motivazione della sentenza, giova ricordare che,
motivazionale della sentenza di alcuno dei momenti logici necessari
configura un vulnus al principio generale secondo cui tutti i
provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati, ai sensi dell’art.
111, sesto comma, Cost., vizio che può spaziare, secondo la gravità,
dall’insufficienza logica ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
(nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 54, primo comma,
lett. b, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n.
134), fino alla totale difformità della sentenza dal modello legale per
assenza dell’indicato requisito essenziale, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 4, in relazione agli art. 132, secondo comma, n. 4 e 118,
primo comma, disp. att. c.p.c. (cfr. Cass., sez. V, 20 luglio 2012, n.
12664).
Una motivazione inesistente o radicalmente inidonea a lasciar
comprendere il procedimento logico-giuridico della decisione integra la
violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.: la sentenza è nulla,
se risulta mancante dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si
fonda, ovvero la motivazione sia solo apparente, perché non idonea a
rivelare la ratio decidendi, onde ne resta impedito ogni controllo sul
percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del
convincimento del giudice (cfr. Cass., sez. lav., 8 gennaio 2009, n. 161;
nonché sez. I, 4 agosto 2010, n. 18108; sez. V, 16 luglio 2009, n. 16581;
sin da Cass., sez. un., 12 giugno 1999, n. 319).
2.3. — Nel caso di specie, il tribunale ha respinto tutte le domande,
espressamente motivando con riguardo ad alcune (la validità del
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come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la carenza nell’impianto

contratto di mutuo e la qualificazione, ritenuta non usuraria, degli
interessi) e reputando invece “assorbite” tutte le altre.
Tuttavia, ove si escluda, per quanto esposto, che sia corretta
rispetto ad una certa questione proposta dall’opponente la valutazione di
assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione del rigetto ne
Orbene, dall’esame delle questioni, che l’opponente aveva
sottoposto al giudice, si coglie agevolmente come la statuizione di
assorbimento sia corretta con riguardo solo ad una parte delle medesime;
negli altri casi, invece, l’errore compiuto con la statuizione di
assorbimento delle questioni ha prodotto il vizio di omessa radicale
motivazione, in quanto — non ravvisandosi ivi il fenomeno indicato — la
sentenza perviene ad una pronuncia di rigetto priva di qualsiasi
motivazione.
In particolare, reputa il Collegio che il lamentato vizio di
motivazione non sussista con riguardo alle questioni dedotte sub a) e c)
del primo motivo, riassunte al § 2, mentre si ravvisa rispetto a quelle sub
b), d), e),J), g).
Quanto all’accertamento dell’usurarietà del tasso, il primo motivo
non riguarda tale profilo (censurato nel secondo motivo).
2.4. — Non si ravvisa, anzitutto, il vizio di omessa motivazione con
riguardo al gruppo di questioni sub a) e c).
Il Tribunale di Latina ha ampiamente argomentato circa la natura
del contratto di finanziamento come mutuo fondiario e sull’esclusione
della sua natura di mutuo di scopo, con legittimo utilizzo, pertanto, di
una parte delle somme ricevute dalla parte mutuataria — fra le altre
destinazioni ipotizzabili — per estinguere i propri precedenti debiti.
La sentenza del giudice del merito ha considerato come
preliminare la questione circa la natura del contratto, richiamando il testo
unico bancario, che legittima qualsiasi banca all’esercizio del credito
11
Lore

risulta il vizio di motivazione del tutto omessa.

fondiario, descritto dall’art. 38 del d.lgs. 24 settembre 1993, n. 385 solo
con riguardo alla concessione di finanziamenti a medio e lungo termine
garantiti da ipoteca di primo grado.
Alla stregua di tale definizione, il tribunale poi ha proceduto —
sulla base degli elementi accertati, fra cui il patto di rimborso della
letterale del negozio, da cui emerge come non si tratti di mutuo di scopo
perché manca qualsiasi vincolo di destinazione della somma — ad
escludere la illiceità del contratto.
In tal modo, il giudice del merito si è adeguato all’orientamento
costante di legittimità, secondo cui il mutuo fondiario non è mutuo di
scopo.
Mentre quest’ultimo, infatti, è connotato dall’obbligo del
mutuatario di realizzare l’attività programmata, sicché la destinazione
delle somme mutuate è parte inscindibile del regolamento di interessi
voluto dalle parti (Cass., sez. III, 24 gennaio 2012, n. 943) e la presenza
della clausola di destinazione comporta allora che, qualora non sia poi
realizzato il progetto, il contratto è nullo (nullità ora ricondotta alla
mancanza di causa negoziale ai sensi dell’art. 1418 c.c., ora all’illiceità
della causa stessa per essere stato il contratto voluto e attuato in frode
alla legge ex art. 1344 c.c.: profilo che non rileva, però, qui
approfondire), invece il credito fondiario — secondo la nozione
contemplata nell’art. 38 del citato d.lgs. n. 385 del 1993 — «ha per
oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e
lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili».
Esso “monetizza” nell’immediato il valore di scambio del bene
immobile (cfr. Corte cost., 22 giugno 2004, n. 175), pur senza procedere
il mutuatario alla dismissione di esso, e permette, a differenza ad
esempio del mutuo ordinario o dell’apertura di credito, una durata
medio-lunga, ciò essendo sufficiente ad integrarne la causa concreta.
12

somma in dieci anni, la garanzia concessa su immobili, la formulazione

Va, dunque, ribadito che il mutuo fondiario non costituisce un
mutuo di scopo, dal momento che non ne è elemento essenziale il patto
di destinazione della somma mutuata a fini di miglioramento dei fondi
sui quali è costituita l’ipoteca, che il mutuatario sia tenuto a perseguire,
né l’istituto mutuante deve controllare l’utilizzazione che viene fatta
della somma erogata (Cass., sez. I, 26 marzo 2012, n. 4792, con riguardo

alla disciplina del t.u.b.; sez. III, 20 aprile 2007, n. 9511).
Anche la tesi della simulazione è stata disattesa dalla Corte (sez. I,
6 novembre 2006, n. 23669), affermandosi «l’inconferenza del fenomeno
simulatorio ai fini di una esatta ricostruzione delle fattispecie esaminate,
dal momento che il successivo finanziamento con la contestuale garanzia
ipotecaria risultano effettivamente voluti dalle parti»).
Ne deriva che, nel mutuo fondiario, il finanziamento dietro
garanzia ipotecaria ben può essere finalizzato allo scopo soggettivo che
le parti si prefiggono, e, se questo è costituito dall’utilizzo della somma
per sanare debiti pregressi verso la banca, non per ciò solo può
predicarsene l’illiceità. E ciò appare del tutto coerente con la situazione
fattuale, in cui l’erogazione di denaro si è certamente realizzata,
indipendentemente dall’uso che ne sia seguito.
Da tale preliminare accertamento, la sentenza impugnata ha fatto
coerentemente derivare la decisione di assorbimento per quanto attiene
(sub a) alla nullità del precetto per l’omessa notifica del titolo esecutivo,
trattandosi appunto di mutuo fondiario, cui si applica l’art. 41, primo
comma, d.lgs. n. 385 del 1993, il quale legittima l’inizio dell’esecuzione
esonerando la banca da tale onere. La decisione di assorbimento è esatta
anche con riguardo alla insussistenza della simulazione (sub c), in quanto
la dazione della somma fu realmente voluta.
In sostanza, il tribunale, avendo respinto gli argomenti fondati
sulla illiceità del mutuo, ha correttamente reputato assorbite le questioni

13

Il co
Loreda

est.
one

legate da nesso logico consequenziale alla prima. Ne deriva che il motivo
è infondato, sotto tali profili.
2.5. — La sentenza impugnata ha errato, invece, nell’affermare
l’assorbimento delle questioni afferenti la genericità dell’atto di precetto
(sub b), l’invalidità dell’ipoteca per violazione del principio di specialità
determinazione degli interessi ultralegali (sub .1) e di quella in tema di
anatocismo (sub g).
Nessuna di tali questioni, infatti, può dirsi legata da nesso logico
inscindibile con il rigetto delle domande espressamente argomentate
(qualificazione del contratto come mutuo fondiario non di scopo ed
esclusione dell’usurarietà del tasso degli interessi pattuiti): tale rigetto,
invero, non escludeva la necessità, né la possibilità di pronunciare sulle
questioni prospettate dalla parte, ora ricordate.
2.5.1. — Nondimeno, per taluni di questi profili non si deve
provvedere alla cassazione con rinvio della pronuncia impugnata.
A norma dell’art. 384, quarto comma, c.p.c., «non sono soggette a
cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il
dispositivo sia conforme al diritto» e, in tal caso, la Corte si limita a
correggere la motivazione (norme rispettivamente contenute,
antecedentemente alle modifiche apportate dall’art. 12 d.lgs. 2 febbraio
2006, n. 40, nel primo e nel secondo comma dell’art. 384 c.p.c.)
Reputa il Collegio che, per i principi di economia processuale e
della ragionevole durata del processo, cui all’art. 111, secondo comma,
Cost., in una lettura costituzionalmente orientata ad essi dell’art. 384
c.p.c., quando la domanda od il motivo, non esaminato dal giudice,
proponga infondate questioni di diritto, lo “iato” esistente tra pronuncia
di rigetto e mancato esame va colmato dalla Corte attraverso l’impiego
del suddetto potere di correzione della motivazione, integrando la
decisione di rigetto pronunciata dal giudice del merito mediante
14

Il ce s. seI. est.
Icone
Lored

(sub d), nonché la nullità della fideiussione (sub e), della clausola di

l’enunciazione delle ragioni che la giustificano in diritto, senza necessità
di rimettere al giudice di rinvio il compito di dichiarare infondato in
diritto il motivo in sostanza non esaminato, determinandosi l’inutilità di
un ritorno della causa in fase di merito, sempre che si tratti di questione
che non richiede ulteriori accertamenti di fatto. Si configura, quindi, il
error in procedendo, quale la motivazione omessa.
In tal senso, la Corte si è espressa più volte anche di recente (da
ultimo, Cass., sez. III, 17 giugno 2013, n. 15112, punto 3.2) e proprio in
tema di opposizione all’esecuzione (Cass., sez. III, 3 maggio 2011, n.
9695) o ad ordinanza-ingiunzione (sez. II, 12 aprile 2006, n. 8561; sez. I,
18 febbraio 2005, n. 3388), nonché argomentando specificamente con
riguardo al potere della stessa di pronunciare su questioni assorbite
(Cass., sez. lav., 3 marzo 2011, n. 5139, in tema di domanda di
accertamento della perdurante validità ed efficacia del contratto
individuale di lavoro, ritenuta assorbita in appello). Da tempo risalente
invero si è ritenuto che la mancanza di motivazione su una questione di
diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione
della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad
un un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame
(Cass., sez. III, 3 aprile 1990, n. 2756, seguita da Cass., sez. III, 10
novembre 2000, n. 14630; sez. lav., 27 marzo 1993, n. 3665 e 9 aprile
1990, n. 2940).
Alle esigenze di speditezza occorre anche aggiungere quelle di
certezza nomofilattica e deflazione del contenzioso, che l’ordinamento
assegna alla Corte di cassazione e che parimenti inducono a tale
pronuncia anche qualora, come nel caso in esame, solo su talune delle
questioni erroneamente ritenute assorbite dal giudice del merito sia
possibile non disporre il rinvio.

15

Il co
Loreda

el. est.
zicone

potere della Corte di correggere la motivazione anche in relazione ad un

Per quanto ora esposto, l’orientamento in questione, che risulta
attualmente prevalente, sembra da preferire rispetto a quello contrario
(peraltro enunciato in ipotesi peculiari: cfr. Cass., sez. III, 1° marzo 2007
n. 4804, che motiva mediante sintetico richiamo a quella del 2003; sez.
V, 5 maggio 2003 n. 6784, la quale però concerne un caso in cui la S.C.
2002 n. 15808, caso in cui il giudice di pace, in sede di opposizione a
d.i., aveva revocato il medesimo, omettendo di decidere comunque la
domanda nel merito e dunque con necessari accertamenti in fatto; sez.
trib., 9 novembre 2011, n. 23328, e sez. II, 14 marzo 1988, n. 2440,
secondo cui il potere di correggere la motivazione non può essere
esercitato allorquando sia denunziata l’omessa motivazione, in quanto
apparente; sez. III, 26 febbraio 1998, n. 2123, caso in cui era stato
dichiarato inammissibile l’appello proposto).
Occorre, quindi, esaminare le questioni pretermesse, allo scopo di
valutare la necessità, o no, del rinvio.
2.5.2. — L’allegata genericità dell’atto di precetto (sub b) non
sussiste, dal momento che l’intimazione ad adempiere l’obbligo
risultante dal titolo esecutivo non richiede, quale requisito formale a pena
di nullità, oltre all’indicazione della somma domandata in base al titolo
esecutivo, anche quella del procedimento logico-giuridico e del calcolo
matematico seguiti per determinarla (Cass., sez. III, 19 febbraio 2013, n.
4008).
Pertanto, benché così dovendosi correggere la motivazione della
sentenza impugnata, sul punto il motivo di ricorso va disatteso.
2.5.3. — Parimenti, non è invalida l’ipoteca per l’allegata
violazione del principio di specialità (sub d).
L’ipoteca deve essere iscritta su beni specialmente indicati e per
una somma determinata in danaro (art. 2809 c.c.), eventualmente
precisata anche nella nota di iscrizione (art. 2838 c.c.), la quale appunto
16

Il co
. est.
Loredan7Wizzkone

ha reputato il motivo di ricorso inammissibile; sez. III, 11 novembre

deve fra l’altro indicare l’importo della somma per la quale l’iscrizione è
presa e gli interessi che il credito produce (art. 2839, primo comma, n. 4
e 5, c.c.): dunque, in presenza — come nella specie — del rispetto di questo
elementi formali non basta la mera allegata illegittimità del calcolo degli
interessi per escludere detto requisito.
l’avvenuta confusione nello stesso soggetto della posizione di debitore e
di fideiussore che potrebbe rendere inoperante la garanzia (cfr. art. 1255
c.c.), occorre evidenziare comunque l’insussistenza del vizio.
La fideiussione, per esplicito assunto del ricorrente, fu prestata
sino alla concorrenza della somma di L. 1.950.000.000, quindi con
importo determinato. Tuttavia, egli prospetta il rilascio di una
fideiussione omnibus, sulla base del fatto che essa è d’ingente importo,
che fu concessa insieme ad una garanzia ipotecaria e che il contratto
contiene la clausola secondo cui «la parte fideiubente si impegna altresì
a rimborsare alla banca le somme che dalla banca fossero incassate in
pagamenti di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a
seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, per
qualsiasi altro motivo».
L’assunto non ha pregio.
Posto che il mero importo massimo della garanzia, per quanto
elevato, non è di per sé sintomo della mancanza effettiva di un “tetto”
alla garanzia prestata, né ciò potrebbe parimenti predicarsi per essere il
medesimo debito garantito pure a mezzo di ipoteca, circa il meccanismo
della clausola in questione questa Corte si è già pronunciata,
affermandone la liceità.
Si è ritenuto, infatti, che il contratto di fideiussione omnibus,
contenente una clausola di cd. reviviscenza dell’obbligazione di garanzia
per il caso di invalidità o revoca dei pagamenti effettuati dal debitore
garantito, non è affetto da nullità: il principio di accessorietà della
17

Ilel. est.
Lored
icone

2.5.4. — Circa la dedotta nullità della fideiussione (sub e), a parte

garanzia comporta bensì il venir meno dell’obbligazione tutte le volte in
cui quella principale sia estinta, ma non esclude la possibilità della sua
rinnovata vigenza, allorché dopo l’estinzione il debito principale ritorni
ad esistenza in virtù di fatti sopravvenuti (Cass., sez. I, 17 ottobre 2008,
n. 25361; sez. I, 8 febbraio 2008, n. 3011; sez. I, 23 marzo 2004, n.
Pertanto, il motivo di ricorso va disatteso al riguardo, in tal modo
correggendosi la motivazione della sentenza impugnata.
2.5.5. — La domanda di nullità della clausola di determinazione
degli interessi in misura ultralegale (sub f) è infondata, ma occorre
procedere all’integrazione della motivazione in diritto, come segue.
La valida stipulazione di una convenzione relativa agli interessi
richiede — ai sensi dell’art. 1284, terzo comma, c.c., e poi della legge 17
febbraio 1992, n. 154, trasfusa negli art. 117 ss. del d.lgs. 24 settembre
1993, n. 385, testo unico bancario, applicabile nella specie — la forma
scritta e il contenuto univoco; ma tali condizioni possono essere
soddisfatte anche per relationem, attraverso il richiamo a criteri
prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obiettivamente individuabili.
Infatti, il legislatore ha inteso sancire la sicura nullità di alcune
clausole di rinvio (si pensi a quella, che diede adito ad acceso dibattito,
del rinvio agli “usi di piazza”), ma non ha però escluso la legittima
relatio, nell’ambito del negozio formale in oggetto, del patto sugli
interessi ultralegali.
Ciò che si richiede è solo che, nell’ipotesi in cui il contratto
formale rimandi all’esterno per la determinazione di una parte del suo
contenuto (art. 1346 c.c.), l’elemento esterno in questione sia noto e
certo, o siano, comunque, prefissati i criteri della sicura determinazione,
così da escludere qualsiasi incertezza applicativa: in sostanza, occorre
che il tasso, in tal modo individuato, sia altrettanto inequivoco di una
diretta indicazione del medesimo nel testo contrattuale; così esso risulta
18

Il 51sJ1. est.
Lored
icone

5720).

determinabile e controllabile in base a criteri oggettivamente indicati, ed
il requisito legale è rispettato.
In particolare, se il tasso convenuto sia variabile, ai fini della sua
precisa individuazione è idoneo il riferimento a parametri fissati su scala
nazionale alla stregua di accordi interbancari (Cass., sez. III, 19 maggio
n. 2317; sez. III, 11 novembre 2005, n. 22898; e v. già, per l’epoca
anteriore alla legge n. 154 del 1992, sez. III, 29 gennaio 2013, n. 2072;
sez. I, 14 agosto 1997, n. 7627).
La clausola in esame soddisfa tale requisito, in quanto il contratto,
concluso il 20 novembre 1997, prevedeva il tasso degli interessi nella
misura di mezzo punto oltre il prime rate Abi ed iniziale del 9,50%; esso
è di agevole determinazione, operando il riferimento al tasso
determinato, in quanto applicato alla clientela primaria (“prime rate”),
dall’Associazione Bancaria Italiana, più mezzo punto, onde il calcolo ed
il suoi elementi ne risultano agevoli, conoscibili e certi.
2.5.6. — Con riguardo alla dedotta nullità ex art. 1283 c.c. della
clausola di cui all’art. 4 delle condizioni generali di contratto (sub g), il
ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, la
riporta come segue: «in caso di ritardato pagamento, alle rispettive
scadenze delle rate pattuite, decorreranno a favore della banca gli
interessi di mora in ragione del 4% all’anno e ciò in aggiunta
dell’interesse pattuito oltre gli accessori e le spese connesse».

Il contratto di mutuo fondiario fu concluso dalle parti il 20
novembre 1997, e, pertanto, nel vigore del testo unico bancario del 1993
e prima delle modificazioni apportate con il d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342
e della deliberazione CICR del 9 febbraio 2000.
Con riguardo all’eventualità della capitalizzazione degli interessi,
mentre l’art. 38 del r.d. 16 luglio 1905, n. 646 e l’art. 14 del d.P.R. 21
gennaio 1976, n. 7 ammettevano espressamente la capitalizzazione degli
19

nc
Lored

1. est.
az ‘cone

2010, n. 12276; sez. I, 29 luglio 2009, n. 17679; sez. III, 2 febbraio 2007,

interessi dovuti dal giorno della scadenza, in deroga alle previsioni
dell’art. 1283 c.c. (onde Cass., sez. III, 3 maggio 2011, n. 9695 e 31
gennaio 2006, n. 2140 hanno ritenuto che il mancato pagamento di una
rata di mutuo fondiario comporti l’obbligo di corrispondere gli interessi
di mora sull’intera rata, inclusa la parte che rappresenta gli interessi di
ha provveduto il d.lgs. n. 342 del 1999 con l’introduzione del secondo
comma all’art. 120 t.u.b., il quale, tuttavia, non è applicabile in via
retroattiva (dopo la declaratoria di incostituzionalità del terzo comma
dell’art. 25 d.lgs. 1999 citato).
La clausola in esame non è univoca nelle espressioni letterali
utilizzate e dunque avrebbe necessitato di un raffronto con le concrete
modalità attuative del rapporto, al fine, in particolare, di verificare se la
banca abbia capitalizzato o no gli interessi di mora.
Qui, infatti, si può solo osservare che i contratti di che trattasi,
sulla base delle deduzioni delle parti, sono mutui cd. ad ammortamento,
con rate composte dalla quota di capitale e dalla quota di interessi. Come
rilevato in altra vicenda, nella pratica frequente degli affari, applicando
gli interessi di mora all’intero importo della rata di ammortamento si
può determinare un fenomeno anatocistico, relativamente alla parte della
rata corrispondente all’ammontare degli interessi, vietato dall’art. 1283
c.c. in mancanza di usi contrari, quando manchi la domanda giudiziale o
una convenzione posteriore alla scadenza (Cass., sez. III, 29 gennaio
2013, n. 2072, in motivazione; sez. III, 20 febbraio 2003, n. 2593).
Ma il relativo accertamento non è consentito in questa sede, onde,
al riguardo la sentenza va cassata con rinvio, affinché il tribunale, in altra
composizione, accerti se in fatto sia stato operato l’anatocismo con
riguardo agli interessi di mora secondo la clausola dell’art. 4 delle c.g.c.
3. — Con il secondo motivo, il ricorrente censura la violazione e
falsa applicazione degli art. 1414 e 1345 c.c., nonché dell’art. 67 legge
20

Iln rel. est.
Loredda azzicone

ammortamento), sul punto il legislatore del 1993 nulla aveva disposto; ed

fall., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., laddove la
sentenza impugnata afferma che una delle possibili finalità del mutuo
fondiario è anche quella di estinguere debiti preesistenti, mentre il
ricorrente sostiene, in modo sovrapposto, le tesi della simulazione
relativa, della revocabilità del mutuo in quanto mezzo anomalo di
dunque, alla Corte di stabilire se sia conforme all’ordinamento
l’affermazione secondo cui una delle possibili finalità del credito
fondiario sia quella di utilizzare le somme per estinguere un debito
precedente verso la banca, senza che possa riscontrarsi così un uso
distorto dello strumento.
Il motivo è inammissibile, in quanto giustappone plurime
qualificazioni di invalidità del contratto in esame (simulato, revocabile,
nullo per motivo illecito comune) e dunque viola il requisito della
specificità dei motivi del ricorso per cassazione, dal momento che
contiene il riferimento ad una pluralità di questioni precedute
unitariamente dalle norme violate (di recente, cfr. Cass. 20 settembre
2013, n. 21611).
Esso, inoltre, sollecita in realtà la ripetizione del giudizio in fatto,
laddove il giudice del merito, come già esposto, ha ampiamente motivato
la ragione che induce a ravvisare nella specie proprio un mutuo
fondiario.
Quanto alla liceità del mutuo fondiario ove la somma sia utilizzata
per sanare passività pregresse, si rimanda a quanto già esposto al § 2.4.
Dunque, incontestato che solo una parte delle somma mutuata sia stata
utilizzata per l’adempimento di debiti preesistenti, la sentenza impugnata
non ha errato nell’escluderne la nullità per tale motivo.
4. — Con il terzo motivo, deducendo la violazione e falsa
applicazione degli art. 1815, secondo comma, c.c. e 644, terzo comma,
c.p., il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata non abbia ritenuto
21

Il c1s. /el. est.
Lored
zzkcone

pagamento o ancora della nullità per motivo illecito comune. Chiede,

usurario il tasso ed abbia respinto la pretesa di non corrispondere a tale
titolo alcunché alla banca, avendo riscontrato la mancata prova
dell’approfittamento dello stato di bisogno e di un vantaggio usurario.
Deduce che la misura degli interessi pattuita — pur pacificamente
assai inferiore al cd. tasso soglia — sia usuraria, ai sensi dell’art. 644,
perché lo stipulante si trovava in obiettive difficoltà economiche e
finanziarie, in ragione del saldo debitore del conto corrente presso la
banca che, alla data di stipula del mutuo del 20 novembre 1997, era pari
a L. 411.604.431; mentre l’approfittamento è ora non più elemento
costitutivo del reato, ma circostanza aggravante.
Conclude con il seguente quesito: «Dica la Corte se, considerate
le censure e i motivi sopra enunciati, sia conforme all’ordinamento
„.

■ •

l’affermazione che, in difetto di prova dell’approfittamento dello stato di
bisogno da parte della Banca convenuta, e di un vantaggio usurario per
la stessa, non è configurabile la fattispecie di cui all’art. 644 c.p.».
4.1. — Il motivo non coglie nel segno.
Il ricorrente, pur ammettendo che non sia certamente superato il
cd. tasso soglia (nella specie, il tasso legale degli interessi ex art. 1284
c.c. era fissato al 5% dal 1° gennaio 1997 ex art. 2, comma 185°, 1. 23
dicembre 1996, n. 662; il d.m. Tesoro 25 settembre 1997, emanato ai
sensi dell’art. 1 1. n. 108 del 1996, ha rilevato il tasso effettivo globale
medio per i mutui, nel periodo dal 1° ottobre al 31 dicembre 1997, in
quello del 9,39%, che, aumentato della metà, individua il tasso soglia nel
14,85%), reputa violato l’art. 644 c.p., ponendo l’accento specificamente
sull’esistenza di un precedente debito del mutuatario verso la banca.
Tuttavia, non la mera esistenza di un debito anteriore integra la
fattispecie normativa, e, dunque, quella dell’art. 1815, secondo comma,
c.c. L’illiceità del negozio di mutuo sussiste, ai sensi della norma, solo
nel caso in cui si ravvisino gli estremi del reato di usura, di cui all’art.
22

Il c
Lored

.
est.
a icone

terzo comma, c.p., come modificato dalla legge 7 marzo 1996, n. 108,

644 c.p., che, nella formulazione successiva alla 1. 7 marzo 1996, n. 108,
richiede la sproporzione degli interessi convenuti e la condizione di
difficoltà economica o finanziaria di chi li ha promessi.
Il secondo elemento, pertanto, non è sufficiente: e posto che viene
richiesto specificamente il requisito della «sproporzione rispetto alla
cui onere grava sulla parte che lo fa valere, comporta che il fatto non
sussiste.
Come già affermato da questa Corte, «alfine d’integrare il reato
di usura ai sensi dell’art. 644 c.p. così come novellato per effetto della l.
7 marzo 1996 n. 108, la condotta criminosa esige il requisito oggettivo
dello squilibrio finanziario legalmente qualificato nell’ambito del
contratto a prestazioni corrispettive; ne consegue che la linea di
demarcazione tra condotta penalmente rilevante e operazione lecita in
relazione alle concrete ed eventualmente complesse caratteristiche del
rapporto è dettata proprio dalla sproporzione dei vantaggi
unilateralmente conferiti ad una sola delle parti» (Cass., sez. III, 31

agosto 2011, n. 17882).
In concreto, la situazione di difficoltà economica o finanziaria può
anche dedursi dalla misura degli interessi, purché però di entità tale da
far ragionevolmente presumere che soltanto un soggetto che versi in tale
stato possa contrarre il prestito alle indicate condizioni; onde centrale
diventa il requisito della sproporzione notevole tra interesse pattuito e
quello praticato dalle banche, quest’ultimo misura del «valore» di quella
prestazione pecuniaria (analogamente a quanto ritenuto in passato, per lo
stato di bisogno, es. da Cass. pen., sez. II, 27 febbraio 1995, Loizzi, ove
l’interesse convenuto ammontava al quarantaquattro per cento su base
annua rispetto al venti per cento richiesto dagli istituti di credito).
4.2. — Nel caso di specie, essendo incontestato che gli interessi
pattuiti fra le parti fossero inferiori al cd. tasso soglia che delimita quelli
23

II c.
Lored

I. est.
cone

prestazione di denaro», il mancato accertamento di tale presupposto, il

usurari, deve applicarsi il regime probatorio di cui all’art. 644, terzo
comma, seconda parte, c.p.
Il tribunale ha respinto la pretesa, ritenendo mancante la prova
dell’approfittamento dello stato di bisogno e del vantaggio usurario. In
tal modo, se la motivazione non è pertinente riguardo al primo elemento
sproporzione), la pronuncia risulta nel contempo sufficientemente
sostenuta dalla ritenuta assenza di prova dei vantaggi usurari.
Il ricorrente, invero, avrebbe dovuto dedurre e provare — in sede di
merito — il requisito della sproporzione del tasso degli interessi, con
riguardo alla prestazione di denaro ricevuta, ad esempio dimostrando la
misura inferiore di quelli all’epoca corrisposti usualmente per prestazioni
simili, il tutto mediante idonei e dettagliati calcoli, ed in tal modo
assolvendo all’onere, gravante sulla parte che deduce l’usurarietà degli
interessi, di dimostrare l’assunto.
Egli, invece, si è limitato ad affermare la sussistenza di un
precedente debito in capo alla parte, situazione che di per sé è inidonea
ad integrare la fattispecie normativa.
Il motivo finisce per risolversi, così, nel sollecitare la ripetizione
del giudizio di fatto, inammissibile in questa sede.
5. — Da quanto precede consegue che il ricorso va accolto, nei
limiti su esposti, e la sentenza impugnata dev’essere cassata con rinvio,
perché si accerti se la banca abbia incluso nel precetto la capitalizzazione
degli interessi, sulla base dell’art. 4 delle condizioni generali del
contratto di mutuo.
La decisione si atterrà — oltre a quanto enunciato al § 2 — al
principio di diritto, secondo cui l’eventuale eccessività della somma
portata nel precetto non travolge questo per l’intero, ma dà luogo soltanto
alla riduzione della somma domandata nei limiti di quella dovuta, con la
conseguenza che l’intimazione rimane valida per la somma
24

Il co S. ifr . est.
Loredm
cone

(non più richiesto dalla norma e sostituito dall’elemento oggettivo della

effettivamente spettante, alla cui determinazione provvederà il giudice,
che è investito di poteri di cognizione ordinaria a seguito
dell’opposizione in ordine alla quantità del credito.
Il rinvio è disposto al Tribunale di Latina, che provvederà in
persona di diverso magistrato addetto all’ufficio, anche sulle spese del
6. — Il ricorso incidentale, che censura la compensazione delle
spese disposta dal giudice del merito, deducendo la violazione dell’art.
92, secondo comma, c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e
5, c.p.c., per non averne la sentenza esplicitato i motivi, è assorbito.
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione il ricorso. Cassa la sentenza
impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del
giudizio di cassazione, al Tribunale di Latina, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 31 ottobre 2013.

giudizio di cassazione.

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