Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28663 del 23/12/2011
Cassazione civile sez. II, 23/12/2011, (ud. 02/12/2011, dep. 23/12/2011), n.28663
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo – Presidente –
Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 9452/2006 proposto da:
CAM SRL (OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro
tempore elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 22, presso
lo studio dell’avvocato MARCONI Francesco, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato DE FILIPPI CRISTIANO;
– ricorrente –
contro
FALL SIME ELETTRONICA SRL in persona del Curatore e legale
rappresentante pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 133/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,
depositata il 02/02/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
02/12/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In forza di d.i. del Pretore di Chieti in base a fattura la srl Sime Elettronica intimava alla srl CAM il pagamento di complessive L. 31.041.500 quale corrispettivo per la fornitura di un macchinario per l’erogazione di materia sigillante.
Proponeva opposizione l’ingiunta deducendo che il prezzo era stato pattuito in L. 22.000.000 ed eccependo in compensazione danni per L. 17.214.000.
Il Tribunale di Torino, cui la causa era rimessa per competenza e riassunta dopo il fallimento del creditore opposto, con sentenza 27.9.2002, qualificato il contratto come vendita anzicchè quale appalto, conteneva in L. 24.000.000 comprensivi di Iva la condanna ma riconosceva i danni in L. 2.000.000, decisione riformata dalla Corte di appello di Torino con sentenza 133/2005 che riconosceva i danni in L. 17.000.000 in base a documenti e testimonianze, accordando al fallimento un residuo credito di L. 5.000.000 oltre Iva al 19%.
Ricorre CAM con tre motivi, non svolge difese il fallimento.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Si denunziano, con contestuale trattazione: 1) vizio ex art. 360 c.p.c., n. 4, in combinato disposto con l’art. 112 c.p.c.; 2) vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3, in combinato disposto con l’art. 2697 c.p.c.; 3) vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, per erronea e contraddittoria motivazione.
La Corte non ha considerato le conclusioni sottopostele, riportate circa la richiesta di revoca del d.i., non ha considerato che il fallimento non aveva contestato l’acconto di L. 11.900.000 e che, rispetto all’importo preteso di L. 42.941.150, residuava un saldo corrispondente alla sola seconda fattura.
Le censure, come formulate, non meritano accoglimento.
La contestuale trattazione di tre motivi diversi elude la necessaria specificità dell’impugnazione.
La censura ex art. 112 c.p.c., presupponeva che si riportasse puntualmente l’atto di appello e non le sole conclusioni mentre la generica lamentata violazione di legge non è formulata mediante specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità bensì mediante la mera apodittica contrapposizione delle proprie tesi.
La pronunzia di merito è viziata per violazione dell’art. 2697 c.c., solo ove il giudice abbia erroneamente applicato i principi regolatori dell’onere della prova, diversamente la questione attiene alla valutazione delle risultanze processuali, che rimangono insindacabili ove logicamente motivate.
Peraltro, la censura con la quale alla sentenza impugnata s’imputino i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve essere intesa a far valere, a pena d’inammissibilità comminata dall’art. 366 c.p.c., n. 4, in difetto di loro puntuale indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi; non può, per contro, essere intesa a far valere la non rispondenza della valutazione degli elementi di giudizio operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non si può con essa proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento degli elementi stessi, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma stessa; diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe – com’è, appunto, per quello in esame – in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.
Nè può imputarsi al detto giudice d’aver omesse l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste.
Il ricorso difetta di autosufficienza nel richiamo di atti che si danno per presupposti e , nella tecnica espositiva, tende ad un sostanziale riesame del merito, donde il rigetto, senza pronunzia sulle spese per la mancata costituzione di controparte.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2011