Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28662 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 09/11/2018, (ud. 05/06/2018, dep. 09/11/2018), n.28662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 15393/2011 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

G.A.; elettivamente domiciliati in Roma, via della

Giuliana n. 32, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Fischioni, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avv. Luigi Ferrajoli, giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia – Sezione staccata di Brescia n. 128/63/10, depositata il

4 maggio 2010;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5 giugno 2018

dal Cons. Dott. Giacomo Maria Nonno;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

Udito l’Avv. Raffaella Ferrando per la ricorrente e l’Avv. Patrizia

Maria Cristina Fischioni, per delega dell’Avv. Giuseppe Fischioni.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 128/63/10 del 04/05/2010, la CTR della Lombardia – Sezione distaccata di Brescia respingeva l’impugnazione proposta dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 137/10/07 della CTP di Bergamo, che aveva accolto il ricorso proposto da G.A. avverso due avvisi di accertamento per IRPEF, IRAP e IVA relativi agli anni d’imposta 2003 e 2004.

1.1. Come si evince dalla sentenza della CTR: a) la vicenda traeva origine da indagini effettuate dalla Guardia di finanza con riferimento alla Tradecar Unipersonale s.r.l. e alla ditta Autoalberto di S.A.A., dalle quali emergeva la ricezione, da parte dell’odierno controricorrente, di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti nell’ambito di una frode cd. carosello, in cui i menzionati soggetti si sarebbero interposti fittiziamente nell’acquisto di autoveicoli di provenienza comunitaria; b) l’Ufficio intendeva recuperare, pertanto, l’IVA indebitamente detratta ed i costi indebitamente dedotti con riferimento alle predette fatture; c) la CTP accoglieva il ricorso del contribuente, ritenendo che quest’ultimo avesse superato la presunzione di evasione su cui erano fondati gli avvisi di accertamento, dimostrando l’acquisto a prezzi congrui, e che, in buona sostanza, la pretesa fiscale non era fondata; d) l’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTP.

1.2. La CTR motivava il rigetto dell’appello evidenziando: a) la sussistenza di una sentenza di assoluzione del GUP di Bergamo in favore di B.P., legale rappresentante della Tradecar s.r.l., dal reato di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti; b) la mancata prova del coinvolgimento del contribuente nella frode carosello, atteso che “l’attività svolta dagli importatori per come descritta dallo stesso rappresentante legale di una delle ditte, non richiede l’esistenza di strutture per il deposito degli automezzi. Lo stesso B.P. afferma infatti, che egli stesso si recava all’estero a ritirare l’auto indicata dal compratore provvedendo a consegnarla poi a quest’ultimo”; c) con riferimento ai pagamenti, non risultava “che i clienti pagassero direttamente l’esportatore straniero”; d) “il prezzo a cui veniva acquistato il veicolo non era noto all’acquirente italiano, ma solo all’importatore, il quale poi rivendeva a prezzi che sono risultati in linea con quelli di mercato”.

2. Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle entrate proponeva tempestivo ricorso per cassazione, affidato a undici motivi.

3. G.A. resisteva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che la sentenza di non luogo a procedere emessa dal GUP nei confronti del sig. B.P., legale rappresentante della Tradecar s.r.l., non può fare stato nel processo tributario.

2. Con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che, in ogni caso, la sentenza penale fa stato nel processo tributario solo a condizione che l’Agenzia delle entrate sia costituita parte civile e che i fatti accertati nel giudizio penale siano gli stessi di quelli del giudizio tributario.

3. Il due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati involgendo questioni connesse, sono inammissibili perchè non colgono la ratio decidendi della sentenza della CTR.

3.1. La lettura complessiva della sentenza impugnata permette di comprendere, al di là delle parole utilizzate (“basterebbe a sostegno di tale conclusione”, cioè del rigetto dell’appello, “richiamare la sentenza 19.12.06 del GUP di Bergamo”), che la sentenza penale è stata richiamata non al fine di far valere quel giudicato nel giudizio tributario, ma al solo fine di acquisire elementi di prova, in quanto la CTR esprime ampiamente in seguito il proprio convincimento “sotto il profilo fiscale”.

3.2. E un simile utilizzo della sentenza penale è pienamente consentito nel giudizio tributario: “nel contenzioso tributario, la sentenza penale irrevocabile intervenuta per reati attinenti ai medesimi fatti su cui si fonda l’accertamento degli uffici finanziari rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva” (così, da ultimo, Cass. n. 2938 del 13/02/2015).

4. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che l’utilizzatore di fatture soggettivamente inesistenti non può mai detrarre l’IVA.

5. Con il quarto motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate contesta la violazione e falsa applicazione delle stesse norme indicate con riferimento al terzo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che è onere del contribuente provare di avere ignorato senza colpa la soggettiva inesistenza dell’operazione e non già dell’Ufficio dimostrare il coinvolgimento del contribuente nella frode carosello.

6. Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione ovvero del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 ovvero art. 109 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che l’utilizzatore di fatture soggettivamente inesistenti non può dedurre i costi ai fini delle imposte dirette.

7. Con il sesto motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate contesta la violazione e falsa applicazione delle stesse norme indicate con riferimento al quinto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (evidentemente richiamato per mero errore materiale, essendo chiaro il riferimento al n. 3), evidenziando che è onere del contribuente provare di avere ignorato senza colpa la soggettiva inesistenza dell’operazione e non già dell’Ufficio dimostrare il coinvolgimento del contribuente nella frode carosello.

8. Con il settimo motivo e l’ottavo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 o art. 109, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che l’Ufficio non è onerato della prova della inesistenza soggettiva delle fatture, ma solo degli elementi fondanti il ragionevole sospetto della loro inesistenza; e ciò sia ai fini della detrazione dell’IVA che della deduzione dei costi.

9. Con il nono motivo di ricorso si deduce motivazione insufficiente su un fatto decisivo della controversia, costituito dall’avere il sig. G. ignorato senza sua colpa la soggettiva inesistenza delle fatture rilasciate dalla Tradecar s.r.l. e dalla ditta Autoalberto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

10. Con il decimo ed undicesimo motivo di ricorso si lamenta motivazione omessa su fatti decisivi della controversia, costituiti dalla circostanza se l’Erario avesse dimostrato elementi fondanti la soggettiva inesistenza delle fatture emesse dalla Tradecar s.r.l. nel 2003 e dalla Autoalberto nel 2003 e 2004, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

11. I motivi dal terzo all’undicesimo vertono tutti sulla questione della soggettiva inesistenza delle fatture emesse da Tradecar s.r.l. e dalla ditta Autoalberto ed utilizzate dal controricorrente, nonchè sulla ripartizione del relativo onere probatorio tra l’Ufficio e il contribuente e, possono, pertanto, essere unitariamente esaminati.

11.1. L’Amministrazione finanziaria ha contestato ad G.A. l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. Tali fatture sono state emesse, con riferimento all’anno 2003, dalla Tradecar s.r.l. e, con riferimento agli anni 2003 e 2004, dalla impresa individuale Autoalberto di S.A.A.. In entrambi i casi, la difesa erariale ha dedotto una serie di elementi indiziari dai quali potersi evincere la fittizietà dei soggetti che hanno emesso le fatture poi utilizzate dal controricorrente e la conoscibilità di tale situazione in capo allo stesso.

In particolare, tali elementi sono stati indicati, per quanto riguarda la Tradecar s.r.l.: a) nella circostanza che le transazioni di acquisto con il venditore estero venivano effettuate direttamente dal cliente, mentre il B., legale rappresentante della società, si occupava solo del trasporto dell’autovettura dalla Germania; b) nella circostanza che il B. si avvaleva per le transazioni bancarie dell’assistenza del cliente, che spesso aveva un rapporto diretto con il fornitore e che versava al B. la disponibilità necessaria; c) nella circostanza che la Tradecar non aveva alcuna struttura aziendale, nemmeno per l’esposizione e il ricovero degli autoveicoli; d) nella circostanza che la Tradecar non versava l’IVA; e) nella circostanza che la Tradecar non applicava sostanzialmente ricarichi sul costo del venduto.

Per quanto riguarda la Autoalberto, gli elementi sono stati indicati:

a) nella circostanza che la ditta non aveva alcuna struttura nè organizzazione aziendale ed era altresì priva di capitale di dotazione;

b) nella circostanza che la ditta acquistava dal fornitore estero solo a seguito di versamento del denaro da parte del proprio cliente, con conseguente annullamento del rischio imprenditoriale; c) dal fatto che la Autoalberto rivendeva costantemente in perdita; d) dal fatto che la ditta non versava l’IVA sugli acquisti.

11.2. Orbene, come di recente evidenziato dalla S.C., “in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta;

la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente;

incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (così Cass. n. 9851 del 20/04/2018, alla cui motivazione integralmente si rimanda).

11.3. Applicando i sopra menzionati principi al caso di specie, appare indiscutibile che l’Agenzia delle entrate abbia assolto all’onere probatorio che la legge pone a suo carico, avendo fornito la prova non solo della fittizietà dei contraenti con il G., ma anche della circostanza che quest’ultimo, quale imprenditore mediamente accorto e diligente, avrebbe dovuto essere consapevole di tale fittizietà, se è vero che quest’ultimo manteneva rapporti diretti con il fornitore estero in ordine ai veicoli da acquistare e fornisse ai soggetti interposti la provvista per il loro acquisto, oltre ad acquistare da tale ultimo soggetto senza sostanziali maggiorazioni sul prezzo fatto dal fornitore estero.

11.4. E’, dunque, onere di parte ricorrente fornire la prova contraria della mancata conoscenza della circostanza che la Tradecar s.r.l. e la Autoalberto siano soggetti illegittimamente interposti e partecipanti ad una cd. frode carosello.

11.5. La CTR non si è attenuta ai superiori principi di diritto, da un lato non valorizzando debitamente gli elementi acquisiti agli atti in ordine alla effettiva esistenza dei soggetti interposti e alla consapevolezza del G. che detti soggetti fossero partecipi di una frode carosello, dall’altro ribaltando sull’Ufficio l’onere probatorio sullo stesso gravante. Il tutto, con le dovute conseguenze ai fini della indetraibilità dell’IVA sulle fatture ritenute soggettivamente inesistenti.

11.6. I motivi terzo, quarto, sesto, settimo, ottavo, nono, decimo e undicesimo sono, quindi fondati, dovendo la sentenza impugnata essere cassata e rinviata alla CTR per nuova valutazione.

11.7. Per quanto riguarda, invece, i costi (quinto motivo), gli stessi sono deducibili sebbene abbiano riguardo a fatture soggettivamente inesistenti e, dunque, il motivo è fondato solo parzialmente, nei termini di cui appresso.

11.8. Deve, infatti, evidenziarsi che il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, conv. con modif. nella L. 26 aprile 2012, n. 44, ha sostituito della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, nel modo che segue: “Nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 424 c.p.p., ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 del citato codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 157 c.p.. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p., ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.p., fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’art. 529 c.p.p., compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi”.

Il comma 3 del cit. art. 8 ha poi stabilito, per quanto qui interessa, che le disposizioni di cui al citato comma 1 “si applicano, in luogo di quanto disposto dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4-bis, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore” dello stesso comma 1, “ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi”.

11.9. Sul tema questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, anche sulla scorta della relazione al disegno di legge di conversione del D.L. n. 16 del 2012, che la nuova normativa comporta che, poichè nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, i beni acquistati – di regola (e salvo il caso, ad esempio, in cui il “costo” sia consistito nel “compenso” versato all’emittente il falso documento) – non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, non è più sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perchè non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relativi a dette operazioni; ferma restando, tuttavia, la verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.

Va, pertanto, ribadito il principio di diritto in virtù del quale, in tema di imposte sui redditi, a norma della L. n. 37 del 1993, art. 14, comma 4 bis, nella formulazione introdotta con il D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti (non utilizzati direttamente per commettere il reato), anche per l’ipotesi che l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che, a norma del T.U. delle imposte sui redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (cfr. Cass. n. 10167 del 20/06/2012; Cass. n. 24426 del 30/10/2013; Cass. n. 26461 del 17/12/2014; Cass. n. 25249 del 07/12/2016).

11.10. Tale disciplina, stante il chiaro disposto del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 3, ha efficacia retroattiva, sicchè essa trova applicazione anche alla fattispecie concreta, ancorchè la vicenda, relativa agli anni 2003 e 2004, ne preceda l’entrata in vigore.

11.11. Non è dubbio, quindi, che il G. abbia diritto alla deduzione dei costi ai fini dell’imposta dei redditi, anche se occorre che il giudice del merito valuti la deducibilità degli stessi dal punto di vista dei principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.

12. In conclusione, il ricorso va accolto limitatamente ai motivi terzo, quarto, quinto (per quanto di ragione), sesto, settimo, ottavo, nono, decimo e undicesimo, mentre vanno rigettati il primo e il secondo motivo; la sentenza impugnata va, quindi, cassata e rinviata per nuovo esame alla CTR della Lombardia, anche con riguardo alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo, il quarto, il quinto, per quanto di ragione, il sesto, il settimo, l’ottavo, il nono, il decimo e l’undicesimo motivo di ricorso e rigetta il primo e secondo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 5 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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