Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28661 del 23/12/2011

Cassazione civile sez. II, 23/12/2011, (ud. 01/12/2011, dep. 23/12/2011), n.28661

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA LIBERO LEOPARDI 34, presso lo studio dell’avvocato ALIFFI

SILVIO, rappresentata e difesa dall’avvocato FURNO’ LUIGI;

– ricorrente –

contro

S.R. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 406/2005 del TRIBUNALE di SIRACUSA, depositata

il 15/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2011 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale DOTT.

CAPASSO Lucio che ha concluso per il rigetto del 3 motivo del ricorso

inammissibili i restanti motivi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 27 giugno 1996 A.G. proponeva appello contro la sentenza del 23 marzo 1995 emessa dal Pretore di Augusta, il quale accogliendo la domanda proposta da S.R. ordinava la demolizione di una sua costruzione nel presupposto del mancato rispetto delle istanze legali e dichiarava cessata la materia del contendere in ordine alla sua domanda di arretramento di un pozzo esistente nell’immobile del S.. Deduceva che la sentenza del Pretore di Augusta era stata emessa “ultra petita “e, comunque, era fondata sull’erroneo presupposto dell’anteriorità della costruzione del S.. Errata era, altresì, la pronuncia di cessazione della: materia del contendere.

Si costituiva l’appellato che chiedeva il rigetto del gravame per l’evidente infondatezza dei motivi addotti. Il Tribunale di Siracusa con sentenza n. 406 del 2005 riformava la sentenza impugnata nella parte in cui disponeva cessata la materia del contendere. Piuttosto, condannava il S. a rimuovere, fino ad integrare la distanza di un metro dal confine, il pozzo serbatoio con le relative tubazioni, rimpianto doccia e la pila collocata a piano terra del suo immobile nel locale accessorio. A sostegno di questa decisione il Tribunale di Siracusa osservava: a) è dà ritenersi dimostrata l’anteriorità della costruzione del S., rispetto alla quale la costruzione di A. non rispetta la distanza legale ed era, pertanto, ritualmente disposta dal Pretore la demolizione della costruzione; b) il Pretore aveva errato nel ritenere cessata la materia del contendere in ordine alla sua domanda di arretramento di un pozzo esistente nell’immobile del S.. La cassazione della sentenza, n. 406 del 2005, del Tribunale di Siracusa è stata chiesta da A.G. con ricorso affidato a sei motivi. S. R. non ha svolto, in questa fase, alcuna attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.= con il primo motivo la ricorrente lamenta la falsa applicazione della normativa del PRC. del Comune di Augusta e della normativa prevista dal decreto Assessoriale del 13 dicembre 1975 al caso in esame. Secondo la ricorrente l’immobile che aveva acquistato era stato costruito in maniera tale da rispettare la normativa prevista nel regolamento edilizio comunale e, quindi, nel rispetto della predetta normativa urbanistica e, quindi, nel rispetto della predetta normativa urbanistica e, quindi, rispettando la normativa allora vigente. Ciò risulta provato – scrive ancora la ricorrente – anche dal fatto che la ricorrente e il proprietario suo frontista dell’immobile sig. S. concordano sia pure approssimativamente su detto arco di tempo, ma in ogni modo prima che fosse pubblicato ed entrasse in vigore il decreto assessoriale regionale del 13.12. 1975, con il quale si approvavano le modifiche alle norme del piano regolatore comunale vigente in Augusta sia a proposito delle distanze tra le costruzioni, altezza e densità edilizia degli edifici. Comunque specifica ancora la ricorrente la costruzione dell’ A. fu oggetto di sanatoria edilizia con la L. n. 47 del 1985 e L.R. n. 37 del 1985, sanatoria approvata dal Comune.

1.1.= La censura è inammissibile perchè è generica e, soprattutto, inidonea a configurare i profili di erroneità della sentenza impugnata. Il Tribunale di Siracusa era stato chiamato a riformare la sentenza di primo grado laddove aveva presupposto l’anteriorità della costruzione del S., mentre con la censura in esame la ricorrente lamenta che all’ipotesi in esame sia stata (e non già dal Giudice di appello) applicata una normativa non vigente al tempo della costruzione. Epperò, con tale censura, la ricorrente richiederebbe un nuovo e il diverso giudizio di merito in ordine ad una situazione di fatto (il tempo di realizzazione della costruzione A., ai fini dell’individuazione della disciplina normativa di riferimento) esaminata dal Giudice di primo grado, ma non riproposta in appello.

1.1.a).= Va qui osservato che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove e nuovi temi non trattati nel corso del giudizio di appello, nè sono rilevabili d’ufficio. Per altro, ove si lamenti che una questione non risulti in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, la cassazione della sentenza potrà essere chiesta per omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e, sempre, che quella questione fosse stata proposta all’esame del giudice di appello e non già, per violazione di legge (come, invece, ha fatto la ricorrente).

2.= Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta l’errata applicazione, e violazione dell’art. 873 c.c.. La ricorrente illustra tale censura affermando testualmente: “Infatti, per come risulta dal certificato di destinazione urbanistica rilasciato alla ricorrente A. il terreno ubicato nel Comune di Augusta, in catasto al foglio n. 1 particella 2917-2918 nel PRG. Vigente “Calandra del Comune di Augusta” approvato con Decreto Assessoriale nr. 171 del 17 ottobre 1975, che le distanze tra fabbricati devono essere: a) testate cieche libere, fronti finestrati e uguali a mt. 15,00 per come si evince dal certificato di destinazione urbanistica del 18 settembre 2003.

2.1.= Anche questa censura è inammissibile non solo perchè priva di autosufficienza considerato che la ricorrente fa riferimento ad un certificato di destinazione urbanistica rilasciato dal Comune di Augusta senza riportarne l’esatto contenuto, ma, soprattutto, perchè è inidonea a configurare i profili di erroneità della sentenza impugnata. Tanto è vero che la ricorrente conclude chiedendo che venga eseguita dal giudice del merito una nuova istruttoria tendente a verificare con maggiore attenzione, la situazione dei luoghi e delle opere effettivamente eseguite a suo tempo dalla ricorrente A. per una giusta valutazione di esse ai fini di una giusta decisione nei suoi confronti. Insomma, la ricorrente chiede, un nuovo giudizio di merito, perchè, sic et simpliciter, le decisioni di primo e secondo grado sono contrarie ai suoi interessi.

3.= La ricorrente lamenta, ancora: a) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione della legge; c) con il quarto motivo errata valutazione delle risultanze istruttorie; d) con il quinto motivo, l’errata applicazione della legge (art. 115 e 116 c.p.c.. Per illustrare queste censure la ricorrente afferma: 1) che mentre la Pubblica Amministrazione ha concesso la sanatoria dell’immobile oggetto di causa il Pretore di Augusta, in violazione delle norme sulla giurisdizione ne ordinava la demolizione; 2) che “le risultanze istruttorie proprie dei due gradi di giudizio civile, depurate dagli inquinamenti probatori introdotti e da quelli assunti in rispetto alle regole processuali civili, non avrebbero consentito alla Corte territoriale di trarre le conclusioni cui, viceversa, è pervenuta”.

3) “Il Giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, anche se ha libertà di valutare le stesse, secondo il suo prudente apprezzamento. Per essere valutate le prove devono risultare dagli atti processuali, non sembra nel caso che qui ci si occupa.

3.1.= Tutte e tre le censure qui richiamate sono inammissibili perchè sono inidonee a configurare i profili di erroneità della sentenza impugnata.

3.1.a).= Questo Collegio osserva che sono inammissibili quei motivi del ricorso per cassazione che, anzichè, precisare le ragioni delle censure si esauriscono in una generica postulazione di erroneità della sentenza impugnata e nella conseguente istanza di cassazione, considerato che la deduzione dei motivi di ricorso per cassazione deve essere effettuata in materia specifica, e, pertanto, non può trovare ingresso il motivo di ricorso assolutamente indeterminato che non indichi gli errori di attività o di giudizio nei quali si pretende esser incorsa la sentenza impugnata.

4.= Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta: la violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 184 c.p.c. con espresso riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 3, (produzione in giudizio di documenti).

Avrebbe errato il Tribunale, secondo la ricorrente, per non aver ritenuto inefficace, ai fini della decisione del giudizio la produzione di documenti effettuata da parte resistente al momento del deposito della comparsa conclusionale dovendola ritenere tardiva, in quanto il termine perentorio per la produzione dei documenti è quello fissato dal giudice a norma dell’art. 184 c.p.c. risultando, pertanto, ogni produzione posteriore inefficace ai fini della decisione del giudizio.

4.= Anche questa censura è inammissibile, non solo perchè generica, ma, soprattutto, perchè priva di autosufficienza considerato che la ricorrente non indica i documenti che sarebbero stati depositati tardivamente e, ancor di più, non indica la parte della sentenza il cui contenuto sarebbe stato condizionato da quei documenti.

In definitiva, il ricorso va rigettato. Non è necessario provvedere al regolamento delle spese giudiziali relative al presente giudizio di cassazione, perchè l’intimato non ha svolto, in questo, alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2011

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