Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2866 del 06/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2866 Anno 2018
Presidente: AMENDOLA ADELAIDE
Relatore: FRASCA RAFFAELE

ORDINANZA
sul ricorso 26536-2014 proposto da:
CIRULLI REMO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE
GERMANICO 211, presso lo studio dell’avvocato FABIO PIER
GIORGIO CRISCUOLO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrenti contro

DANERI PIERA, DI BATTISTA GIUSEPPE, DI BATTISTA
ANGELICA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 1830/2014 della CORTE D’APPELLO di
ROMA, depositata il 18/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 15/11/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA.

Data pubblicazione: 06/02/2018

Rilevato che:

1. Remo Cirulli ha proposto ricorso per cassazione contro Piera
Daneri, Giuseppe Di Battista e Angelica Di Battista, avverso la sentenza
della Corte d’Appello di Roma del 18 aprile 2014, con la quale, in
accoglimento dell’appello proposto dalle parti qui intimate ed in riforma

stata rigettata l’opposizione proposta da esso ricorrente avverso un
decreto ingiuntivo nei suoi confronti ottenuto da dette parti nel 2011.
2. Al ricorso non v’è stata resistenza degli intimati.
3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi
dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal d.l. n. 168 del 2016,
convertito, con modificazioni, dalla I. n. 197 del 2016, è stata formulata
dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con
declaratoria della sua inammissibilità e ne è stata fatta notificazione
all’avvocato del ricorrente, unitamente al decreto di fissazione
dell’adunanza.
4. Non v’ è stato deposito di memoria.
Considerato che:

1. Il Collegio condivide la valutazione di inammissibilità del ricorso
formulata dal relatore.
2. Sotto un primo aspetto il ricorso si deve ritenere affetto da
inammissibilità per inosservanza del requisito dell’esposizione del fatto,
di cui all’art. 366 n. 3 cod. proc. civ., in quanto ciò che si espone nella
parte del ricorso che dovrebbe assolvere al rispetto di tale requisito è
del tutto insufficiente a consentire la percezione del fatto sostanziale e
processuale e, dunque, risulta inidoneo allo scopo.
Infatti, detta parte si scinde in tre sottoparti, la prima dedicata allo
svolgimento del processo di primo grado e la seconda allo svolgimento
del processo di appello, ma:
a) nella prima ci si limita ad indicare:

al) il mero fatto della

proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo, senza alcuna
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della sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Roma nel 2012, è

specificazione delle ragioni della richiesta e con la sola indicazione della
somma; a2) il fatto della emissione del decreto e della successiva sua
notificazione;

a3) il fatto della proposizione dell’opposizione, senza

alcuna indicazione delle ragioni di essa, e della presenza all’udienza del
solo opponente e della deduzione della litispendenza con altro

della disposizione del “mutamento del rito” e del rinvio per la
discussione in udienza ai sensi dell’art. 429 cod. proc. civ., con termine
per deposito di note; a5) il fatto dell’accoglimento dell’opposizione al
decreto, senza alcuna benché minima indicazione delle ragioni di esso
giustificative;
b) nella seconda si dà atto: bl) della proposizione dell’appello con
unico motivo, da parte dei qui intimati, ma senza alcuna precisazione
delle ragioni giustificative; b2)

della costituzione del qui ricorrente con

richiesta di conferma dell’operato del primo giudice, «in particolare
per ciò che concerne l’applicazione del combinato disposto degli artt.
658 e 669 c.p.c. alla fattispecie; b3) del rinvio della prima udienza ad
altra e, quindi ad altra ancora, con decisione della corte capitolina che
accoglieva l’appello e rigettava l’opposizione al decreto ingiuntivo, anche
qui senza alcuna precisazione delle ragioni della decisione.
Siffatta modalità di esposizione del fatto non è idonea allo scopo,
atteso che il requisito della esposizione sommaria dei fatti – prescritto a
pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, primo
comma n. 3, cod. proc. civ., e che, essendo considerato dalla norma
come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso – deve
consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di
cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto
sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale,
senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la
stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. n. 11653 del 2006). La
prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero
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procedimento tra le medesime parti ed il medesimo oggetto; a4) il fatto

formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e
completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di
bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al
provvedimento impugnato (Cass. sez. un. n. 2602 del 2003). Stante
tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’articolo 366

cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato,
l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i
presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle
eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione
alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle
sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in
diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte
dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.
Il ricorso non rispetta tali contenuti, per come si evince dal riferito
suo contenuto, ed è dunque inammissibile.
2. Il Collegio rileva, conforme alla proposta del relatore, che in via
gradata, se si potesse passare alla lettura dei motivi, si evidenzierebbe:
aa) l’ inammissibilità del primo motivo, perché è dedotto secondo il
vecchio paradigma dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., essendo intestato
come “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della controversia”, e perché, in ogni caso e, dunque, anche se
il motivo si volesse riqualificare alla stregua di Cass., Sez. Un., n. 17931
del 2013, evocante la sentenza n. 25525/12 del Tribunale di Roma,
senza fornirne l’indicazione specifica, particolarmente quanto alla
localizzazione, siccome imposto dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., di tal
che la Corte non è messa in grado di scrutinare quanto su di essa si
fonda;
bb)

l’inammissibilità degli altri due motivi

rispettivamente

deducenti “violazione ed errata applicazione delle norme di diritto. Artt.
658, 664 e 669 c.p.c.” e “violazione ed errata applicazione delle norme
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comma primo n. 3 cod. proc. civ. è necessario che il ricorso per

di diritto; art. 91 c.p.c.” – in quanto non indicano la motivazione della
sentenza impugnata, cui le critiche si rivolgono
3. Il ricorso è, conclusivamente, dichiarato inammissibile.
Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione. Ai
sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, poiché vi

della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del
giudizio di cassazione. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della insussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del
comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione
Civile-3, il 15 novembre 2017.
Il Presidente

è stata ammissione al patrocinio a spese dello Stato, si deve dare atto

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