Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28654 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 09/11/2018, (ud. 11/10/2017, dep. 09/11/2018), n.28654

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 496/2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C. & C. CORPORATION SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 229/2008 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

BRESCIA, depositata il 04/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/10/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con quattro motivi nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che, accogliendo l’appello della srl PA, ha annullato l’avviso di accertamento, ai fini dell’IRPEG, dell’IRAP e dell’IVA per l’anno 2000, con il quale era stato rideterminato il reddito d’impresa in forza della ripresa a tassazione delle somme portate da fatture per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti.

Secondo il giudice d’appello, infatti, la fondatezza dell’accertamento compiuto nei confronti del destinatario della fattura presuppone l’individuazione di elementi che facciano supporre che l’acquirente sia l’artefice della falsità ideologica delle fatture o quanto meno che questi sia a conoscenza dell’illecito, dato che l’esistenza di un maggior imponibile, in presenza di fatture solo soggettivamente false, va comunque provata dall’amministrazione: nella specie è pacifico e non contestato che le operazioni sono state effettivamente eseguite, pur nell’incertezza dei soggetti che hanno ad esse partecipato. Era perciò onere dell’ufficio fornire gli elementi volti a supporre che la contribuente acquirente era stata l’artefice della falsità ideologica delle fatture o quanto meno che fosse a conoscenza della condotta illecita del soggetto che formalmente risultava indicato nelle fatture come cedente.

La contribuente non ha svolto attività nella presente sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo, la contribuente, denunciando in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 18, censura la CTR per non aver dichiarato l’inammissibile l’appello del contribuente fondato su motivi, relativi al fondamento in fatto delle rettifiche fiscali operate nell’avviso di accertamento, che il giudice di primo grado affermava non essere contenuti nel ricorso introduttivo, senza che nell’appello medesimo sia formulata alcuna censura avverso tale punto della decisione di primo grado; con il secondo motivo, denunciando violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, la contribuente assume costituirebbe eccezione non rilevabile d’ufficio, improponibile per la prima volta nel giudizio d’appello tributario, quella con la quale il contribuente contesti il fondamento in fatto di una rettifica fiscale fondata sulla contestata ricezione di fatture riferite ad operazioni cd. soggettivamente inesistenti, con l’argomento della mancanza di prova della sua conoscenza dell’attività illecita eventualmente posta in essere dal soggetto che figura come cedente nelle fatture stesse.

I due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto legati, sono infondati, in quanto già con l’atto introduttivo la società contribuente, sia pure in forma involuta e forse ellittica, aveva fatto riferimento al “fondamento in fatto delle rettifiche operate nell’avviso”, in particolare al regime probatorio in materia di frodi carosello (“…le contestazioni contenute nell’avviso di accertamento sulla mancanza di prove per l’esportazione avvenuta vengono comunque lo stesso contestate perchè non motivate e non dimostrate e se ne chiede il totale annullamento…”), sicchè i motivi di impugnazione non sembra possano essere considerati domande nuove.

Con il terzo motivo la contribuente denuncia violazione delle regole distributive dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., per avere il giudice di merito – in presenza di un’indebita detrazione di imposta per inesistenza cd. soggettiva delle operazioni documentate dalle fatture passive, nonchè di conseguente inattendibilità della contabilità del contribuente annullato la rettifica fiscale senza accertare che il contribuente avesse dimostrato la propria buona fede incolpevole rispetto alla apparente legittimazione del cedente, limitandosi ad enunciare che incombeva sull’ufficio finanziario; con il quarto motivo denuncia omessa motivazione perchè il giudice d’appello, dopo aver affermato che l’onere della prova della conoscenza della frode non ha tuttavia portato il proprio esame sull’esistenza di tale prova, e ciò a fronte dell’allegazione, sin dall’atto impositivo, di una molteplicità di elementi indiziari a comprova della detta circostanza.

Il terzo ed il quarto motivo sono fondati.

Secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte, infatti, qualora l’amministrazione finanziaria contesti al cessionario/committente l’assenza di buona fede in caso di irregolarità fiscali o di evasione, ha l’onere di allegare e provare gli elementi probatori su cui si fonda la contestazione, tra i quali possono rilevare, in via indiziaria, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale, l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione – circostanza quest’ultima ritenuta non controversa nella sentenza impugnata. In tal caso, conseguentemente, grava in capo al contribuente l’onere di provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione non fosse il fatturante ma altri (Cass. n. 30148 del 2017, n. 967 del 2016).

In conclusione, il terzo ed il quarto motivo devono essere pertanto accolti, mentre vanno rigettati i primi due motivi, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in differente composizione, affinchè proceda ad un nuovo esame della controversia alla luce dei principi enunciati.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi ed accoglie il terzo ed il quarto motivo del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in differente composizione.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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