Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28653 del 30/11/2017


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Cassazione civile, sez. III, 30/11/2017, (ud. 19/07/2017, dep.30/11/2017),  n. 28653

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.C. nel 2000 chiese ed ottenne dal Tribunale di Lecce, sezione di Casarano, un decreto ingiuntivo nei confronti di S.A., fondato su cambiali.

L’intimata propose opposizione al decreto, che venne rigettata.

2. S.A. denunciò allora penalmente di falso C.C., assumendo che questi falsificò la firma di traenza delle cambiali poste a fondamento del decreto.

Con sentenza penale 7.11.2008 il Tribunale di Lecce assolse l’imputato per non aver commesso il fatto.

3. Nello stesso anno 2008 S.A. chiese la revocazione del decreto ingiuntivo, allegando a fondamento dell’azione la falsità dei titoli cambiari.

Il Tribunale di Lecce, sezione di Casarano, con sentenza 3 ottobre 2011 n. 1245 accolse la domanda.

La Corte d’appello di Lecce, accogliendo il gravame di C.C., con sentenza 25 maggio 2015 n. 375 rigettò la domanda di revocazione.

Osservò la Corte d’appello che l’accoglimento della domanda di revocazione per falsità dei documenti esige che la falsità sia stata accertata in giudizio.

Nel caso di specie, invece, la persona imputata di falsità ( C.C.) era stata assolta, e nella sentenza di assoluzione solo incidenter tantum si faceva cenno alla falsità della sottoscrizione delle cambiali, che del resto non poteva mai essere direttamente accertata, in quanto quelle cambiali non furono mai prodotte in giudizio.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da S.A., con ricorso fondato su tre motivi.

Ha resistito C.C. con controricorso.

La difesa di S.A. ha depositato memoria, tuttavia inammissibile perchè tardiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 2.

Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe violato tale norma in quanto ha ritenuto che la domanda di revocazione possa essere accolta solo se la falsità delle prove, su cui è fondata la sentenza revocanda, sia stata accertata espressamente con sentenza passata in giudicato. Sostiene, in senso contrario, che l’accoglimento della domanda di revocazione non presuppone affatto l’avvenuta formazione d’un giudicato sulla falsità del documento.

1.2. Il motivo è infondato, alla luce del principio – risalente e consolidato nella giurisprudenza di questa Corte – secondo cui “l’art. 395 cod. proc. civ., indicando quale presupposto dell’istanza di revocazione che si sia giudicato su prove “dichiarate false”, postula che tale dichiarazione sia avvenuta con sentenza passata in giudicato (in sede civile o penale) anteriormente alla proposizione dell’istanza di revocazione, con la conseguenza che è inammissibile l’istanza di revocazione basata sulla falsità di prove da accertare nello stesso giudizio di revocazione” (così, tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 3947 del 22/02/2006).

2. Il secondo motivo.

2.1. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta il vizio di nullità processuale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

Deduce, al riguardo, che anche se la sentenza penale di accertamento della falsità non era ancora divenuta irrevocabile al momento dell’introduzione del giudizio civile di revocazione, essa lo divenne nel corso di quest’ultimo giudizio: di conseguenza la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere ammissibile la domanda di revocazione.

2.2. Il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi sottesa dalla sentenza impugnata.

La Corte d’appello ha rigettato, e non dichiarato inammissibile, la domanda di revocazione, e lo ha fatto non perchè la sentenza penale non fosse divenuta irrevocabile, ma perchè essa non conteneva alcun accertamento espresso della falsità delle cambiali, ma solo una delibazione obiter dictum di quella falsità.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta il vizio di nullità processuale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

Deduce, al riguardo, che qualsiasi statuizione giudiziale non richiede formule sacramentali, ma va desunta dal contenuto della motivazione. Nel caso di specie, pertanto, anche se la sentenza penale di assoluzione di C.C. nel dispositivo non conteneva una dichiarazione di falsità delle cambiali, quest’ultima era inequivocamente contenuta nel corpo della motivazione. Di conseguenza la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere sussistente il requisito della “falsità dichiarata” richiesto dall’art. 395 c.p.c..

3.2. Il motivo è infondato.

Come già accennato, una falsità documentale, per poter mettere capo al giudizio di revocazione, deve essere accertata in modo diretto e non incidentale, e tale accertamento nella sentenza penale di assoluzione di C.C. non era affatto contenuto: non foss’altro, che per la semplice ragione che è impossibile dichiarare la falsità d’un documento mai prodotto agli atti del giudizio.

4. Le spese.

4.1. Le spese del presente giudizio vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo. Analogamente si dovrà provvedere per quelle del giudizio incidentale di sospensione dell’efficacia della sentenza dinanzi la Corte d’appello.

4.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna S.A. alla rifusione in favore di C.C. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 5.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2; (-) condanna S.A. alla rifusione in favore di C.C. delle spese del giudizio incidentale di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata, che si liquidano nella somma di Euro 2.200, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di S.A. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 19 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2017

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