Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28650 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. I, 15/12/2020, (ud. 13/11/2020, dep. 15/12/2020), n.28650

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12279/2015 proposto da:

T.M.; T.C.; T.F.;

Ta.Fr., T.S. e Tr.Li. ved. T.: quali eredi

di T.P., elettivamente domiciliati in Roma, Via della

Frezza n. 59, presso lo studio dell’avvocato Sandulli Emilio Paolo,

che li rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Imprerar Impregilo Partecipazioni S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentata e difesa dall’avvocato Pedicino Carmen, giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

Comune di Avellino, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via della Giuliana n. 74, presso lo studio

dell’avvocato Porpora Raffaele, rappresentato e difeso dagli

avvocati Bascetta Amerigo, Santucci De Magistris Giovanni, giusta

procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Imprerar Impregilo Partecipazioni S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentata e difesa dall’avvocato Pedicino Carmen, giusta procura

a margine del controricorso al ricorso incidentale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

T.M.; T.C.; T.F.;

Ta.Fr., T.S. e Tr.Li. ved. T.: quali eredi

di T.P., elettivamente domiciliati in Roma, Via della

Frezza n. 59, presso lo studio dell’avvocato Sandulli Emilio Paolo,

che li rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso

principale;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1372/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 27/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/11/2020 dal cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 1372/2014, depositata in data 27/3/2014, – in controversia promossa, con citazione del marzo 1998, da T.M., T.C., T.F., T.P., proprietari di un terreno nel territorio comunale, occupato nel 1990 dalla concessionaria A.LO.SA., per la realizzazione dell’adeguamento della viabilità esistente e di parcheggi al servizio di un centro commerciale, nei confronti del Comune di Avellino e della Imprepar Impregilo spa, già I.L.C.E srl, già A.LO.SA., per sentirli condannare, in solido, al risarcimento dei danni da illegittima occupazione con irreversibile trasformazione del suolo, in mancanza di un tempestivo decreto di esproprio, – ha riformato la decisione di primo grado, che aveva accolto, in parte, la domanda attrice.

In particolare, i giudici d’appello, hanno sostenuto che l’occupazione era legittima in quanto il decreto di espropriazione, intervenuto il 2/6/1995, era tempestivo, atteso il termine quinquennale di occupazione, dal 7/5/1990, data dell’immissione in possesso sulla base di legittime Delib. giunta comunale del 1988 e del 1990 e di decreto di occupazione di urgenza del febbraio 1990, era stato prorogato ex lege per effetto della L. n. 158 del 1991, art. 22 con conseguente infondatezza della domanda risarcitoria attorea. Ad avviso della Corte, non poteva operare la conversione d’ufficio della domanda di risarcimento danni in domanda di condanna alla giusta indennità di espropriazione, considerato che, nel caso in esame, il decreto di esproprio era stato già emesso al momento della proposizione della domanda risarcitoria, ma, tenuto conto dei danni da occupazione legittima, l’appellato Comune doveva essere condannato al pagamento agli appellanti della somma di Euro 112.809, 47, a titolo di indennità da occupazione legittima, e di Euro 19.881,12, a titolo di danni da occupazione legittima. E’ stata invece confermata la condanna del comune alla restituzione della porzione non interessata dai lavori.

Avverso la suddetta pronuncia, T.M., T.C., T.F., Tr.Li. in T., T.S., Ta.Fr., gli ultimi tre quali eredi di T.P., propongono ricorso per cassazione, notificato nei gg. 11-13/5/2015, affidato a cinque motivi, nei confronti del Comune di Avellino (che si costituisce con controricorso e ricorso incidentale in due motivi, notificato il 1718/6/2015) e della Imprepar Impregilo Partecipazioni spa (che resiste con controricorso, notificato il 22/6/2015). I ricorrenti principali hanno depositato controricorso al ricorso incidentale del Comune.

I ricorrenti principali hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I ricorrenti principali lamentano: 1) con primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5 dell’art. 2909 c.c. e art. 329 c.p.c., per violazione del giudicato interno formatosi, in difetto di specifica impugnazione da parte del Comune, sulla statuizione di primo grado in punto di assenza del potere espropriativo per effetto del venir meno dell’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, a prescindere dalla proroga L. n. 158 del 1991, ex art. 22 del termine per l’occupazione urgente, in sè irrilevante; 2) con il secondo motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., nonchè del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, non essendosi la Corte di merito avveduta dell’eccezione di giudicato sostanziale, tempestivamente formulata dagli appellanti-appellati sul gravame incidentale del Comune; 3) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 1 Primo Protocollo della CEDU, nonchè della L. n. 2359 del 1865, art. 13, L. n. 166 dl 2002, art. 4, L. n. 158 del 1991, art. 22, art. 12 disp. att. c.c., comma 1, per avere la Corte d’appello ritenuto che l’effetto di proroga del termine di durata del periodo di occupazione legittima, previsto dal richiamato art. 22, sarebbe estensibile anche al termine di efficacia dei procedimenti espropriativi, compresi la dichiarazione di pubblica utilità ed il termine per l’emissione del decreto di esproprio; 4) con il quarto motivo, si solleva questione di legittimità costituzionale della L. n. 158 del 1991, art. 22 e della L. n. 166 del 2002, art. 4 per contrasto con l’art. 1 Primo Protocollo della CEDU, con l’art. 6 del Trattato UE e con l’art. 47 del Trattato di Lisbona, nonchè con gli artt. 3,24,43ì2, 97 e 117 Cost.; 5) con il quinto motivo, la violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di conversione dell’azione di risarcimento danni in domanda di opposizione alla stima o di determinazione della giusta indennità di espropriazione, dovendosi ritenere, in applicazione del principio della garanzia costituzionale della proprietà, che nella fattispecie si era integrata l’ipotesi della conversione automatica della domanda, posto che il perfezionamento del procedimento espropriativo era stato ritenuto dalla Corte di merito, peraltro erroneamente, per effetto di uno ius superveniens.

2. Il Comune, nel ricorso incidentale condizionato (per l’ipotesi in cui il ricorso principale non sia dichiarato inammissibile), lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, di consolidati principi generali sulla determinazione delle indennità di espropriazione ed occupazione legittima, nonchè l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, rappresentato dal valore dell’area in oggetto, da ritenersi inedificabile legalmente, in quanto interamente vincolata alla destinazione a viabilità dell’originario PRG; 2) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione dei principi generali e della consolidata giurisprudenza in relazione alla esclusione dalla responsabilità risarcitoria dell’impresa concessionaria delegata integralmente all’espletamento delle procedure espropriative.

3. Le prime due censure del ricorso principale sono infondate.

Risulta dalla stessa decisione impugnata che il Tribunale aveva individuato la dichiarazione di pubblica utilità nella delibera del Comune di Avellino del 27/1/1989, approvata successivamente dal CORECO, aveva escluso la legittimità della proroga dei termini disposta nel corso del 1991 e negato l’operatività della proroga legale disposta dalla L. n. 158 del 1991, comunque irrilevante, ritenendo di conseguenza il decreto di esproprio, siccome emesso nel giugno 1995, pronunciato oltre il termine quinquennale, che scadeva nel 20/1/1995 o nel 15/2/1995, e quindi in carenza di legittimo esercizio del potere ablatorio, con sua conseguente disapplicazione.

Il Comune ha svolto appello incidentale, dolendosi appunto dell’accoglimento della domanda di risarcimento danni, fondata sull’affermazione della scadenza dei termini di efficacia della legittima occupazione, stante sia la reiterazione della dichiarazione di pubblica utilità con Delib. G.M. n. 222 del 1991 (con la quale si era rinnovata, L. n. 2359 del 1865, ex art. 13 e prorogata la stessa al 31/1/1996), disapplicato dal Tribunale in assenza di espressa richiesta di parte attrice, sia la proroga automatica prevista dalla L. n. 158 del 1991, art. 22 con conseguente scadenza del termine quinquennale indicato nella dichiarazione di pubblica utilità nel maggio 1997.

Assumono i ricorrenti che, nella sentenza della Corte d’appello, vi sarebbe stata violazione del giudicato interno formatosi sul capo della decisione di primo grado, in punto di diniego, quanto al termine di efficacia del procedimento espropriativo dell’area di proprietà T., dell’operatività della proroga disposta dalla L. n. 158 del 1991, art. 22 e dalla L. n. 166 del 2002, art. 4 in quanto il Comune, appellante incidentale, non avrebbe invocato l’applicazione della L. del 2002, avrebbe non pertinentemente richiamato la L. n. 158 del 1991, art. 22 ed avrebbe erratamente invocato la Delib. G.M. del 1991 ai fini del differimento del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità.

Ora, come più volte chiarito da questa Corte la mancata impugnazione di una o più affermazioni contenute nella sentenza può dar luogo alla formazione del giudicato interno “soltanto se le stesse siano configurabili come capi completamente autonomi, avendo risolto questioni controverse che, in quanto dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una decisione del tutto indipendente, e non anche quando si tratti di mere argomentazioni oppure della valutazione di presupposti necessari di fatto che, unitamente ad altri, concorrano a formare un capo unico della decisione” (Cass.21566/2017; Cass. 4732/2012).

Nella statuizione del Tribunale la questione della disapplicazione del provvedimento della G.M. del 1991 aveva costituito ragione assorbente della decisione, rispetto alla questione della proroga ex lege dei termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità e della occupazione d’urgenza, ritenuta comunque irrilevante. Non si era formato quindi un giudicato interno come ritenuto dai ricorrenti.

Quanto alla L. n. 166 del 2002, art. 4 intervenuta in corso di causa (con la quale si è stabilito che “le proroghe dei termini di scadenza delle occupazioni di urgenza stabilite dalla… L. 20 maggio 1991, n. 158, art. 22 coordinate tra loro nelle scadenze, si intendono, con effetto retroattivo, riferite anche ai procedimenti espropriativi in corso alle scadenze previste dalle singole leggi e si intendono efficaci anche in assenza di atti dichiarativi delle amministrazioni procedenti”), si tratta di disposizione normativa che opera direttamente ed automaticamente sulle procedure espropriative e che non necessita di espressa invocazione di parte, non trovando ostacolo la sua operatività in un giudicato interno formatosi in relazione alle questioni, su cui abbia inciso la normativa sopravvenuta, e nella conseguente inesistenza di controversie in atto sui relativi punti (cfr Cass. 6101/2014).

4. La terza censura è infondata.

Questa Corte ha chiarito (Cass.11481/2016; cfr. Cass. S.U. 2630/2006; Cass. 10216/2010) che “le proroghe dei termini di scadenza delle occupazioni di urgenza stabilite da varie disposizioni di legge (nella specie, la L. n. 158 del 1991, art. 22) e di cui alla L. n. 166 del 2002, art. 4 si applicano, con effetto retroattivo, anche ai procedimenti espropriativi in corso alle scadenze previste dalle singole leggi e si intendono efficaci anche in assenza di atti dichiarativi delle Amministrazioni precedenti, deponendo in tal senso sia la lettera della norma – che, con l’avverbio “anche” (“… riferite anche…”), manifesta l’intento del legislatore ad estendere gli effetti delle proroghe precedentemente disposte oltre i confini segnati ai termini di scadenza delle sole occupazioni d’urgenza – sia la “ratio legis”, essendo diversamente inconcepibile il legittimo perdurare di un regime occupa torio temporaneo senza il corrispondente slittamento dei termini utili per l’emissione del decreto definitivo di esproprio”.

Questa Corte ha di recente chiarito che “qualora il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità di un’opera sia stato prorogato tempestivamente dall’autorità espropriante prima della scadenza, anche ripetutamente, la dichiarazione resta efficace e il decreto di esproprio è quindi valido, se emesso prima dell’ultima scadenza; ne consegue che, non essendo configurabile alcuna carenza del potere amministrativo (nè in astratto, nè in concreto), è legittima l’attività manipolativa del bene del privato compiuta nel complessivo periodo di efficacia della dichiarazione” (Cass. 19469/2019).

Nella specie, risulta che nel maggio 1991, per effetto della L. n. 158 del 1991, art. 22 veniva prorogato di due anni il termine quinquennale di durata dell’occupazione d’urgenza, che andava a scadere nel maggio 1997.

5. L’eccezione di legittimità costituzionale, posta nel quarto motivo, non può essere accolta, non essendo non manifestatamente infondata.

L’interpretazione sulla legittimità delle proroghe legali dei termini di occupazione è stata avallata dalla Corte Costituzionale, la quale ha specificato che il susseguirsi di dette proroghe si rese necessario perchè la nuova normativa in materia di indennità di espropriazione, nonostante la sua urgenza, ha avuto una elaborazione particolarmente faticosa e complessa, anche perchè la prima disciplina dettata dalla L. n. 385 del 1980, dopo la declaratoria di incostituzionalità di cui alla menzionata sentenza n. 5 del 1980, fu, a sua volta, dichiarata incostituzionale con sentenza n. 223 del 1983, per violazione degli artt. 42 e 136 Cost.; e perchè il lungo e laborioso iter si è concluso soltanto con la L. 8 agosto 1992, n. 359 (art. 5 bis aggiunto, in sede di conversione, al D.L. 11 luglio 1992, n. 333): perciò costringendo il legislatore ad introdurre “ulteriori” proroghe automatiche dopo la prima di cui al D.L. n. 901 del 1984, che hanno dato luogo “ad un periodo di tempo sicuramente lungo, che non ha consentito la tempestiva liquidazione ed il pagamento delle indennità di espropriazione, nonchè l’esperibilità delle azioni per il risarcimento dei danni da occupazione illegittima. Ma tali ritardi, determinati da riconosciute esigenze obiettive, sorrette da motivi di pubblico interesse, non possono essere considerati tali da compromettere i diritti del proprietario con lesione dell’art. 42 Cost.” (Corte Costit. 163/1994 e 244/1993).

6. Il quinto motivo è infondato.

La Corte d’appello ha rilevato che il decreto di esproprio era già stato ritualmente emesso allorchè la domanda di risarcimento del danno da occupazione acquisitiva è stata erroneamente proposta e che doveva escludersi la convertibilità d’ufficio della domanda di risarcimento danni in domanda di opposizione alla stima, in difetto di espressa proposizione o riproposizione in sede di gravame.

Questa Corte ha già affermato (Cass. 21994/2008) che “il giudice di appello non può, d’ufficio, convertire la domanda di risarcimento del danno da occupazione acquisitiva, originariamente proposta, in domanda di opposizione alla stima, in considerazione della diversità di “petitum” e di “causa petendi” tra le domande anzidette, ovvero della loro “infungibilità”, configurandosi quella di determinazione dell’indennità di espropriazione, rispetto alla domanda di risarcimento del danno da occupazione appropriativa, come ontologicamente diversa, atteso che la prima ha ad oggetto il giusto indennizzo a norma dell’art. 42 Cost. e trova causa nella tempestiva emissione di un provvedimento ablatorio, mentre la seconda è volta ad ottenere il risarcimento del danno conseguente alla perdita della proprietà del bene irreversibilmente destinato alle esigenze dell’opera pubblica ed è fondata su un comportamento illecito della Pubblica Amministrazione”.

Nè risulta contrario a tale precedente, la successiva pronuncia (Cass. 18975/2011; conf. Cass. 15936/2017) di questo giudice di legittimità ove si è precisato solo che “in tema di espropriazione per pubblica utilità, nel caso in cui, nel corso del giudizio proposto per il risarcimento del danno da occupazione illegittima, sopravvenga il rituale e tempestivo decreto di espropriazione, la domanda risarcitoria si converte automaticamente in quella di opposizione alla stima, senza necessità di espressa domanda di liquidazione dell’indennità, stante la garanzia costituzionale secondo cui la proprietà non tollera il sacrificio senza adeguato ristoro per il titolare”.

Ma nella specie, il decreto di esproprio è intervenuto nel 1995, mentre il giudizio risarcitorio è stato avviato nel 1998.

7. Il ricorso incidentale condizionato è assorbito.

8. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato del controricorrente Comune di Avellino; condanna i ricorrenti, in solido, al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate, in favore di ciascuno dei controricorrenti, in complessivi Euro 5.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti principali dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

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