Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28649 del 23/12/2011

Cassazione civile sez. II, 23/12/2011, (ud. 28/11/2011, dep. 23/12/2011), n.28649

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.D., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dagli Avv. MARSILI Pietro e Graziella

Colaiacomo, elettivamente domiciliato nel loro studio in Roma, Via

dei due Macelli, n. 60;

– ricorrente –

contro

REGIONE AUTONOMA DELLA VALLE D’AOSTA, rappresentata e difesa, per

legge, dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici di

questa domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Chieti n. 283 del 24 maggio

2005.

Udita, la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 28

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito l’Avv. Pietro Marsili;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il Tribunale di Aosta, con sentenza in data 24 maggio 2005, ha rigettato l’opposizione proposta da G.D. avverso l’ordinanza-ingiunzione con la quale gli era stato intimato il pagamento della somma di Euro 5170 a titolo di sanzione amministrativa, per violazione delle disposizioni in materia di fauna selvatica, per avere detenuto all’interno del campeggio (OMISSIS), all’interno di un camper, un esemplare di Felis concolor (puma) in assenza della prescritta autorizzazione della prefettura;

che il Tribunale ha ritenuto inapplicabile al procedimento amministrativo di natura sanzionatoria il termine di trenta giorni previsto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2 ed ha rilevato che il provvedimento del Prefetto di Venezia dell’8 giugno 1998 autorizzava la detenzione dell’animale presso il solo domicilio del richiedente, non anche il trasporto al di fuori dell’abitazione del G.;

che per la cassazione della sentenza del Tribunale il G. ha proposto ricorso, con atto notificato il 27 giugno 2006, sulla base di quattro motivi;

che la Regione intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il primo motivo denuncia violazione della L. n. 241 del 1990, art. 2 e della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 18 e 28, lamentando che il Tribunale non abbia dichiarato la nullità dell’ordinanza- ingiunzione per non essersi il procedimento amministrativo concluso nel termine di trenta giorni dal suo inizio;

che il motivo è infondato;

che la disposizione di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2, comma 3, tanto nella sua originaria formulazione, applicabile ratione temporis, secondo cui il procedimento amministrativo deve essere concluso entro il termine di trenta giorni, quanto nella formulazione risultante dalla modificazione apportata dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 36 bis, convertito dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, secondo cui detto termine è di novanta giorni, nonostante la generalità del testo legislativo in cui è inserita, è incompatibile con i procedimenti regolati dalla L. n. 689 del 1981, che costituisce un sistema di norme organico e compiuto e delinea un procedimento di carattere contenzioso scandito in fasi i cui tempi sono regolati in modo da non consentire, anche nell’interesse dell’incolpato, il rispetto di un termine cosi breve (Cass., Sez. Un., 27 aprile 2006, n. 9591);

che con il secondo mezzo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. 7 febbraio 1992, n. 150, art. 6, comma 3, e succ. modif., e dell’art. 111 Cost., nonchè vizio di motivazione, sul rilievo che il comportamento ascritto al G. – ossia l’aver condotto l’animale in questione al di fuori del luogo di custodia – non sarebbe vietato e non richiederebbe alcuna autorizzazione, essendo sanzionatile esclusivamente la detenzione dello stesso senza autorizzazione;

che la censura è infondata;

che la L. n. 150 del 1992, art. 6, comma 3, prevede che coloro i quali, alla data di pubblicazione nella Gazzetta. Ufficiale del decreto ministeriale di cui al precedente comma, detengono esemplari vivi di mammiferi o rettili di specie selvatica ed esemplari vivi di mammiferi o rettili provenienti da riproduzione in cattività compresi nell’apposito elenco recato dal predetto decreto ministeriale, sono tenuti a farne denuncia alla prefettura territorialmente competente entro un certo termine, e che il prefetto, d’intesa con le autorità sanitarie competenti, può autorizzare la detenzione dei suddetti esemplari previa verifica della idoneità delle relative strutture di custodia, in funzione della corretta sopravvivenza degli stessi, della salute e dell’incolumità pubblica;

che la violazione delle disposizioni di cui al citato comma 3 è punita con la sanzione amministrativa indicata nel successivo comma 5 dello stesso articolo;

che tanto premesso, il Tribunale ha rilevato che il provvedimento di autorizzazione era testualmente riferito alla sola detenzione del puma presso l’abitazione del G. sita in (OMISSIS) e che tale precisazione circoscriveva il perimetro dell’autorizzazione;

che correttamente il Tribunale ha ritenuto la violazione dei limiti spaziali dell’autorizzazione punita ai sensi della L. n. 150 del 1992, art. 6, posto che l’illecito amministrativo in questione scatta non soltanto per la mancata richiesta dell’autorizzazione da parte del detentore dell’esemplare vivo di mammifero o rettile di specie selvatica o proveniente da riproduzione in cattività, ma anche in caso di detenzione in contrasto con i limiti della rilasciata autorizzazione prefettizia;

che la tesi del ricorrente muove da una premessa (di liceità generale delle condotte relative ad animali selvatici e pericolosi, e di limitazione del campo prescrittivo alla sola “detenzione” che era stata autorizzata) che non ha conforto nel testo legislativo, il quale, basato sulla regola generale del divieto di detenzione di animali che costituiscano pericolo per la salute e per l’incolumità pubblica (art. 6, comma 1), correla l’autorizzazione alla “previa verifica della idoneità delle relative strutture di custodia, in funzione della corretta sopravvivenza” degli animali e “della salute e dell’incolumità pubblica” (art. 6, comma 3);

che il terzo motivo denuncia insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, lamentando che il Tribunale abbia escluso la buona fede del contravventore nonostante la Prefettura di Venezia – richiesta dell’autorizzazione al trasporto dell’animale – avesse comunicato che tale nulla osta esulava dalla sua competenza;

che il motivo è infondato, poichè il primo giudice ha correttamente escluso la ricorrenza di un errore incolpevole sulla liceità del fatto, sul rilievo che la dichiarazione di incompetenza della richiesta prefettura non costituisce un fatto idoneo a radicare la buona fede dell’agente;

che neppure è suscettibile di indurre al fraintendimento della regula iuris la mancata elevazione di contestazione dell’illecito amministrativo a carico del G. in occasione di un precedente soggiorno nella stessa località con il puma al seguito, non potendo un atteggiamento di mera tolleranza da parte della pubblica amministrazione essere invocato come esimente, mancando, in tal caso, un comportamento o un atto di carattere positivo idoneo a fuorviare l’esatta conoscenza del precetto (Cass., Sez. 1^, 2 ottobre 1939, n. 3958; Cass., Sez. 1^, 2 ottobre 2002, n. 14168);

che con l’ultimo mezzo il ricorrente censura la violazione della L. n. 689 del 1981, artt. 3 e 18, in merito all’entità della sanzione applicata;

che il motivo è privo di fondamento, avendo il Tribunale ritenuto congrua la motivazione dell’ordinanza-ingiunzione sulla misura della sanzione;

che in tema di sanzioni amministrative pecuniarie, ove la norma indichi un minimo e un massimo della sanzione, spetta al potere discrezionale del giudice determinarne l’entità entro tali limiti, allo scopo di commisurarla alla gravita del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi;

peraltro, il giudice non è tenuto a specificare nella sentenza i criteri adottati nel procedere a detta determinazione, nè la Corte di cassazione può censurare la statuizione adottata ove tali limiti siano stati rispettati e dal complesso della motivazione risulti che quella valutazione è stata, come nella specie, compiuta (Cass., Sez. 1^, 24 marzo 2004, n. 5877);

che il ricorso va, pertanto, rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna. il ricorrente al rimborso delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 1.000,00 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2011

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