Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28648 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. I, 15/12/2020, (ud. 11/11/2020, dep. 15/12/2020), n.28648

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20814/2018 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Varrone n.

9, presso lo studio dell’avvocato Vannicelli Francesco,

rappresentato e difeso dall’avvocato Moscattini Gian Carla, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via della

Giuliana n. 74, presso lo studio dell’avvocato Porpora Raffaele, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Palladini Pietro

Antonio, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE di APPELLO di BOLOGNA, del 18/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/11/2020 dal cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

La Corte di appello di Bologna, in sede di reclamo avverso il provvedimento di revisione delle condizioni di divorzio emesso dal Tribunale di Modena, con il decreto oggetto della presente impugnazione – in parziale accoglimento del reclamo proposto da M.G.L. – aveva ridotto ad Euro 1.000,00= mensili l’assegno divorzile previsto a favore di P.M. e, per quanto interessa, aveva confermato l’assegno di mantenimento per la figlia nella misura di Euro 870,00= mensili, oltre ISTAT e l’assegno annuale di Euro 1.000,00=, quale contributo straordinario al pagamento delle vacanze estive di quest’ultima.

M.G.L. ricorre per cassazione con cinque motivi. P.M. ha replicato con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo M. denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 9 e dell’art. 3 Cost., in relazione all’an debeatur dell’assegno divorzile posto a carico del ricorrente in sede di divorzio.

A suo parere, la Corte di appello erroneamente avrebbe ritenuto che il diritto della P. all’assegno divorzile non poteva essere messo in discussione in ragione del fatto che l’attribuzione economica era stata riconosciuta volontariamente dal ricorrente in sede di divorzio e che la misura della stessa doveva ritenersi commisurata al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, laddove tale criterio di commisurazione era superato alla luce dei principi espressi da Cass. n. 11504/2017.

1.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, artt. 9 e art. 5 in relazione all’an debeatur, alla luce dei nuovi criteri introdotti dalla Suprema Corte con la sentenza n. 11504/2017 e succ.

1.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., nonchè della L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 9 in relazione alla mancata considerazione del peggioramento delle capacità economiche del ricorrente, dovuto ai maggiori oneri familiari conseguenti alla sopravvenuta invalidità totale di uno dei figli nati dalla nuova unione. In particolare il ricorrente deduce che l’analisi delle sue condizioni economiche era stata effettuata contra legem, prescindendo dal considerare il peggioramento conseguente al fatto che il nuovo coniuge aveva dovuto abbandonare l’attività lavorativa per dedicarsi al figlio disabile.

1.4. I primi tre motivi, sono strettamente connessi, in quanto riguardano presupposti e condizioni di revoca e/o modifica dell’assegno divorzile.

Sono in parte inammissibili ed in parte infondati e vanno respinti.

Innanzi tutto va evidenziato che il ricorrente non coglie la ratio decidendi laddove ipotizza che la Corte di appello abbia ritenuto non revocabile l’assegno divorzile nel caso in cui – come il presente – lo stesso sia stato previsto sulla base dell’accordo delle parti.

La Corte territoriale infatti – lungi dal ritenere immodificabile il riconoscimento e/o la commisurazione dell’assegno concordato -, si è soffermata sulle necessità di accertare un mutamento della situazione di fatto rispetto a quella esistente all’epoca dell’accordo che potesse integrare i giustificati motivi che devono assistere la revoca o la modifica dell’attribuzione economica, mediante un raffronto tra la situazione esistente all’epoca e quella attuale che tenesse conto dei fatti sottoposti al suo esame, poichè la richiesta di revoca o modifica non consente una rivalutazione integrale ed ab origine dei presupposti, ma solo alla luce dei fatti sopravvenuti integranti il giustificato motivo.

Quindi ha esaminato la situazione economica delle parti, evidenziando che la P., all’epoca del divorzio, nel (OMISSIS), quando era stato previsto a suo favore un assegno di Euro 910,00=, già lavorava; che successivamente, dopo aver perso l’attività lavorativa e l’assegnazione della casa familiare, così da dover provvedere agli esborsi per reperire un alloggio in locazione al costo di Euro 650,00= mensili, l’assegno in sede di modifica era stata incrementato ad Euro 1.400,00= e che nel corso del presente procedimento per revoca / modifica era emerso che la P. aveva ripreso a lavorare, sia pure con contratto a tempo determinato part time, per cui la Corte territoriale ha ritenuto adeguata la riduzione dell’assegno divorzile ad Euro 1.000,00=.

Quanto alle condizioni economiche del ricorrente, la Corte di appello ha escluso che quanto dedotto circa la costituzione del nuovo nucleo familiare e gli impegni economici connessi potessero ritenersi fatti nuovi, giacchè sussistenti già al momento del divorzio e della prima modifica dell’assegno divorzile, dando conto dell’adeguatezza della commisurazione dello stesso secondo i principi elaborati dalla Cassazione, laddove ha chiarito che l’attività lavorativa reperita dalla P. non aveva caratteristiche tali da farla ritenere persona autonoma ed indipendente dal punto di vista economico, in linea con il recente orientamento della Cassazione (Cass., Sez. 1, n. 11504/2017) (fol. 4 del decreto impugnato), ed in tal modo ha mostrato di non avere utilizzato il criterio del tenore di vita, che aveva richiamato solo per connotare la determinazione dell’assegno concordata illo tempore in sede di divorzio.

La decisione impugnata risulta pertanto in linea con il principio secondo il quale “In tema di revisione dell’assegno divorzile, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9 il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fatto e rappresenta il presupposto necessario che deve essere accertato dal giudice perchè possa procedersi al giudizio di revisione dell’assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali. Ne consegue che consentire l’accesso al rimedio della revisione attribuendo alla formula dei “giustificati motivi” un significato che includa la sopravvenienza di tutti quei motivi che possano far sorgere un interesse ad agire per conseguire la modifica dell’assegno, ricomprendendo tra essi anche una diversa interpretazione delle norme applicabili avallata dal diritto vivente giurisprudenziale, è opzione esegetica non percorribile poichè non considera che la funzione della giurisprudenza è ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della “regula iuris”, non già creativa della stessa. (Fattispecie relativa a una domanda di revisione dell’assegno divorzile determinato prima di Cass., Sez. 1, n. 11504/2017 e Sez. U, n. 18287/2018).” (Cass. n. 1119 del 20/01/2020), di guisa che una diversa interpretazione delle norme applicabili non è sufficiente a fondare una modifica dell’assegno, ed infatti la Corte felsinea ha fatto precedere l’esame della domanda dall’accertamento e dalla valutazione dei fatti sopravvenuti.

Va soggiunto che il ricorrente non ha indicato specifici fatti concernenti la sua personale condizione economica tempestivamente dedotti dinanzi ai giudici di merito di cui sia stato omesso l’esame; infatti, quanto esposto in merito al peggioramento economico del nuovo nucleo familiare in ragione della rinuncia della nuova moglie allo svolgimento di attività lavorativa per accudire il figlio, non risulta essere stata prospettata nella fase di merito, giacchè non ve ne è traccia nel provvedimento impugnato e neppure richiamo autosufficiente del ricorso.

Ne consegue che la Corte territoriale ha correttamente accertato i fatti nuovi economicamente rilevanti ex parte P. ed ha escluso fatti nuovi ex parte M. e, quindi, adeguandosi ai principi elaborati dalla Corte di legittimità, ha ritenuto di rideterminare l’assegno divorzile nella minor somma di Euro 1.000,00= mensili, con un giudizio di fatto aderente alle previsioni normative e giurisprudenziali esaminate.

2.1. Con il quarto motivo si denuncia la violazione degli art. 115 c.p.c., nonchè della L. n. 898 del 1970, artt. 5 e 9 in relazione al peggioramento delle capacità economiche del ricorrente e della mancata comparazione delle risorse economiche di entrambi i genitori nella quantificazione dei contributi per il mantenimento della figlia Gi. (assegno e contributo per le vacanze estive).

2.2. Il motivo è infondato perchè la Corte, come già visto in relazione alla determinazione dell’assegno divorzile, ha effettuato la dovuta comparazione tra le condizioni economiche delle parti.

Il motivo, inoltre, prospetta inammissibilmente una violazione di legge mentre sollecita un riesame del merito, senza nemmeno indicare fatti concernenti la personale condizione economica del ricorrente tempestivamente dedotti dinanzi ai giudici di merito di cui sia stato omesso l’esame.

3.1. Con il quinto motivo si denuncia la violazione falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in merito alla compensazione integrale delle spese di giudizio.

3.2. Il motivo è infondato perchè “In tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti.” (cfr. Cass. n. 19613/2017; Cass.n. 26918/2018; in tema anche Cass. Sez. U. n. 7454 del 19/03/2020): la Corte di appello ha disposto la compensazione integrale delle spese in ragione del limitato accoglimento del reclamo proposto da M. e, dunque, in linea con il principio consolidato secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte interamente vittoriosa.

4. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Va disposta l’integrale compensazione delle spese di lite, tenendo conto della recente evoluzione degli orientamenti giurisprudenziali in materia.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Va dato atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

PQM

– Rigetta il ricorso;

– Compensa le spese del giudizio di legittimità tra le parti;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

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