Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28644 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. I, 15/12/2020, (ud. 10/11/2020, dep. 15/12/2020), n.28644

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 4239/2019 r.g. proposto da:

C.F., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato

Raffaele Miraglia, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla via

Muzio Clementi n. 51, presso lo studio dell’Avvocato Valerio

Santagata;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso, ope legis,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia

in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA depositata in

data 03/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 10/11/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.F. ricorre per cassazione, affidandosi a cinque motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 2101/2018, reiettiva del gravame da lui proposto contro la decisione del tribunale della stessa città che, come già la commissione territoriale, aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale o di riconoscimento di quella umanitaria. Resiste, con controricorso, il Ministero dell’Interno.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, tenuto conto del racconto del richiedente, considerato inattendibile, e della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza ((OMISSIS), (OMISSIS)), ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I primi quattro motivi di ricorso censurano le argomentazioni utilizzate dalla corte distrettuale per negare all’appellante la protezione sussidiaria ed il riconoscimento di quella umanitaria. Essi denunciano, rispettivamente:

I) “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27 in relazione al riconoscimento della protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed alla tutela del diritto di cui all’art. 32 Cost., con riferimento all’art. 3 CEDU. Omessa valutazione della documentazione allegata dall’appellante rispetto ad un fatto decisivo, ovvero alla impossibilità di accesso alle cure psicologiche necessarie al ricorrente nel contesto di insicurezza che oggi caratterizza la (OMISSIS) e, nello specifico, l'(OMISSIS)”;

II) “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c. – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3, lett. c) e art. 4, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27 e contraddittorietà della motivazione in relazione al riconoscimento della protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c), con riferimento alla situazione in Libia”;

III) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, in relazione all’art. 111 Cost., comma 6, ed all’art. 1 CEDU, con riferimento alla apparente e contraddittoria motivazione della sentenza di appello relativamente al giudizio sulla credibilità del ricorrente, immotivatamente difforme dal giudizio formulato sia nel provvedimento di diniego della C.T. per riconoscimento della protezione internazionale di Bologna, sia nella ordinanza del Tribunale”;

IV) “Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 4 e 5 e art. 4 nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27 con riferimento al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, commi 3 e 3-bis, ed all’art. 19, comma 1 e art. 5, comma 6 T.U. Imm., in relazione all’art. 10 Cost., commi 1 e 3 e art. 117 Cost., comma 1, relativamente al riconoscimento della protezione umanitaria ovvero al riconoscimento del diritto di asilo costituzionale in quanto soggetto vulnerabile, e per omesso esame del fatto, decisivo per il giudizio, che il ricorrente è stato vittima di migrazione forzata dalla Libia all’Italia”.

2. Tali doglianze sono esaminabili congiuntamente perchè chiaramente connesse. Le stesse, peraltro, – pure volendosi prescindere dal fatto che prospettano genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per cassazione e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure (cfr., ex plurimis, Cass. n. 33348 del 2018; Cass. n. 19761, n. 19040, n. 13336 e n. 6690 del 2016; Cass. n. 5964 del 2015; Cass. n. 26018 e n. 22404 del 2014) – sono complessivamente inammissibili.

2.1. Invero, la corte bolognese ha ampiamente esposto le ragioni che l’hanno indotta a considerare, seppure diversamente da quanto ritenuto dal tribunale di quella stessa città, affatto inattendibile il racconto dell’odierno ricorrente, “…essendo rimasti assenti, sia in sede di narrazione dinanzi alla commissione, che in sede di audizione in tribunale, qualsiasi circostanza significativa di tempo, persone e luoghi” (cfr., amplius, pag. 4 della sentenza impugnata). Muovendo da una siffatta valutazione negativa, ha escluso la possibilità di riconoscimento della protezione sussidiaria, negando, in relazione a quest’ultima, pure la configurabilità dell’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), atteso il compiuto accertamento circa la concreta situazione socio politica dell'(OMISSIS) e nella regione della capitale (OMISSIS), in (OMISSIS), Paese di provenienza dell’appellante. Quello stesso giudice, infine, ha negato anche l’invocata protezione umanitaria (la cui domanda è da scrutinarsi alla stregua della disciplina, da ritenersi applicabile ratione temporis – cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019 – di cui al D.Lgs. n. 286, all’art. 5, comma 6), evidenziando, sostanzialmente, l’assenza di peculiari situazioni soggettive attestanti condizioni di vulnerabilità del richiedente protezione pure con riferimento al suo vissuto in Libia (Paese di transito).

2.1.1. Va ricordato, poi, che la giurisprudenza di legittimità ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 17536 del 2020; Cass. n. 18446 del 2019), chiarito che: i) la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr., ex multis, Cass. n. 6191 del 2020, in motivazione; Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018), il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (tutte fattispecie qui insussistenti), dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., nel medesimo senso, Cass. n. 18550 del 2020; Cass. n. 17539 del 2020; Cass. n. 3340 del 2019). Deve, peraltro, rimarcarsi che, nella specie, la semplice lettura della sentenza oggi impugnata, nella parte in cui ha negato l’attendibilità dell’odierno ricorrente, presenta una motivazione ampiamente in linea con il minimo costituzionale sancito da Cass. SU, n. 8053 del 2014, e che, in ogni caso, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 3 agosto 2018), riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017); il) in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, investe le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) predetto decreto (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019), mentre, quanto a quella proposta giusta la lett. c) medesimo decreto, il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, compiutamente indicando le fonti internazionali consultate, ed ha escluso che l'(OMISSIS) e la regione della capitale (OMISSIS), in (OMISSIS), siano caratterizzati dalla presenza di un conflitto armato (invece esistente in altre zone del Paese) generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante. Su questo preciso punto, la relativa censura del F. si rivela del tutto generica, nemmeno essendo state indicate fonti diverse, precedentemente sottoposte all’attenzione della corte distrettuale, da cui attingere un convincimento diverso da quello esplicitato da quest’ultima (cfr. Cass. n. 29056 del 2019). Va, dunque, solo rimarcato che, come chiarito dalla recentissima Cass. 9 ottobre 2020, n. 21932, “…se è vero che la mancata indicazione nella sentenza di merito delle COI utilizzate dal giudicante ai fini del decidere impedisce di stabilire se questi abbia rispettato il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, è altresì vero che questa, come qualsiasi altra violazione di legge, in tanto può condurre alla cassazione della sentenza impugnata, in quanto possa ragionevolmente presumersi che l’esito del giudizio sarebbe stato diverso, se il giudice avesse applicato correttamente la legge. Pertanto chi intenda denunciare, in sede di legittimità, la violazione da parte del giudice di merito dell’obbligo di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per consentire a questa Corte di valutare la decisività della censura ha sempre l’onere di allegare che esistono COI aggiornate ed attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; di indicarne gli estremi; di riassumerne o trascriverne il contenuto, nei limiti strettamente necessari al fine di evidenziare che, se il giudice di merito ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso. In mancanza di questa allegazione (come accaduto nella fattispecie oggi all’esame di questa Corte. Ndr) il motivo va dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza (rectius, per difettosa esposizione del requisito della decisività), dal momento che sarebbe impossibile stabilire se, in caso di regressione del processo alla fase di merito, esista l’astratta possibilità di un differente esito del giudizio”.

2.2. A tanto deve soltanto aggiungersi che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte (cfr. Cass. n. 2355 del 2020; Cass. n. 30105 del 2018).

2.3. Deve osservarsi, altresì, che secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il Paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale Paese (cfr. Cass. n. 13565 del 2020; Cass. n. 9185 del 2020; Cass. nn. 31676 e 2861 del 2018).

2.3.1. La stessa giurisprudenza di legittimità ha precisato, poi, che il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina, qui applicabile ratione temporis, previgente al D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (cfr. Cass. n. 13565 del 2020; Cass. n. 13096 del 2019).

2.3.2. Nella specie, però, la corte territoriale, con accertamento fattuale sufficientemente motivato (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata) ha comunque escluso la sussistenza di situazioni di vulnerabilità del ricorrente cagionategli dal suo periodo trascorso in Libia.

2.4. In definitiva, le doglianze sviluppate nei motivi di ricorso riguardano, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio (quanto alla sussistenza, o meno, della prova dei presupposti per la invocata protezione sussidiaria ed umanitaria), senza assolutamente considerare che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass., SU, n. 34476 del 2019).

2.4.1. In altri termini, il ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. può porsi, rispettivamente, solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (cfr. Cass. n. 27000 del 2016). Del resto, affinchè sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. 24434 del 2016). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), peraltro, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti: il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati (cfr. Cass. n. 11176 del 2017).

2.4.2. In ogni caso, i fatti e/o i documenti di cui oggi si lamentano l’errata “valutazione” e/o l’omesso esame, lungi dall’essere, di per sè, “decisivi” (tali, cioè, che, se presi in considerazione, avrebbero portato con certezza il giudice del merito ad una diversa ricostruzione della fattispecie, non bastando, invece, la prognosi che il fatto non esaminato avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione diversa: si vedano già Cass. n. 22979 del 2004; Cass. n. 3668 del 2013; la prognosi in termini di “certezza” della decisione diversa è richiesta, ad esempio, da Cass., SU, n. 3670 del 2015), al più potrebbero rappresentare elementi indiziari da porre a fondamento di un ragionamento presuntivo volto a giungere a conclusioni magari diverse da quelle esposte dalla corte felsinea, così procedendosi, però, a valutazioni che, impingendo nel merito, sono inammissibili nel giudizio di legittimità.

3. Il quinto motivo, infine, denuncia “Art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, – Violazione di legge. Erronea applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136. Violazione degli artt. 24,113 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, con riferimento all’art. 6, comma 1, della Convenzione Europea dei diritti umani (violazione del diritto alla parità delle armi) e del comma 3, lett. c), della medesima Convenzione (diritto all’assistenza legale gratuita)”. Esso censura la disposta revoca del patrocinio a spese dello Stato in favore dell’appellante.

3.1. Trattasi, però, di doglianza inammissibile in questa sede, alla stregua del consolidato orientamento di legittimità per cui “la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con il provvedimento che definisce il giudizio, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 stesso D.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanta adottata con la decisione che definisca il giudizio, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 D.P.R. citato” (cfr., ex aliis, Cass. n. 1987 del 2020; Cass. n. 29877 del 2018; Cass. 3028 del 2018) secondo cui.

4. Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi dle D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna C.F. al pagamento, in favore del Ministero controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, della sezione prima civile, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

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