Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28642 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. I, 15/12/2020, (ud. 10/11/2020, dep. 15/12/2020), n.28642

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 4008/2017 r.g. proposto da:

A.C., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avvocati Fabio

Sebastiano, e Federica Scafarelli, con cui elettivamente domicilia

presso lo studio di quest’ultima in Roma, alla via G. Borsi n. 4.

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI S.P.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), – quale

incorporante di Unipol Assicurazioni s.p.a. – con sede in (OMISSIS),

in persona del procuratore speciale Dott. F.E., rappresentata

e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso,

dagli Avvocati Sandro Trevisanato, e Francesco Baldi, con cui

elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma,

alla via Salaria n. 292.

– controricorrente –

e

LEONESSA INVESTIMENTI S.R.L., A SOCIO UNICO (p. iva (OMISSIS)), con

sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

U.M., rappresentata e difesa, giusta procura speciale

apposte in calce al controricorso, dagli Avvocati Lino Gervasoni, e

Pietro Sarrocco, con cui elettivamente domicilia presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, alla via Pasubio n. 4.

– controricorrente –

e

B.G., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposte in calce al controricorso,

dall’Avvocato Giambattista Rando, presso il cui studio elettivamente

domiciliano in Schio(VI), alla via Veneto n. 2.

– controricorrente –

e

MILANO ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore; AXA ASSICURAZIONI S.P.A., (p. iva (OMISSIS)), in persona

del legale rappresentante pro tempore; FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L.,

(p. iva (OMISSIS)), in persona del suo curatore; M.D.,

(cod. fisc. (OMISSIS)); ME.CL. (cod. fisc. (OMISSIS));

P.G. (cod. fisc.

(OMISSIS)); BO.DA., (cod. fisc. (OMISSIS)); D.R.

(cod. fisc. (OMISSIS)); GENERALI ITALIA S.P.A. (p. iva (OMISSIS),

già Toro Assicurazioni s.p.a.;

– intimati –

nonchè sul ricorso incidentale proposto da:

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI S.P.A., come sopra rappresentata e difesa;

– ricorrente incidentale –

contro

A.C., come sopra rappresentato e difeso; LEONESSA

INVESTIMENTI S.R.L., come sopra rappresentata e difesa; FALLIMENTO

(OMISSIS) S.R.L., in persona del suo curatore;

– intimati rispetto al ricorso incidentale –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA depositata il

28/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/11/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 410/2013, il Tribunale di Vicenza, adito L. Fall., ex art. 146 dal Fallimento (OMISSIS) s.r.l., accertò la responsabilità degli amministratori P.G., M.D., Me.Cl. e B.G., nonchè dei sindaci Bo.Da., A.C. e D.R., per i danni cagionati alla menzionata società ed ai creditori sociali, e li condannò, in via tra loro solidale, al relativo risarcimento in favore della curatela attrice, quantificandone l’importo dovuto dagli amministratori (Euro 2.521.055,00) e quello ascritto ai sindaci (Euro 847.709,92), in entrambi i casi oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali, sulle somme anno per anno rivalutate, dal 26.9.1998 (data del pronunciato fallimento) al saldo effettivo. Respinse, invece, l’analoga domanda formulata dalla medesima curatela nei confronti di C.G., e, quanto alle domande di garanzia proposte dai convenuti contro le rispettive compagnie assicuratrici: i) dichiarò l’inoperatività delle polizze assicurative stipulate da Bo.Da. con la Milano Assicurazioni s.p.a. e la Axa Assicurazioni s.p.a., con conseguente rigetto delle domande di manleva del primo; ii) condannò la Toro Assicurazioni s.p.a. a tenere indenne A.C. degli effetti della sentenza, limitatamente al massimale di polizza di Euro 51.645,49 così come attualizzato dal 14 ottobre 1992 alla data dell’effettivo pagamento; condannò la U.G.F. s.p.a. (poi divenuta Unipol Assicurazioni s.p.a. e, successivamente, UnipolSai Assicurazioni s.p.a.) a tenere indenne l’ A. degli effetti della sentenza, limitatamente al massimale di polizza di Euro 516.456,90 così come attualizzato dal 14 ottobre 1992 alla data dell’effettivo pagamento, ed al netto dell’importo di spettanza della coassicurazione Toro Assicurazioni s.p.a.. Il tribunale, infine, dichiarò il diritto di regresso dell’assicurazione, che avesse pagato l’intera somma dovuta per l’ A., nei confronti degli altri componenti il collegio sindacale quali obbligati solidali, in proporzione delle rispettive responsabilità del 22% ciascuno in capo all’ A. ed al D. e del 56% quanto al Bo..

2. Pronunciandosi sui gravami proposti, rispettivamente, in via principale, dalla Unipol Assicurazioni s.p.a., in via incidentale condizionata ed incidentale subordinata, dalla Leonessa Investimenti s.r.l. (quale assuntore del concordato fallimentare della (OMISSIS) s.r.l. medio tempore omologato il 18 ottobre 2011) ed incidentale dell’ A., la Corte di appello di Venezia, con sentenza del 28 giugno 2016, n. 1476, ne ha rigettato il primo, con conseguente assorbimento del secondo, ed accolto parzialmente il terzo. Per l’effetto, in riforma del capo 1 della sentenza appellata, ha rideterminato il danno cagionato alla s.r.l. (OMISSIS) da A.C. nell’importo di Euro 596.879,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, sulle somme anno per anno rivalutate, dal 26.9.1998 al saldo effettivo, ed ha condannato l’ A. al relativo pagamento in favore della Leonessa Investimenti s.r.l., previa detrazione di quanto pagato in esecuzione della sentenza appellata anche dalle compagnie di assicurazione, precisando, peraltro, in motivazione, che “..Segue, inoltre, ex art. 336 c.p.c., ogni effetto correlato alla suddetta riduzione del debito sulla garanzia di manleva delle compagnie di assicurazione dell’ A….”.

2.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i) ha disatteso l’appello principale della Unipol Assicurazioni s.p.a. rimarcando che: i-a) era stata proprio quest’ultima ad affermare che il massimale di polizza dovesse ritenersi soggetto ad indicizzazione e che, ad ogni buon conto, detta espressa previsione era contenuta nel testo della polizza stipulata con l’ A., all’art. 3. Sulla scorta di tali considerazioni, basate sul tenore letterale delle previsioni di polizza, non era pertinente il richiamo alla mala gestio effettuato da Unipol; i-b) neppure sussisteva il dedotto vizio di ultra petizione, atteso che l’ A. aveva chiesto di essere manlevato “nei limiti della garanzia prestata” e, per quanto detto, la garanzia prevedeva l’indicizzazione nei termini di polizza predetti e correttamente applicati dal tribunale, che aveva sancito che il massimale dovesse essere indicizzato fino alla data del suo pagamento; ii) ha accolto solo parzialmente l’appello incidentale dell’ A., osservando che: ii-a) non potevano trovare ingresso, nel presente giudizio, le censure attinenti alla dedotta nullità dell’omologato concordato fallimentare della (OMISSIS) s.r.l., di cui era assuntore la Leonessa Investimenti s.r.l., considerato che l’apprezzamento sulla convenienza della proposta compete solo ai creditori; ii-b) parimenti infondata era la doglianza, peraltro espressa in termini generici, diretta a sostenere l’insussistenza di ogni responsabilità del collegio sindacale, per avere in concreto i sindaci avuto contezza del grave deficit patrimoniale della società solo nel marzo 1997, quando, cioè, dopo aver esaminato il bilancio, quel collegio si attivò diffidando, in data 4 marzo 1997, il consiglio di amministrazione dal compiere atti di gestione patrimoniale. Invero, la prima riunione del collegio sindacale era avvenuta 11 ottobre 1996 e l’ A. non aveva spiegato per quale ragione non avesse potuto verificare ed analizzare, fin da subito, la documentazione aziendale, nè, tantomeno, aveva allegato riscontri a supporto in tal senso. In altri termini, il dovere di vigilanza e controllo non poteva ritenersi insorto solo al momento dell’esame del bilancio, nè la dedotta attività “ostruzionistica” posta in essere dal presidente del collegio sindacale, Bo.Da., poteva, all’evidenza, giustificare l’inerzia degli altri due sindaci, che, anzi, avrebbero dovuto a maggior ragione, se così fosse stato, fugare ogni sospetto sulla trasparenza della gestione patrimoniale della società; ii-c) riguardo alla durata temporale dell’inadempimento ascritto all’ A., erroneamente il tribunale lo aveva fatto arretrare alla data dell’1 settembre 1996, posto che la corrispondente motivazione si riferiva solo al già menzionato presidente del collegio sindacale. Invece, come evidenziato anche nella c.t.u. svolta in primo grado, non vi era prova che l’ A. conoscesse il deficit patrimoniale della società (OMISSIS) s.r.l. ancor prima che vi fosse l’effettivo insediamento del sindaci e la prima riunione del collegio sindacale (11.10.1996). Quindi, considerato il tempo necessario all’analisi della documentazione aziendale e ritenuto congruo ed adeguato quello di circa venti giorni dalla prima riunione, poteva ritenersi che l’inadempimento del sindaco A. fosse iniziato solo a partire dai primi giorni di novembre 1996, perchè solo a partire da quella data il collegio sindacale, potendo avere contezza della gravità del deficit patrimoniale, avrebbe dovuto diffidare la società ad interrompere ogni attività di gestione patrimoniale, come di seguito avvenne, ma solo in data 4 marzo 1997, ossia dopo circa quattro mesi. Il danno cagionato alla s.r.l. (OMISSIS) dall’ A. doveva rideterminarsi, pertanto, nell’importo di Euro 596.879,00 (come calcolato dal CTU di primo grado, in luogo di quello di Euro 874.709,92 liquidato dal tribunale), oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali; ii-d) infine, non era accoglibile la censura riguardante la quantificazione del danno e le contestazioni sul criterio di calcolo adottato dal c.t.u. di primo grado, definito dall’ A. “empirico” ed inidoneo a giustificare la correlazione tra l’inerzia dei sindaci ed il danno subito dalla società, e, quindi, dalla curatela fallimentare. Il suddetto metodo di calcolo, infatti, era stato condiviso dai consulenti di parte, come espressamente si dava atto nella relazione del c.t.u., sicchè le contestazioni sul quantum dovevano considerarsi ormai tardive. Ad ogni buon conto, dovevano considerarsi sufficientemente dimostrati, in base alle risultanze della c.t.u. del Dott. Quarto, l’aggravamento del passivo in nesso causale con l’inerzia dei Sindaci e la congruità della quantificazione come concretamente effettuata dal medesimo consulente (prima accertando il deficit della società alla data in cui avrebbe dovuto arrestarsi l’attività sociale, determinandolo, previe tutte le opportune e significative rettifiche, in Euro 837.677, e di seguito detraendo tale somma dal deficit della società alla data di dichiarazione del fallimento, quantificandolo come la differenza tra l’attivo ed il passivo fallimentare).

3. Avverso questa sentenza ricorre per cassazione l’ A., affidandosi a due motivi. Resistono, con distinti controricorsi, B.G., dichiarandosi affatto estraneo alle censure di cui al ricorso, la Leonessa Investimenti s.r.l. e la UnipolSai Assicurazioni s.p.a., quest’ultima dichiarando “di aderire in toto alle difese svolte dal ricorrente A.C.”, e proponendo anche ricorso incidentale recante due motivi. Risultano depositate memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c. del ricorrente principale e di quella incidentale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso principale dell’ A. – rubricato “Sulla nullità del concordato fallimentare. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare della L. Fall., artt. 124 e 129 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5” – insiste sulla invocata nullità del concordato fallimentare di (OMISSIS) s.r.l., per assenza della causa in concreto, e sul conseguente difetto di legittimazione attiva in capo all’assuntrice Leonessa Investimenti (subentrata alla curatela originaria attrice). Si deduce che quest’ultima, a fronte della corresponsione della somma di circa un milione di Euro, aveva acquistato diritti ed azioni per tre milioni di Euro, sicchè risultava evidente lo scopo speculativo dell’operazione, piuttosto che il fine di rimediare alla crisi di impresa della (OMISSIS) s.r.l. mediante la maggiore soddisfazione possibile dei creditori. La Leonessa Investimenti s.r.l., in sostanza, aveva utilizzato uno strumento lecito (il concordato fallimentare) per ottenere dei fini illeciti (la propria maggiore soddisfazione personale proprio a danno di quei creditori che già avevano subito la falcidia della liquidazione concorsuale). Pertanto, l’assenza di causa del concordato fallimentare sarebbe stata rilevabile in ogni stato e grado di questo procedimento, perchè essa andava ad integrare la legittimazione e l’interesse ad agire della società da ultimo indicata, a prescindere dai rimedi di cui alla L. Fall., artt. 137-138. La motivazione adottata dalla corte distrettuale sul corrispondente motivo di gravame, invece, si rivelava “insufficiente e contraddittoria”, oltre che lesiva delle disposizioni di cui alla L. Fall., artt. 124 e 129. Quanto, infine, alla possibilità per la Suprema Corte di pronunciarsi sulla descritta nullità, vengono richiamati i principi del più recente orientamento giurisprudenziale tratto da Cass., SU, nn. 14828 del 2012 e 26242 del 2014.

1.1. Sotto il profilo della denunciata motivazione “insufficiente e contraddittoria” (cfr. pag. 14 del ricorso), il motivo è radicalmente inammissibile perchè fa riferimento ad una nozione di vizio di motivazione non riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dal codice di rito, ed in particolare non sussumibile nel vizio contemplato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella formulazione disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis risultando impugnata una sentenza resa il 28 giugno 2016), che riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio (peraltro da dedursi con i precisi oneri di allegazione fissati da Cass., SU, n. 8053 del 2014, qui rimasti affatto inosservati), da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicchè sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017). Non è, dunque, più sindacabile, in sede di legittimità, la mera correttezza della motivazione di idoneità probatoria di determinate risultanze processuali, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di insufficienza della motivazione.

1.2. La doglianza è parimenti inammissibile pure laddove prospetta un’asserita violazione della L. Fall., artt. 124 e 129.

1.2.1. Infatti, oltre a non esplicitare chiaramente in cosa sarebbe consistita l’asserita violazione e/o falsa applicazione delle norme suddette, le argomentazioni concretamente utilizzate dall’ A. per considerare il concordato fallimentare della (OMISSIS) s.r.l. alla stregua di un’operazione con “mera finalità speculativa” (cfr. pag. 16 del ricorso) posta in essere dall’assuntore dello stesso (la Leonessa Investimenti s.r.l.), piuttosto che volta a rimediare alla crisi di impresa della società poi fallita mediante la maggiore soddisfazione possibile dei suoi creditori, si rivelano essere, esclusivamente, un tentativo, affatto inammissibile nell’odierna controversia avente ad oggetto un’azione L. Fall., ex art. 146 di rivisitazione del giudizio sulla convenienza, o meno, del concordato stesso: giudizio che, come è noto, spetta solo ai creditori medesimi, ai quali la L. Fall., artt. 127 e 128 demandano l’approvazione del concordato sulla base del parere formulato dal curatore e dal comitato dei creditori con riguardo ai presumibili risultati della liquidazione.

1.2.2. In altri termini, pure volendosi prescindere dal fatto che l’ordinamento non prevede la nullità del concordato omologato, ma soltanto il suo annullamento (L. Fall., art. 138), ritiene il Collegio che le questioni attinenti la legittimità del concordato debbano essere fatte valere nell’ambito del giudizio di omologazione, la sentenza pronunciata a conclusione del quale ha efficacia erga omnes. In definitiva, una volta omologato il concordato, l’unica questione che può essere posta, quanto alla validità dello stesso, è appunto quella dell’eventuale annullamento (L. Fall., art. 138), alla cui azione, però, non sono legittimati i debitori (tali sono gli amministratori ed i sindaci condannati per responsabilità) del fallito.

1.2.3. Non merita, dunque, alcun seguito l’ulteriore assunto del ricorrente circa l’asserita rilevabilità di ufficio, in questa sede, della nullità di quel concordato per carenza di causa in concreto, dovendosi solo rimarcare che i principi desumibili, in tema di rilevabilità officiosa delle nullità contrattuali, da Cass., SU, nn. 14828 del 2012 e 26242 del 2014, sono stati invocati in modo nemmeno pertinente, posto che, diversamente dalle liti decise da queste ultime pronunce, nella specie oggetto di controversia non è un contratto, bensì la invocata responsabilità di amministratori e sindaci dalla fallita (OMISSIS) s.r.l.. Nessun dubbio residua, quindi, sulla legittimazione attiva della Leonessa Investimenti s.r.l., subentrata, quale assuntore del concordato fallimentare predetto, nella medesima posizione della curatela originaria attrice.

2. Il secondo motivo del ricorso principale dell’ A. – rubricato “Sulla condotta del dottor A. e sul rapporto tra questa e il danno che egli avrebbe cagionato alla società. Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, insufficiente motivazione, ed in particolare degli artt. 2477 e 2407 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5” – censura il criterio utilizzato per quantificare il danno asseritamente cagionato dal collegio sindacale, giudicandolo “del tutto errato in quanto empirico” dal momento che, lungi dall’accertare il nesso eziologico tra la condotta imputata ai sindaci ed il danno patito dalla società, la corte distrettuale si era limitata a quantificare la perdita subita da quest’ultima correlando alla stessa il danno che sarebbe imputabile al collegio sindacale. “In altri termini, non vi è traccia, nè nella perizia del consulente tecnico, nè, tantomeno, nella sentenza ivi impugnata, di quali siano gli atti di mala gestio posti in essere dagli amministratori cui deve connettersi la responsabilità (evidentemente omissiva) del collegio sindacale e dalla quale, a sua volta, dovrebbe discendere il danno patito dalla società ed imputabile ai sindaci. Vi è la mera quantificazione proporzionale tra la perdita subita dopo che il patrimonio netto sarebbe divenuto negativo e la durata in carica dell’organo di controllo, come se la perdita registrata al momento del fallimento fosse la mera conseguenza degli atti posti in essere dagli amministratori e dai sindaci nel solo iato temporale in cui è il collegio sarebbe rimasto in carica” (cfr. pag. 18 del ricorso). L’erroneità di detta modalità di calcolo deriverebbe dal fatto che tiene completamente sganciate le condotte degli amministratori da quelle dei sindaci, ed anzi, a ben vedere, nemmeno individua le une e le altre, così come nessuna individuazione del nesso eziologico viene fornita, eccezion fatta per il perfezionamento di un contratto di mutuo stipulato tra l’ottobre 1996 e l’inizio del 1997.

2.1. Orbene, anche questa doglianza, laddove lamenta una motivazione “insufficiente e contraddittoria” della sentenza impugnata sullo specifico punto, è radicalmente inammissibile per le stesse ragioni già esposte, con riferimento all’analogo vizio motivazionale di cui al primo motivo, al precedente p. 1.1., da intendersi, qui, per brevità, interamente ribadite.

2.2. Analoga sorte merita, per come concretamente argomentata, la doglianza di violazione di legge.

2.2.1. Giova premettere, invero, che questa Corte, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 4343 del 2020; Cass. n. 27686 del 2018), ha chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente – perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro – ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua – pur corretta – interpretazione. Cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra, invece, violazione, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).

2.2.2. E’ noto, poi, che l’azione di responsabilità esercitata dal curatore L. Fall., ex art. 146 cumula in sè le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma – quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali -, implicando una modifica della legittimazione attiva, ma non della natura giuridica e dei presupposti delle due azioni, che rimangono diversi ed indipendenti. Ne discende che la mancata specificazione del titolo nella domanda giudiziale fa presumere, in assenza di un contenuto anche implicitamente diretto a far valere una sola delle azioni, che il curatore abbia inteso esercitare congiuntamente entrambe le azioni (cfr. Cass. n. 23452 del 2019).

2.2.3. Inoltre, la natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che quest’ultima (e, quindi, il curatore fallimentare della stessa che agisca L. Fall., ex art. 146) ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sè del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (cfr. Cass. n. 2975 del 2020; Cass. n. 17441 del 2016; Cass. n. 14988 del 2013; Cass. n. 22911 del 2010).

2.3. Orbene, nel caso di specie, la corte distrettuale, nel disattendere la censura dell’ A. riguardante la quantificazione del danno e le contestazioni sul criterio di calcolo adottato dal c.t.u. di primo grado, ivi definito dall’appellante incidentale “empirico” ed inidoneo a giustificare la correlazione tra l’inerzia dei sindaci ed il danno subito dalla società, e, quindi, dalla curatela fallimentare, ha immediatamente rilevato (cfr. pag. 19-20 della sentenza impugnata), che “…il suddetto metodo di calcolo è stato condiviso dai c.t.p., come espressamente si dà atto nella c.t.u. (pag. n. 10). Le contestazioni sul quantum risultano quindi tardivamente formulate (cfr. anche Cass. n. 4448/2014)”. Successivamente ha aggiunto che “…Ad ogni buon conto e per quanto occorra, ritiene il Collegio che siano stati sufficientemente dimostrati, in base alle risultanze della c. t. u. del Dott. Q., l’aggravamento del passivo in nesso causale con l’inerzia dei sindaci e la congruità della quantificazione effettuata dal suddetto c.t.u…”. Ha spiegato, in proposito, che il giudice di prime cure aveva correttamente evidenziato che, successivamente al 30 giugno 1996, gli amministratori, anzichè interrompere l’attività sociale, avevano compiuto nuove operazioni che avevano comportato un incremento esponenziale del deficit societario, riferendosi, tra l’altro, alla richiesta della società, in data 11 ottobre 1996, alla Banca Antoniana Popolare Veneta di un mutuo ipotecario, erogato nei primi mesi del 1997, di oltre Lire 1.700.000.000. Muovendo da questa circostanza, la corte predetta ha osservato che “…deve valorizzarsi il fatto che il suddetto mutuo ipotecario fu richiesto ed ottenuto tra ottobre 1996 e inizio 1997, ossia nel periodo in cui il collegio sindacale avrebbe già dovuto intimare la cessione di ogni attività prendendo atto della gravissima situazione di dissesto della (OMISSIS). Detto mutuo è di importo tale da coprire, quasi integralmente, la quantificazione del danno ascritto a corresponsabilità del collegio sindacale (…). Non v’è dubbio che anche solo detto ultimo gravoso indebitamento avrebbe potuto essere impedito se i sindaci si fossero attivati tempestivamente…”. Ha condiviso, infine, il metodo di calcolo utilizzato dal c.t.u. in primo grado (il quale prima aveva accertato il deficit della società alla data in cui avrebbe dovuto arrestarsi l’attività sociale, determinandolo, previe tutte le opportune e significative rettifiche, in Euro 837.677, e, di seguito, aveva sottratto tale somma dal deficit della società alla data di dichiarazione del fallimento, quantificandolo come la differenza tra l’attivo ed il passivo fallimentare), “stante l’assenza di rituali contestazioni sul punto svolte in primo grado dalle parti e di cui si dà espressamente atto nella sentenza appellata” (cfr. pag. 21 della sentenza impugnata).

2.3.1. Fermo quanto precede, la prima di tali affermazioni della corte veneziana (circa l’essere stato concordato tra c.t.u. e c.t.p. il metodo di quantificazione del danno ascritto, rispettivamente, ad amministratori e sindaci) non è stata minimamente censurata, nella presente sede di legittimità, dall’ A., il quale, nella doglianza in esame, ha continuato ad insistere sulle ragioni di contestazione del suddetto criterio di calcolo già sottoposte alla corte predetta e da essa disattese.

2.3.2. Quest’ultima, peraltro, ha adeguatamente descritto gli elementi istruttori che l’hanno indotta ad individuare, nei termini di cui si è detto, la negligente condotta ascritta al collegio sindacale ed il rapporto di causalità tra questa ed il danno subito dalla società come concretamente imputato al collegio medesimo, ed il corrispondente accertamento, integra una valutazione fattuale, a fronte della quale l’ A., con il motivo in esame, tenta, sostanzialmente, di opporre alla ricostruzione dei fatti definitivamente sancita nella decisione impugnata una propria alternativa loro interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. ex multis, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

3. Passando all’esame del ricorso incidentale della UnipolSai Assicurazioni s.p.a., esso reca due motivi, il primo dei quali ascrive alla corte lagunare di aver erroneamente confermato la sentenza di primo grado sul punto in cui aveva condannato Unipol Assicurazioni s.p.a. al pagamento del massimale rivalutato fino alla data dell’effettivo suo pagamento, piuttosto che, correttamente, fino “al momento del sinistro”. Denuncia, in proposito, “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare degli artt. 1362,1363 e 1366 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Insufficiente motivazione”. Il secondo, invece, imputa alla medesima corte di aver erroneamente respinto la doglianza di ultrapetizione formulata con riferimento alla sentenza di primo grado. Prospetta, nello specifico, “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè degli artt. 1362,1363 e 1366 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Insufficiente motivazione”.

3.1. In buona sostanza, vengono censurate le affermazioni con cui la corte territoriale ha disatteso l’appello principale della Unipol Assicurazioni s.p.a. rimarcando che: i) era stata proprio quest’ultima ad affermare che il massimale di polizza dovesse ritenersi soggetto ad indicizzazione e che, ad ogni buon conto, detta espressa previsione era contenuta nel testo della polizza stipulata con l’ A., all’art. 3 (delle “Norme comuni”). Sulla scorta di tali considerazioni, basate sul tenore letterale delle previsioni di polizza, non era pertinente il richiamo alla mala gestio effettuato da Unipol; il) neppure sussisteva il dedotto vizio di ultra petizione, atteso che l’ A. aveva chiesto di essere manlevato “nei limiti della garanzia prestata” e, per quanto detto, la garanzia prevedeva l’indicizzazione nei termini di polizza predetti e correttamente applicati dal tribunale, che aveva sancito che il massimale dovesse essere indicizzato fino alla data del suo pagamento.

3.3. Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perchè connesse, sono complessivamente inammissibili.

3.3.1. Per il vizio motivazionale denunciato in entrambe, valgono le stesse ragioni già esposte, con riferimento all’analoga tipologia di vizio di cui al primo motivo del ricorso principale dell’ A., al precedente p. 1.1., da intendersi, qui, per brevità, interamente ribadite.

3.4. L’ulteriore censura di cui alla prima di esse, per il resto, benchè denunci violazione di legge, in realtà consiste e si risolve nella deduzione dell’erronea interpretazione, ad opera della corte distrettuale, del contenuto della “Polizza del commercialista” n. (OMISSIS) stipulata dall’ A., il 14 ottobre 1992, con l’allora Aurora Assicurazioni s.p.a. (poi divenuta, per effetto di molteplici operazioni di fusione societarie UnipolSai Assicurazioni s.p.a.).

3.4.1. Occorre considerare, però, che, come ancora recentemente ribadito, nelle rispettive motivazioni, da Cass. n. 14938 del 2018 e Cass. n. 25470 del 2019, il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sè (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione). Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (su tali principi, cfr., ex plurimis, Cass. n. 24539 del 2009, Cass. n. 2465 del 2015, Cass. n. 10891 del 2016; Cass. n. 7963 del 2018, in motivazione).

3.4.2. In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (cfr., ex aliis, Cass. n. 2465 del 2015; Cass. n. 10891 del 2016; con la precisazione che quando, come nella specie, è applicabile il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame della questione relativa all’interpretazione del contratto neppure è riconducibile a detto vizio, in quanto l’interpretazione di una clausola negoziale non costituisce “fatto” decisivo per il giudizio, atteso che in tale nozione rientrano gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi. Cfr. Cass. n. 5795 del 2017).

3.4.3. Nel quadro di detti principi, risulta chiaro che questa censura è volta, inammissibilmente, a sostenere una diversa lettura della polizza predetta (in particolare del riportato art. 3, “Indicizzazioni”, delle sue “Norme comuni”, a tenore del “Il premio e il massimale convenuti nel presente con fratto sono soggetti ad adeguamento in proporzione alle variazioni in percentuale del numero indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (già “costo della vita “.1 elaborato dall’Istituto Centrale di Statistica”), senza indicare specificamente i canoni ermeneutici violati, ma insistendo in quella stessa sua interpretazione già implicitamente disattesa dal giudice di merito.

3.5. Ne deriva, pertanto, anche l’impossibilità di accoglimento pure della seconda doglianza del ricorso incidentale in esame, posto che non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (cfr. Cass. n. 20718 del 2018), nella specie da ravvisarsi nell’affermazione della corte veneziana secondo cui (cfr. pag. 16-17 della sentenza impugnata), sulla scorta di quanto da essa ritenuto quanto all’interpretazione della polizza suddetta, “non è pertinente il richiamo alla mala gestio effettuato da Unipol”, nè “sussiste il dedotto vizio di ulta petizione, atteso che l’ A. aveva chiesto di essere manlevato “nei limiti della garanzia prestata, e, per quanto detto, la garanzia prevedeva l’indicizzazione dei termini di polizza nei termini di polizza sopra precisati”.

4. In conclusione, il ricorso principale di A.C. deve essere dichiarato inammissibile ed altrettanto dicasi per quello incidentale della UnipolSai Assicurazioni s.p.a..

4.1. L’ A., inoltre, va condannato all’integrale pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla Leonessa Investimenti s.r.l. e da B.G. (totalmente estraneo ai motivi di impugnazione formulati), mentre è ragionevole compensarsi solo per la metà, tenuto conto della prevalente soccombenza dell’ A. rispetto a quella (pure sussistente) della UnipolSai Assicurazioni s.p.a., le medesime spese relative al rapporto processuale intercorso tra questi ultimi, ponendone il residuo a carico del primo.

4.2. Va dato atto, infine, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater i presupposti processuali per il versamento, da parte dell’ A. e della UnipolSai Assicurazioni s.p.a., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto, rispettivamente, per il ricorso principale del primo e per quello incidentale della seconda, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile sia il ricorso principale di A.C. che quello incidentale della UnipolSai Assicurazioni s.p.a..

Condanna l’ A. al pagamento, in favore di B.G. e della Leonessa Investimenti s.r.l. e della UnipolSai s.p.a., delle spese di questo giudizio di legittimità, che così liquida anche valutato il concreto tenore dei rispettivi atti difensivi: i) in favore del B., in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; in favore della Leonessa Investimenti s.r.l., in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; iii) in favore della UnipolSai Assicurazioni s.p.a., previa loro compensazione in ragione della metà, nella residua somma di Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dell’ A. e della UnipolSai Assicurazioni s.p.a., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto, rispettivamente, per il ricorso principale del primo e per quello incidentale della seconda, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 10 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

 

 

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