Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28639 del 23/12/2011

Cassazione civile sez. II, 23/12/2011, (ud. 10/11/2011, dep. 23/12/2011), n.28639

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 6796/06) proposto da:

N.D. (C.F.: (OMISSIS)) e T.G.

(C.F.: (OMISSIS)), rappresentate e difese, in forza di

procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Bendinelli Paolo

ed Enrico Ivella ed elettivamente domiciliati presso lo studio del

secondo, in Roma, alla via Ugo Bartolomei, n. 23;

– ricorrenti –

contro

B.G. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e

difesa, in virtù di procura speciale a margine del controricorso,

dagli Avv.ti Bertacchi Franco e Stefano Di Meo ed elettivamente

domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma, via Pisanelli n,

2;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia n. 689/2005,

depositata il 21 luglio 2005;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 10

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

uditi gli Avv.ti Enrico Ivella, per i ricorrenti, e Stefano Di Meo,

per la controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 3 dicembre 1999 N.D., T.G. ed N.E., quest’ultimo assistito dal curatore in quanto inabilitato, sul presupposto di essere eredi legittimi di N.G. (defunto coniuge della T. e padre di E. e N.D.) e proprietari di un fondo ai mappali 3285 e 3283 nel Comune di Scanzorosciate, che avevano deciso di recintare con installazione di apposito cancello che collegava l’immobile alla strada di lottizzazione di cui al mappale 3287, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Bergamo la sig.ra B.G. (cognata del defunto N.G., che aveva intimato la chiusura del realizzato cancello) affinchè venisse accertato il loro diritto a mantenere l’apposto cancello e ad esercitare il passaggio a carico del mappale 3287 di proprietà di essa convenuta, con la conseguente condanna di quest’ultima al risarcimento del danno per aver venduto a terzi quanto già oggetto di vendita in favore del loro dante causa N.G. e a restituire a N.D. le somme percepite per detta vendita.

Nella costituzione della predetta convenuta, il Tribunale adito, all’esito dell’esperita istruzione probatoria, con sentenza del 21 maggio 2003, rigettava la domanda attrice e ordinava la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale. A seguito di rituale appello interposto da N.D. e T.G., la Corte di appello di Brescia, nella resistenza dell’appellata B. G., con sentenza n. 689 del 2005 (depositata il 21 luglio 2005), rigettava il gravame e condannava le appellanti alla rifusione delle spese di secondo grado in favore della B..

A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale rilevava che, nella specie, non era risultata documentalmente la prova dell’assunta costituita servitù in favore del dante causa delle appellanti poichè essa era stata offerta mediante la produzione di una fotocopia, solo parzialmente leggibile, del 2 aprile 1972, intercorsa appunto tra N.G. e B.G., che era stata tempestivamente disconosciuta da quest’ultima nella comparsa di risposta con la quale si era costituita nel giudizio di primo grado.

Essendo rimasta senza esito l’istanza di esibizione dell’originale suppostamente esistente ed asseritamente posseduto dalla B., il giudice di secondo grado riteneva che non sussistessero i presupposti per far luogo alla verificazione della prodotta fotocopia della scrittura, con la conseguente mancata prova del fatto costitutivo attinente all’effettività dell’esistenza della servitù dedotta in giudizio.

Avverso la suddetta sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione N.D. e T.G., articolato in tre motivi, al quale ha resistito con controricorso l’intimata B.G.. I difensori dei ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo le ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c. e del combinato disposto dell’art. 2724 c.c., n. 3) e art. 2725 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) nella parte in cui, a fronte dell’avvenuto disconoscimento della B. della fotocopia della scrittura privata posta a fondamento della domanda giudiziale idonea a comprovare la costituzione della dedotta servitù, la Corte territoriale – affermando che non era risultato che N.G. o gli aventi causa fossero stati in possesso dell’originale, non potendo dunque smarrirlo – non aveva ritenuto applicabile il citato art. 2724 c.c., n. 3) in relazione con l’art. 2725 c.c., comma 1, secondo cui la prova per testimoni dei contratti per i quali sia prevista la forma scritta “ad substantiam” è ammissibile solo nel caso in cui il contraente abbia senza sua colpa perso il documento che gli forniva la prova.

2. Con il secondo motivo le ricorrenti hanno dedotto la violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2729 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), prospettando l’illegittimità della sentenza impugnata sul presupposto che, al fine di valutare l’applicabilità o meno al caso di specie del disposto dell’art. 2724 c.p.c., n. 3), la Corte territoriale avrebbe dovuto ammettere le prove orali dedotte dalle parti attrici tempestivamente in primo grado e riproposte in grado di appello relative alla redazione della scrittura del 2 aprile 1972 in unico originale e alla consegna dell’originale stesso alla venditrice e di copia all’acquirente.

3. Con il terzo motivo le ricorrenti hanno denunciato l’insufficienza della motivazione (ex art. 360 c.p.c., n. 5) in ordine ad un punto decisivo della controversia avuto riguardo al passaggio argomentativo con il quale la Corte territoriale aveva escluso l’applicabilità alla fattispecie del disposto di cui all’art. 2725 c.c. e art. 2724 c.c., n. 3), senza indagare sulla ricorrenza o meno di ipotesi equiparabili allo smarrimento incolpevole, fornendo sul punto un’adeguata motivazione.

4. I tre motivi – che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi – sono infondati e devono, pertanto, essere rigettati.

La questione centrale della controversia riguarda l’esistenza ed il contenuto della scrittura privata di compravendita immobiliare del 2 aprile 1972 (intercorsa appunto tra N.G. e B. G.), posta a fondamento delle domande giudiziali proposte dalle odierne ricorrenti al fine di comprovare l’esistenza della servitù costituita in loro favore ed insistente sul fondo della controricorrente. E’ incontestato tra le parti che le originarie attrici avevano prodotto solo una copia fotostatica della suddetta scrittura, la quale era stata tempestivamente disconosciuta dalla convenuta nella comparsa di risposta ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2719 c.c.. Conseguentemente, le attrici (quali aventi causa, per successione, del defunto N.G.) avevano dedotto un serie di richieste di ammissione di prova per testi al fine di dimostrare che la scrittura di compravendita era stata redatta in unico esemplare, il quale era rimasto custodito dalla convenuta, nei cui confronti era stata anche ammessa, nel giudizio di appello, l’istanza di esibizione dell’unico supposto originale, rimasta, tuttavia, senza esito.

Le ricorrenti – pur riconoscendo che, legittimamente, la Corte territoriale non aveva potuto dare seguito all’istanza di verificazione della suddetta fotocopia della scrittura della quale era stata contestata la conformità all’originale – hanno, però, inteso censurare la sentenza del giudice di appello con riferimento alla ritenuta inapplicabilità dell’art. 2724 c.c., n. 3) (e, quindi, alla rilevata inammissibilità della prova testimoniale dedotta nell’interesse delle appellanti, odierne ricorrenti) e all’insufficiente percorso motivazionale adottato in proposito, non avendo indagato sulla ricorrenza o meno di ipotesi equiparabili allo smarrimento incolpevole.

Rileva, invero, il collegio che la Corte di appello di Brescia, oltre a rilevare l’inverosimiglianza della tesi prospettata dalle ricorrenti circa la supposta redazione di un solo originale della menzionata scrittura privata che sarebbe stato consegnato alla B. (motivando, sul punto, con riferimento all’emergenza di plurimi, univoci e concordanti indizi, senza che, peraltro, tale passaggio argomentativo sia stato idoneamente censurato con il formulato ricorso), nell’escludere l’ammissibilità della prova orale richiesta dalle odierne ricorrenti, ha basato la sua decisione su un condivisibile principio giuridico, affermato dalla più recente e predominante giurisprudenza di questa Corte. Risulta, infatti, sufficientemente affermato nella sentenza impugnata che, nel caso di specie, non si sarebbe potuta considerare ricorrente l’ipotesi prevista dal citato art. 2724 c.c., n. 3) dal momento che non risultava (come ammesso dalle stesse ricorrenti) che il N. G. o i suoi eredi fossero stati mai in possesso dell’originale che, perciò, non potevano aver smarrito. Come già evidenziato, nella fattispecie, il titolo costitutivo della servitù avrebbe dovuto essere concluso con la forma scritta “ad substantiam” (ai sensi dell’art. 1350 c.c.), con la conseguenza che, in tal caso, l’unica eccezione al limite di ammissibilità della prova per testi si sarebbe dovuta ricondurre all’ipotesi specificata, appunto, nell’art. 2724 c.c., n. 3, ovvero al caso dell’incolpevole smarrimento del documento comprovante il titolo (per i cui presupposti e relativi oneri probatori cfr. Cass. n. 43 del 1998 e Cass. n. 26155 del 2006). Ma, avendo le stesse ricorrenti dichiarato di non aver mai posseduto il documento (assunto come redatto in unico originale che sarebbe rimasto nella disponibilità esclusiva della venditrice), ne consegue in via logica l’inapplicabilità della suddetta eccezione relativa all’ammissibilità della prova testimoniale.

Infatti, posto che (v. Cass. n. 8611 del 1998), in generale, quando la legge stabilisce per un determinato contratto la forma scritta “ad substantiam” (come, nella specie, contratto costitutivo di una servitù), alla mancata produzione in giudizio del documento non può supplire la prova testimoniale, ostandovi il disposto espresso dell’art. 2725 c.c. salva l’ipotesi della perdita incolpevole del documento costitutivo di quel diritto, essendo volta in tal caso la prova per testimoni alla ricostruzione del documento, la Corte territoriale, nel ritenere insussistente quest’ultima ipotesi, si è conformata all’indirizzo giuriprudenziale più evoluto di questa Corte (cfr. Cass. n. 2951 del 1994 e Cass. n. 3722 del 1996), con il quale è stato statuito che, in caso di negozio che richieda “ad substantiam” la forma scritta, qualora il documento contrattuale sia stato consegnato da un contraente all’altro, che si rifiuti poi di restituirlo, resta preclusa al primo che intenda far valere i diritti scaturenti dal contratto la possibilità del ricorso alla prova testimoniale; in tal caso, invero, non ricorre un’ipotesi di perdita incolpevole del documento ai sensi dell’art. 2724 c.c., n. 3, ma un caso di impossibilità di procurarsi la prova del contratto ai sensi del precedente n. 2 di detta norma, con la conseguente esclusione di ogni deroga al divieto della prova testimoniale ai sensi dell’art. 2725 c.c., anche al limitato fine della preliminare dimostrazione dell’esistenza del documento, necessaria per ottenere un ordine di esibizione da parte del giudice a norma dell’art. 210 c.p.c.. In altri termini, quando l’originale del documento contrattuale richiesto dalla legge “ad substantiam” non sia uscito dalla disponibilità di uno dei contraenti, a causa del suo rifiuto a consegnarlo in altro originale o in copia conforme all’originale o anche per effetto di un preteso accordo tra le parti a lasciare l’unico originale predisposto nella disponibilità esclusiva di uno dei contraenti (ipotesi alla quale si sono richiamate le stesse ricorrenti nel presente giudizio), resta preclusa all’altro contraente, che intenda dedurre il contratto stesso per far valere diritti da esso scaturenti, la possibilità di far ricorso alla prova testimoniale, anche al limitato fine di conseguire un ordine di esibizione del documento, ai sensi dell’art. 210 c.p.c.; in tale situazione, infatti, non sussiste un’ipotesi di perdita incolpevole del documento, in relazione alla previsione di cui all’art. 2724 c.c., n. 3), la quale postula la sopravvenuta perdita della disponibilità di un atto prima posseduto, bensì un’ipotesi di impossibilità di procurarsi la prova del contratto (per una volontà stessa del contraente poi rimasto sprovvisto del documento o, comunque, per un suo difetto di diligenza nel farsi rilasciare un altro originale ovvero copia autentica od equivalente del documento, all’atto della sua stipula o in altro successivo momento utile per potersene eventualmente avvalere), ai sensi dello stesso art. 2724 c.c., n. 2) con la conseguente esclusione di ogni deroga al divieto della prova per testi, ai sensi dell’art. 2725 c.c., anche al circoscritto scopo della preliminare dimostrazione dell’esistenza del documento, necessaria per ottenere il relativo ordine di esibizione.

A questi principi si è esattamente uniformata la Corte bresciana che ha, perciò, correttamente escluso che la situazione determinatasi nel caso di specie (riconducibile, in ogni caso, ad una negligenza dell’altro contraente rimasto successivamente sprovvisto del documento – in originale o in altra idonea modalità equipollente – costitutivo del diritto che si era inteso far valere in sede giudiziale) potesse essere equiparata allo smarrimento incolpevole del documento, tale da legittimare la configurazione dell’ipotesi riconducibile all’art. 2724 c.c., n. 3).

5. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna delle ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 10 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2011

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