Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28637 del 23/12/2011

Cassazione civile sez. II, 23/12/2011, (ud. 08/11/2011, dep. 23/12/2011), n.28637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.M.L. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e

difesa, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli

Avv.ti Giudici Antonio e Franco di Lorenzo ed elettivamente

domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, via Germanico n.

12, int. 4 b;

– ricorrente –

contro

L.A. (C.F.: (OMISSIS); S.M.

(C.F.: (OMISSIS)); S.E. (C.F.:

(OMISSIS)); S.M. (C.F.: (OMISSIS));

C.P. (C.F.: (OMISSIS)); C.B. (C.F.:

(OMISSIS)); CA.CL. (C.F.: (OMISSIS));

CA.LU. (C.F.: (OMISSIS)) e c.c.

(C.F.: (OMISSIS)), tutti rappresentati e difesi dagli Avv.ti

Ramimelo Mario e Franco Gugliucci, in virtù di procura speciale in

calce al controricorso, ed elettivamente domiciliati presso lo studio

del secondo, in Roma, v. Pavia, n. 2;

– controricorrenti –

e

P.A.; M.N. e M.A.;

– intimati –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia n. 724/2005,

depositata il 25 agosto 2005;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica dell’8

novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

uditi gli Avv.ti Franco Di Lorenzo, per la ricorrente, e Franco

Gigliucci, per i controricorrenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 26 febbraio 1999, la sig.ra B.M., sul presupposto che il sig. C.C., con testamento olografo del (OMISSIS) (mediante il quale aveva revocato quello precedentemente redatto il (OMISSIS)), le aveva lasciato tutti i beni facenti parte del suo asse ereditario, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bergamo i sigg. L. A., L.E., Ca.Pi., Ca.Cl., c.c., Ca.Lu., P.A., M.N. e M.A. (quali nipoti del suddetto “de cuius”) affinchè fosse accertata la sua qualità di erede dell’indicato C. C. e, conseguentemente, i predetti convenuti venissero condannati alla restituzione dei beni di proprietà dello stesso “de cuius”.

Nella costituzione del convenuti, i quali disconoscevano l’autenticità del testamento olografo su cui l’attrice aveva fondato l’azione esperita, all’esito dell’espletata istruttoria, il Tribunale adito, con sentenza n. 2828 del 2002, rigettava la domanda formulata dalla B., che condannava anche al pagamento delle spese processuali, ivi comprese quelle occorse per la c.t.u.. A seguito di rituale appello interposto dalla suddetta B.M.L., la Corte di appello di Brescia, nella resistenza di tutti gli appellati (ad eccezioni di P.A., M.N. e M.A.), con sentenza n. 724 del 2005 (depositata il 25 agosto 2005), rigettava il gravame, dichiarava la carenza di legittimazione passiva di c.c. e Ca.Lu. e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado. A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale confermava la correttezza della statuizione di primo grado circa la valutazione delle prove relative all’intervenuto accertamento della non autenticità del testamento olografo del 10 febbraio 1993 su cui la B. aveva basato la sua domanda e la conseguente adeguatezza dei riscontri operati dal c.t.u., anche con riferimento alla ritenuta irrilevanza e al mancato utilizzo di altre scritture di comparazione.

Avverso la suddetta sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la B.M.L., articolato in quattro distinti motivi, al quale hanno resistito con controricorso tutti gli intimati (ad eccezione di P.A., M.N. e M. A.). I difensori della ricorrente hanno anche depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c. .

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per supposta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 112, 214 e 221 e segg. c.p.c. nonchè per omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

In particolare, con tale doglianza, la ricorrente ha sostenuto l’erroneità della sentenza della Corte territoriale nella parte in cui, nella supposta violazione del disposto degli artt. 2697, 214 e 221 e segg. c.c., aveva fatto proprie le risultanze probatorie acquisite in virtù di una procedura istruttoria illegittimamente esperita (il giudizio di verificazione incidentale) ed estranea alla fattispecie in questione, poichè sarebbe stato necessario far luogo, per contestare l’autenticità del testamento olografo del (OMISSIS) impugnato, al procedimento di querela di falso.

1.1. Posto che, pacificamente (per come attestato anche nella stessa sentenza impugnata: cfr. pag. 3), i convenuti nel giudizio di primo grado avevano ritualmente disconosciuto l’autenticità del testamento sul quale la B.M.L. aveva fondato la sua domanda, con la conseguente instaurazione del giudizio di verificazione incidentale, la difesa di quest’ultima ha inteso sostenere che, nella specie, trattandosi di un’impugnazione di testamento olografo (e, perciò, di una scrittura proveniente da terzi), sarebbe stato indispensabile far luogo al giudizio di querela di falso, ragion per cui soltanto gli esiti di quest’ultimo procedimento avrebbero potuto fare stato sull’autenticità o meno dei medesimo testamento (l’ultimo in ordine cronologico asseritamente riferito al “de cuius” C. C.).

Osserva, sul punto, il collegio che la giurisprudenza assolutamente prevalente (cfr. Cass. n. 3849 del 1979; Cass. n. 3880 del 1980;

Cass. n. 3833 del 1994) ed anche recente (v. Cass. n. 7475 del 2005;

Cass. n. 1789 del 2007 e Cass. n. 26943 del 2008) di questa Corte (alla quale si intende dare continuità, in tal senso rimanendo superato il riferimento alla sentenza n. 16362 del 2003, richiamata in ricorso) ha univocamente statuito che la querela di falso ed il disconoscimento della scrittura privata sono istituti preordinati a finalità diverse e del tutto indipendenti fra loro, in quanto il primo postula l’esistenza di una scrittura riconosciuta, della quale si intende eliminare l’efficacia probatoria attribuitale dall’art 2702 c.c., mentre l’altro, investendo la stessa provenienza del documento, è volto ad impedire che la scrittura acquisti detta efficacia e si risolve in un’impugnazione vincolata da forme particolari, rivolta a negare l’autenticità del documento che si assume contraffatto; pertanto, poichè il testamento olografo è un documento che non perde la sua natura di scrittura privata per il fatto che deve rispondere ai requisiti di forma imposti dalla legge (art. 602 c.c.) e che deriva la sua efficacia dal riconoscimento, espresso o tacito, che ne faccia il soggetto contro il quale la scrittura è prodotta, quest’ultimo, ove voglia impedire tale riconoscimento e contesti globalmente l’intera scheda testamentaria, deve proporre l’azione di disconoscimento, che pone a carico della controparte l’onere di dimostrare, in contrario, che la scrittura non è stata contraffatta e proviene, invece, effettivamente dal suo autore apparente. Da ciò si evince, quindi, che chi è stato istituito erede con un precedente testamento è legittimato, ai sensi dell’art. 214 c.c., comma 2 (che pone espresso riferimento anche agli eredi), a disconoscere un successivo testamento contro di lui prodotto e con il quale viene istituito altro erede (e tanto è propriamente avvenuto nella controversia in questione).

Tale principio di fondo è rafforzato dall’ulteriore e più ampio indirizzo recepito ancora dalla giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, la citata Cass. n. 1789 del 2007) secondo il quale alla parte nei cui confronti venga prodotta una scrittura privata deve ritenersi consentita – oltre alla facoltà di disconoscerla, così facendo carico alla controparte di chiederne la verificazione addossandosi il relativo onere probatorio – anche la possibilità alternativa di proporre, senza con ciò riconoscere nè espressamente nè tacitamente la scrittura medesima, querela di falso al fine di contestare la genuinità del documento stesso, atteso che, in difetto di limitazioni di legge, non può negarsi a detta parte di optare per uno strumento per lei più gravoso ma rivolto al conseguimento di un risultato più esteso e definitivo, quello cioè della completa rimozione del valore del documento con effetti “erga omnes” e non nei soli riguardi della controparte; anche alla stregua di tale principio generale e sul presupposto della sua applicabilità pure in caso di testamento olografo, rimane, perciò, riconfermato che chi è stato istituito erede con un precedente testamento è legittimato, a norma dell’art. 214 c.p.c., a disconoscere un successivo testamento contro di lui prodotto e con il quale è stato istituito altro erede.

2. Con il secondo motivo la B. ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 112 e 216 c.p.c., congiuntamente al vizio di omessa e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (in ordine all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Con questa doglianza la ricorrente ha, in sostanza, inteso porre in discussione l’adeguatezza della sentenza impugnata con la quale, a fronte di documenti offerti in comparazione con il testamento olografo oggetto di disconoscimento e della deduzione di apposita prova testimoniale, oltre che della richiesta di espletamento di nuova c.t.u., non era stato dato seguito ad alcuno di tali incombenti istruttori, offrendo una motivazione carente e, in ogni caso, caratterizzata da contraddittorietà.

2.1. Anche questa complessa doglianza è destituita di fondamento e va respinta.

Al di là dell’aspetto che il motivo non sembra rispettoso del principio della necessaria autosufficienza per l’incompleto e, comunque, superficiale richiamo dei documenti che non sarebbero stati valorizzati dalla Corte territoriale e per l’omessa trascrizione delle circostanze sulle quali era stata basata la dedotta prova testimoniale (in funzione della indispensabile valutazione di ammissibilità e di rilevanza), non ritenuta conferente ed utile dalla predetta Corte, esso si palesa comunque privo di pregio sul piano giuridico.

Ad avviso della consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 129 del 2001 e Cass. n. 4728 del 2007), in tema di prova documentale, l’idoneità di una scrittura privata alla funzione di comparazione richiede non già il dato negativo della mancanza di un formale disconoscimento nei tempi e nei modi di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c., bensì quello positivo del riconoscimento, espresso ovvero tacito (per non essere, cioè, mai stata contestata l’autenticità della scrittura), atteso che, dovendo fungere da fonte di prova della verità di altro documento, è indispensabile che sia certa la provenienza della scrittura da colui al quale quel documento, oggetto dell’accertamento giudiziale, si intende attribuire, con la conseguenza che le scritture di raffronto utilizzabili devono rispondere al requisito certo dell’autenticità, rimanendo irrilevante il numero delle stesse se non corrispondono al predetto indispensabile requisito.

Orbene, alla luce di ciò, la Corte territoriale, con motivazione ampiamente congrua e immune da vizi logico-giuridici (e, perciò, con accertamento di fatto incensurabile in questa sede), ha verificato che le scritture di comparazione offerte dalla B. apparivano scarsamente significative avuto riguardo alla completezza e all’estensione del primo testamento non disconosciuto e, perciò, facente piena prova della sua autenticità (e, come tale, da valorizzare quale scrittura comparativa principale: v. Cass. n. 790 del 1987), evidenziando, altresì, come altri documenti offerti in produzione risalissero al periodo anteriore alla redazione dello stesso testamento del 1990 e altri ancora, riconducibili al periodo intermedio tra il primo e il secondo testamento disconosciuto, fossero risultati scritti dalla mano di terzi e soltanto sottoscritti dal testatore. Peraltro, la Corte bresciana ha evidenziato come la difesa della ricorrente non avesse adeguatamente confutato tale ricostruzione attinente alla ravvisata irrilevanza degli altri documenti allegati, sottolineando come gli stessi consulenti della B., che avevano partecipato alle operazioni peritali, avevano offerto una risposta negativa al c.t.u. sulla necessità di eseguire la comparazione anche con altre scritture del “de cuius”.

Del resto, la scelta sulla rilevanza delle scritture di comparazione in funzione dello svolgimento del procedimento di verificazione rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito che, nella specie, si è avvalso dell’idoneo e risolutivo ausilio del c.t.u.

(che era stato facultato a valutare altre scritture comparative, oltre al primo testamento autentico, solo ove fosse stato necessario) e ha sufficientemente motivato la scelta selettiva compiuta, attribuendo la preferenza esclusiva al testamento non disconosciuto (e certamente autentico) del 1990 con il quale erano stati istituiti eredi gli originari convenuti. Al riguardo si ricorda che questa Corte ha già statuito (v. la citata sentenza n. 790 del 1987) che il principio, secondo il quale, in presenza di due testamenti olografi redatti in tempi diversi, deve riconoscersi prevalenza a quello successivo, opera sul piano sostanziale, senza introdurre deroghe alle regole processuali sull’efficacia probatoria della scrittura privata, con la conseguenza che, nella controversia sulla spettanza dei beni ereditari, la circostanza che l’erede, nominato con il secondo testamento, non abbia disconosciuto la sottoscrizione del primo, disponente in favore dell’avversario, vale a renderne incontestabile l’autenticità (artt. 214 e 215 c.p.c.), e consente quindi che tale anteriore testamento sia utilizzato, quale scrittura di comparazione, per la verifica dell’autenticità di quello successivo, che sia stata oggetto di rituale contestazione.

Inoltre, occorre rimarcare che, se è pur vero che la disciplina del procedimento di verificazione della scrittura privata non configura la consulenza tecnica come prova esclusiva e primaria per l’accertamento dell’autografia, è altrettanto vero che quando il giudice di merito, avvalendosi dei suoi poteri discrezionali, dispone la c.t.u. grafologica, i cui esiti, a seguito di rigorosa analisi scientifica condotta, siano univoci nella individuazione, in termini certi, della falsificazione della scrittura, è logicamente giustificabile il mancato ricorso ad ulteriori mezzi istruttori (compresa la prova testimoniale) il cui svolgimento rimarrebbe irrilevante ed ultroneo rispetto all’accertamento principale dell’apocrificità adeguatamente compiuto mediante l’indagine tecnica specialistica; in tal senso, quindi, si prospetta del tutto corretta ed adeguatamente argomentata sul piano motivazionale la decisione della Corte territoriale di non dare seguito ad altri accertamenti probatori.

3. Con il terzo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 c.c. nonchè l’omessa e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), in relazione alla conferma della ravvisata precisione degli indizi evidenziati dagli appellati e richiamati nella sentenza di primo grado, i quali avrebbero deposto per la totale apocrificità della scheda testamentaria di cui era stata disconosciuta l’autenticità.

3.1. Anche questo motivo è da ritenersi infondato e deve, quindi, essere respinto.

Deve, infatti, sottolinearsi al riguardo che la Corte di appello, così come il Tribunale di primo grado, hanno fondato la loro decisione relativa alla dichiarata falsità del testamento del 1993 impugnato sugli accertamenti rigorosi compiuti dal c.t.u. e sulle sue conseguenti conclusioni logiche e, soltanto “ad abundatiam”, hanno solo verificato l’esistenza di una oggettiva compatibilita tra la falsità di detto testamento e le modalità del suo asserito rinvenimento, oltretutto non specificamente contestate dalla B., senza far assumere a questi ulteriori elementi una valenza direttamente incidente sulla già accertata, in modo obiettivo, apocrificità del secondo testamento. In questo circoscritto significato, quindi, deve essere letto il passaggio motivazionale, sufficientemente sviluppato, della sentenza impugnata che, nel richiamare gli indizi evidenziati dal primo giudice, ha sostenuto come gli stessi potessero considerarsi idonei (siccome logicamente coerenti) a confermare la totale apocrificità della scheda testamentaria del 1993, comunque oggettivamente scaturita all’esito delle operazioni realizzate dal c.t.u..

4. Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente ha prospettato la violazione e falsa applicazione degli artt. 110, 112 e 324 c.p.c., nonchè dell’art. 533 c.c., nonchè il vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, con riferimento all’avvenuta statuizione d’ufficio, adottata con la sentenza di secondo grado, della carenza di legittimazione passiva degli appellati Ca.

L. e c.c., siccome avevano rinunciato all’eredità.

4.1. Anche quest’ultima doglianza è del tutto infondata.

Al di là dell’insussistenza di uno specifico interesse della ricorrente (in relazione alla natura dell’azione esperita) in ordine alla dichiarata carenza di legittimazione passiva dei due predetti appellati, va rilevato che questi ultimi, già in primo grado, all’atto della loro rituale costituzione, avevano comunque instato per il rigetto della domanda avversa nel merito, nel quale si ricomprende anche l’esame della sussistenza o meno delle condizioni dell’azione. In ogni caso, per giurisprudenza costante di questa Corte, la carenza della richiamata condizione dell’azione involge una questione rilevabile anche d’ufficio dal giudice, in ogni stato e grado del processo (senza che, pertanto, possa configurasi violazione dell’art. 112 c.p.c.: sulla manifesta infondatezza della relativa questione cfr. Cass. n. 11837 del 2007).

5. In definitiva, il ricorso della B.M.L. deve essere integralmente rigettato, con la sua conseguente condanna, in quanto soccombente, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti in via fra loro solidale, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 8 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2011

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