Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28637 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 09/11/2018, (ud. 09/05/2018, dep. 09/11/2018), n.28637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19568-2016 proposto da:

IRETI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 7, presso lo

studio dell’avvocato MARIA TERESA BARBANTINI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ENRICO SIBOLDI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante in proprio e quale procuratore

speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S.

(S.C.C.I.) S.p.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto

medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO,

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO ed EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO,

ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 85/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 22/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/05/2018 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Genova confermò la sentenza di primo grado che, pronunciandosi in sede di opposizione ad avviso di addebito, aveva accertato la sussistenza dell’obbligo contributivo di IREN Acqua Gas s.p.a. e Iren Mercato s.p.a. per CIGS, CIGO e mobilità, oltre somme aggiuntive e sanzioni e, in accoglimento dell’appello incidentale dell’INPS, aveva condannato le società al pagamento delle spese di lite del primo grado, liquidando, altresì, a carico delle stesse le spese del grado;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società Ireti s.p.a., risultante dalla fusione per incorporazione delle società originariamente ricorrenti, sulla base di quattro motivi;

che l’INPS si è costituito con controricorso;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

Che con il primo motivo la ricorrente, deducendo plurime violazioni di legge nonchè vizio di motivazione, ha censurato la decisione per avere ritenuto dovuti i contributi per cigs e cigo, osservando che la partecipazione di soggetti pubblici al capitale sociale comportava che essa dovesse essere annoverata nell’ambito delle “imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate” esonerate dalla contribuzione in base al disposto del D.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 3 e rilevando, altresì, che dal D.Lgs. n. 148 del 2015, art. 10 e L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 309, poteva evincersi la volontà del legislatore di assoggettare all’obbligo contributivo in argomento le imprese industriali degli enti ad azionariato misto, dovendosene trarre che per i perfidi antecedenti all’entrata in vigore della prima norma citata le suddette imprese erano esonerate dal pagamento della contribuzione;

che con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 14, richiamate le deduzioni svolte con riferimento alla illustrazione del primo motivo, ha censurato la decisione per avere affermato la sussistenza dell’obbligo di pagamento dei contributi di mobilità;

che con il terzo motivo ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,1227 e 1375 c.c., della L. 7 agosto, n. 241, art. 1 nonchè della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 10 e/o comma 13 e/o comma 15, lett. A) sostenendo che, stante il contrasto interpretativo in tema di obbligo contributivo delle società partecipate, sussistevano in ogni caso i presupposti per l’applicazione delle sanzioni in misura ridotta secondo le norme richiamate;

che con il quarto motivo la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1,comma 1175 nonchè del D.M. 24 ottobre 2007, art. 1, comma 1175 osservando che la società aveva presentato all’Inps domanda di sgravio contributivo per l’incentivazione della contrattazione di secondo livello per gli anni 2010 e 2011 e che l’Inps aveva comunicato di avere accolto la domanda, senza però procedere allo sgravio. Censura la statuizione della Corte d’appello che, richiamando la L. n. 296 del 2006, art. 1, commma 1175 il quale subordina i benefici contributivi previsti in materia di lavoro e legislazione sociale al possesso da parte dei datori di lavoro del documento unico di regolarità contributiva, ha ritenuto non meritevole la società di godere dei benefici in ragione dell’omesso pagamento della contribuzione per CIGO, GIGS e mobilità, osservando che non ricorreva alcuna causa ostativa al rilascio del DURC e quindi all’accertamento della regolarità contributiva, sia perchè non era intervenuto il passaggio in giudicato della sentenza di accertamento della contribuzione dovuta in questa sede impugnata, sia perchè la società aveva comunque provveduto al pagamento degli importi richiesti con l’avviso di addebito;

che i primi due motivi, unitariamente considerati per ragioni di connessione, sono infondati, posto che l’obbligo per il pagamento dei contributi per cassa integrazione e mobilità sussiste nei confronti delle sole imprese rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell’intervento di integrazione salariale;

che secondo il consolidato orientamento di questa Corte (in tal senso Cass. n. 27513 del 10/12/2013 e molte successive conformi “In materia di contributi previdenziali, la gestione di servizi pubblici mediante società partecipate, anche in quota maggioritaria, dagli enti pubblici locali non può beneficiare dell’esonero del versamento dei contributi per cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, disoccupazione e mobilità, in quanto la finalità perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in ordine all’obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio dal regime pubblicistico a quello privatistico. Ne consegue che la finalizzazione della società per azioni, partecipata da ente pubblico locale, alla gestione di un servizio pubblico mediante affidamento cd “in house” (ossia ad un soggetto che, giuridicamente distinto dall’ente pubblico conferente, sia legato allo stesso da una relazione organica) rileva ai fini della tutela del mercato e della concorrenza ma non ha alcun effetto ai fini dell’esonero del versamento dei contributi previdenziali per il finanziamento della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, la disoccupazione e la mobilità” analogamente si veda Cass. 4274 del 04/03/2016);

che al richiamato orientamento questa Corte intende dare continuità, mentre in relazione ai dedotti vizi motivazionali si evidenzia che gli stessi sono denunciati in termini non coerenti con l’attuale configurazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis, poichè la ricorrente non denuncia l’omesso esame di alcun fatto storico avente rilevanza decisiva ed oggetto di discussione tra le parti;

che resta da aggiungere, con Cass. n. 24437 del 4/5/2017, che “le suesposte conclusioni non possono essere scalfite nè dal D.Lgs. n. 148 del 2015, art. 10 il quale – per quanto qui interessa – ha espressamente previsto l’assoggettamento alla cassa integrazione (e alla relativa contribuzione) delle imprese industriali aventi ad oggetto la “produzione e distribuzione dell’energia, acqua e gas”, dal momento che la sua natura innovativa rispetto al quadro ordinamentale già esistente è già stata espressamente disconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. in tal senso Cass. nn. 9816 del 2016, 26016 e 26202 del 2015), nè a fortiori dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 309, il quale, nel far salvo dal novero delle abrogazioni previste dal D.Lgs. n. 148 del 2015, art. 46, il D.L.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 3 (a norma del quale “sono escluse dall’applicazione delle norme sulla integrazione dei guadagni degli operai dell’industria (…) le imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato”), ha semmai confermato la voluntas legis di escludere dall’area di operatività delle disposizioni concernenti l’integrazione salariale soltanto quei soggetti che possano qualificarsi come “imprese industriali dello Stato o di altri enti pubblici”, tra le quali, per le ragioni anzidette, non possono figurare le imprese gestite in forma di società a partecipazione pubblica (così Cass. nn. 7332 e 8704 del 2017, dove il richiamo a Cass. S. U. nn. 26283 del 2013 e 5491 del 2014);

che il terzo motivo, generico per mancata indicazione in ordine alle presunte incertezze interpretative atte a fondare la chiesta esenzione, è, altresì, infondato poichè l’applicabilità delle sanzioni in misura ridotta di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 15, lett. a), per l’ipotesi in cui il ritardato o mancato versamento dei contributi derivi da oggettive incertezze connesse a contrastanti orientamenti giurisprudenziali o amministrativi sulla ricorrenza dell’obbligo, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 01/03/2016 n. 4077, 10/12/2013n. 27513), presuppone l’integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali, situazione che qui non viene dedotta, in disparte il fatto che il medesimo comma 15 richiede a tal fine un provvedimento di competenza del consiglio di amministrazione dell’ente impositore, sulla base di direttive impartite in sede ministeriale (Cass. n. 15897 del 26/06/2017);

che il quarto motivo di ricorso pone in ammissibilmente una questione che non risulta trattata nella sentenza d’appello, ed è comunque infondato stante l’incompatibilità degli sgravi con la mancanza di regolarità contributiva comunque emergente dagli atti;

che il ricorso, manifestamente infondato ex art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, deve quindi essere rigettato con ordinanza in camera di consiglio, così confermando il Collegio la proposta formulata dal relatore ex art. 380 bis c.p.c., con liquidazione delle spese secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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