Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28633 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 07/11/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 07/11/2019), n.28633

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25112-2018 R.G. proposto da:

NOVA DOLCIARIA CRISPO s.r.l., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO MORDINI

14, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA SOLE, rappresentata e

difesa dall’avvocato EDOARDO VOLINO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1134/4/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata

il 07/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO

FRANCESCO ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 7 febbraio 2018 la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Salerno che aveva accolto il ricorso proposto dalla Nova Dolciaria Crispo s.r.l. contro l’avviso di accertamento con il quale, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), era stato rideterminato, ai fini IRES, IRAP ed IVA, il maggior reddito d’impresa riferito all’anno d’imposta 2009. Preliminarmente, osservava la CTR che l’Ufficio “ha determinato induttivamente i ricavi conseguiti e le imposte dovute in applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2 – lett. d)”, valorizzando tutte le incongruenze rilevate, tra le quali l’incoerenza rispetto agli studi di settore rappresentava solo uno dei tanti indizi accertati. Evidenziava la rilevanza del dato inerente la oggettiva antieconomicità della condotta commerciale della società caratterizzata, di per sè sufficiente a giustificare la rettifica della dichiarazione D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39 (Cass. n. 21536/2007). Rilevava che “la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile, in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento del contribuente. Pertanto, in tali casi, è consentito all’Ufficio di dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento della prova contraria a carico del contribuente”.

Avverso la suddetta sentenza, con atto dell’11 luglio 2018, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo la società contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, per avere erroneamente la CTR sussunto i fatti oggetto di causa nel paradigma normativo concernente non l’accertamento analitico-induttivo bensì l’accertamento induttivo c.d. puro.

Il motivo è infondato, posto che, in tema di accertamento, rientra nel potere dell’Amministrazione finanziaria, nell’ambito della previsione di legge, la scelta del corrispondente metodo da utilizzare, di cui il contribuente può dolersi solo se gliene derivi un pregiudizio sostanziale (Cass. n. 2872 del 2017), nella specie da escludersi, non avendo il contribuente interesse a contestare l’emissione nei suoi confronti di un atto impositivo fondato sul metodo analitico piuttosto che su quello induttivo o sintetico, atteso che detti metodi assicurerebbero allo stesso garanzie inferiori rispetto a quelle proprie dell’accertamento analitico” (Cass. n. 5273 del 2019).

Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, stante il contrasto irriducibile tra le affermazioni relative alla tipologia di accertamento contenute nella motivazione della sentenza impugnata.

La censura è infondata.

Invero, non ricorre, nella specie, alcuna contraddittorietà nelle argomentazioni svolte nella decisione gravata, nè è dato ravvisare un errore di sussunzione della fattispecie concreta nella previsione di legge, avendo la CTR, come si evince dal complessivo contenuto della sentenza impugnata, assunto la decisione avendo in considerazione il dato normativo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in tema di accertamento analitico-induttivo. Ciò è reso palese – in particolare – dai richiami giurisprudenziali contenuti in sentenza, sui quali si basa la decisione, nei quali è fatto espresso riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), o comunque attinenti (Cass. n. 21536 del 2007) a fattispecie riconducibile al suddetto parametro normativo.

Il riferimento, contenuto nella parte iniziale della motivazione, al “D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2 – lett. d) -“, integra, pertanto, un mero errore materiale, privo di rilevanza nell’economia della decisione.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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