Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28631 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 15/12/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 15/12/2020), n.28631

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 937/2020 proposto da:

B.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato LORENZO TRUCCO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1078/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 26/06/2019 R.G.N. 881/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/10/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. la Corte di Appello di Torino, con sentenza pubblicata il 26 giugno 2019, ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da B.A., dichiaratosi cittadino proveniente dalla (OMISSIS) appartenente alla etnia (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria;

2. la Corte, respinta la censura rivolta all’ordinanza impugnata per mancata audizione del richiedente protezione, ha esaminato congiuntamente le doglianze volte ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), in quanto fondate sulla medesima argomentazione, ossia “la forte connessione fra la situazione politica del Paese e la tradizionale rivalità fra le etnie che avrebbe determinato l’assoggettamento della popolazione, ed in particolare degli appartenenti alla etnia (OMISSIS), ad essere vittima di pesanti discriminazioni”; la Corte ha rilevato che dallo stesso racconto reso dal richiedente “non emerge che egli abbia mai subito alcuna forma di persecuzione in conseguenza della sua appartenenza alla etnia (OMISSIS)” nè lo ha mai dedotto;

3. la Corte poi, citando fonti internazionali, ha negato che sussista in Guinea “alcuna situazione di conflitto, interessante l’intero Paese, caratterizzata da violenza indiscriminata tale da costituire una minaccia grave alla vita o alla persona dell’appellante”;

4. infine i giudici di appello hanno anche negato la protezione umanitaria, non essendo stata dedotta in appello “una ulteriore situazione di vulnerabilità… se non il rischio per la sua sicurezza in caso di rimpatrio, circostanza già smentita per quanto sopra detto, e pertanto inidonea a giustificare la concessione della protezione umanitaria (che) non può rappresentare una sorta di valvola di sfogo per le migrazioni basate su motivazioni economiche o di povertà”; nella motivazione si spiega poi che “la maggiore o minore integrazione in Italia e le attività svolte nel periodo di accoglienza non costituiscono affatto prova di una particolare condizione di vulnerabilità individuale ai fini della valutazione della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari”;

2. ha proposto ricorso il soccombente con 2 motivi, volti ad ottenere “la cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello di Torino… non ha riconosciuto al ricorrente la protezione sussidiaria o in subordine la protezione umanitaria”; il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato al solo fine di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione “del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, anche in relazione alla mancata audizione del ricorrente”; si eccepisce la contraddizione della motivazione impugnata per aver ritenuto superflua l’audizione del ricorrente per poi dichiarare l’inattendibilità del suo racconto; avuto specifico riguardo alla protezione sussidiaria, si critica poi come “erronea” la valutazione della Corte territoriale che avrebbe ritenuto la Guinea “pacificata”; si contesta, infine, che la protezione sussidiaria possa essere ritenuta solo se si correla alla specifica posizione del richiedente;

2. il motivo non merita accoglimento;

in riferimento alla censura di omessa audizione personale del richiedente da parte della Corte territoriale, va ribadito che, nel procedimento in grado d’appello relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente (da ultimo: Cass. n. 8931 del 2020; in precedenza: Cass. n. 3003 del 2018; Cass. n. 24544 del 2011), atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10, che prevede l’obbligo di sentire le parti, non la configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza; donde, ben può il giudice dell’impugnazione respingere una domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa (Cass. n. 5973 del 2019; Cass. n. 2817 del 2019);

nella parte residua la doglianza deve essere disattesa perchè centrata sulla situazione della Guinea, per cui essa si traduce in una “inammissibile rivalutazione del merito della vicenda” circa un fatto – “la condizione di pericolosità e la situazione di violenza generalizzata esistente nel Paese di origine” – che è stato esaminato dalla Corte sulla scorta di specifiche fonti indicate e in parte trascritte (cfr. in termini Cass. n. 14813 del 2019 e Cass. n. 25563 del 2019);

3. il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione “del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, in relazione all’art. 10 Cost., comma 3, anche per la mancanza di motivazione sul mancato riconoscimento della protezione umanitaria; si eccepisce che la Corte territoriale non avrebbe proceduto alla comparazione “tra i due contesti di vita nel godimento di diritti fondamentali”, tenendo adeguato conto della situazione del paese di destinazione;

4. il motivo è fondato;

in materia di protezione umanitaria le Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 29459 del 2019) hanno condiviso l’orientamento che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale (inaugurato da Cass. n. 4455 del 2018, seguita, tra varie, da Cass. n. 11110 del 2019 e da Cass. n. 12082 del 2019), pur puntualizzando che non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. n. 17072 del 2018); si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. 9304 del 2019);

la Corte territoriale non ha proceduto ad una adeguata comparazione: infatti, da un lato, ha escluso in radice che la “integrazione dello straniero in Italia” possa avere “rilevanza alcuna ai fini della valutazione della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari”, quando invece – secondo le Sezioni unite citate – la “integrazione effettiva nel nostro Paese” costituisce uno dei due termini della comparazione, e, d’altro canto, non ha effettuato alcuna indagine istruttoria, anche officiosa, per verificare se la condizione di vulnerabilità dedotta dall’istante e legata all’appartenenza ad una etnia che si assume perseguitata potesse determinare, in caso di rimpatrio “la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani” (cfr. Cass. n. 33190 del 2019);

5. pertanto, rigettato il primo motivo, il secondo deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata in relazione ad esso e rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, liquidando anche le spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

 

 

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