Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28630 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. III, 07/11/2019, (ud. 26/09/2019, dep. 07/11/2019), n.28630

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7620/2018 proposto da:

V.R., V.L., V.C., domiciliati ex lege in

ROMA, presso la CANCELLERA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati

e difesi dall’avvocato MIRCO MINARDI;

– ricorrenti –

contro

G.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI 145, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO LOMBARDI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 659/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 07/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/09/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso per decreto ingiuntivo l’avvocato G.B. chiedeva e otteneva, nei confronti di V.R., L. e C., il monito al pagamento di una somma indicata come dovuta a titolo di compensi professionali relativi all’assistenza legale prestata per una controversia di “malpractice” medica.

Gli ingiunti si opponevano domandando, in via riconvenzionale, il risarcimento per il danno prodotto dal suo negligente operato professionale, che si era risolto in una declaratoria d’inammissibilità, per difetto di specificità, dell’appello avverso la sentenza di prime cure del giudizio presupposto.

Il tribunale, davanti al quale si costituiva l’originario ricorrente che solo in subordine domandava la riduzione del compenso richiesto, confermava il decreto ingiuntivo opposto respingendo la pretesa svolta in riconvenzione, con pronuncia parzialmente riformata dalla Corte di appello secondo cui, pur non potendo ritenersi, come invece fatto in prime cure, la particolare difficoltà dell’opera prestata per il solo fatto rappresentato dalla novella legislativa del 2012 all’art. 342 c.p.c., doveva d’altro canto valutarsi che l’appello in discussione sarebbe incorso, anche prima della suddetta modifica normativa, in analoga inammissibilità quale sintomo della sua inevitabile infondatezza. Infatti, la critica essenziale mossa alla sentenza di prime cure del giudizio presupposto poggiava su tesi mediche sostenute solo dai professionisti degli assistiti dal G. che, da parte sua, aveva difeso i clienti con i pochi argomenti in tal senso a sua disposizione, raggiungendo complessivamente un risultato utile anche se inferiore alle aspettative degli attori di quel processo i quali, a riprova, non indicavano con quale diversa condotta professionale il risultato avrebbe potuto essere maggiormente proficuo. Infine, la Corte di merito riduceva l’importo del compenso, riportandolo ai valori medi tra quelli propri dei parametri regolamentari.

Avverso questa decisione ricorrono per cassazione V.R., L. e C. articolando cinque motivi e depositando memoria.

Resiste con controricorso l’avvocato G.B..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.p.c., art. 1176 c.p.c., comma 2, art. 1218 c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che proprio in quanto l’obbligazione professionale dell’avvocato è di mezzi, non di risultato, quando non venga richiesto il risarcimento dei danni o comunque relativamente alla sollevata eccezione d’inadempimento, volta a paralizzare la pretesa di erogazione del compenso, avrebbe dovuto diversamente prescindersi dalla valutazione probabilistica del miglior risultato che, in tesi, avrebbe potuto conseguirsi con una diversa condotta idonea, apprezzando invece come fondata la suddetta forma di autotutela a fronte dell’obiettiva formulazione di un appello privo dei requisiti di specificità e, come tale, incapace di provocare una qualunque decisione di merito, soglia minima di adempimento in difetto della quale il sinallagma avrebbe dovuto ritenersi colposamente alterato.

Con il secondo motivo si prospetta la violazione dell’art. 132 c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe formulato una motivazione irriducibilmente contraddittoria affermando che l’avvocato convenuto aveva raggiunto il possibile risultato utile, posto che, avuto riguardo all’appello cui si riferiva la richiesta di compenso, nessuna utilità poteva individuarsi, mentre, a contempo, non erano in alcun modo logicamente componibili le affermazioni per cui l’appello stesso sarebbe stato comunque dichiarato inammissibile anche sotto la vigenza dell’art. 342 c.p.c., nella formulazione antecedente alle modifiche del 2012, e, al contempo, la prestazione avrebbe dovuto ritenersi espressione di normale diligenza ovvero perizia. Il tutto tenendo conto del fatto che non avrebbe potuto scrutinarsi come comunque infondato, oltre che inammissibile, l’appello proposto nel giudizio presupposto in cui tale valutazione non era stata effettuata.

Con il terzo motivo si prospetta la violazione dell’art. 132 c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe motivato in forma solo apparente quanto ai pagamenti degli acconti, imputati all’assistenza nel primo grado del giudizio presupposto laddove le fatture riportavano la chiara indicazione riferita al giudizio di appello.

Con il quarto motivo si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso poichè la Corte di appello avrebbe sostanzialmente omesso l’esame della risultanza documentale data dai contenuti emergenti dalle sopra menzionate fatture.

Con il quinto motivo si prospetta la violazione dell’art. 132 c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe statuito, con motivazione incomprensibile, che la prestazione non era di scarsa qualità, a fronte di un appello giudicato comunque inammissibile in quanto del tutto aspecifico.

2. Il primo motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha condivisibilmente affermato che l’eccezione d’inadempimento, ex art. 1460 c.c., può essere opposta dal cliente all’avvocato che abbia violato l’obbligo di diligenza o perizia professionale, purchè tali colpose condotte siano idonee a incidere sugli interessi del primo, non potendo il professionista garantire l’esito comunque favorevole del giudizio ed essendo contrario a buona fede l’esercizio del potere di autotutela ove la negligenza o imperizia nell’attività difensiva, secondo un giudizio probabilistico, non abbia pregiudicato la “chance” di vittoria (Cass., 22/03/2017, n. 7309, pag. 15, Cass., 15/12/2016, n. 25894, Cass., 05/07/2012, n. 11304).

In questa prospettiva, risulta corretta l’affermazione della Corte territoriale secondo cui l’esito negativo di tale necessario giudizio probabilistico impediva anche l’accoglimento dell’eccezione di cui all’art. 1460 c.c., non essendo state neppure indicate le diverse modalità con cui l’appello giudicato aspecifico nel giudizio presupposto avrebbe dovuto e utilmente potuto articolarsi.

La motivazione della Corte territoriale, inoltre, va correttamente intesa nel senso che l’appello in esame sarebbe stato dichiarato inammissibile, anche a mente del previgente art. 342 c.p.c., per difetto d’idonea specificità delle censure – quest’ultima infatti indicata, senza contraddizioni in una simile prospettiva ricostruttiva, come sintomo d’infondatezza nel merito della posizione sostenuta dalla parte – in quanto comunque nel merito la critica era “arroccata su tesi mediche sostenute solo dai professionisti di fiducia degli allora appellanti, ma smentita da tutti gli altri esperti che sostenevano la natura organica e non iatrogena della grave patologia che aveva colpito la paziente” (pag. 10 della sentenza impugnata).

In questa cornice, l’avvocato aveva “difeso i suoi clienti usando i pochi argomenti a sua disposizione” (pag. 11 della stessa sentenza) e cioè non in modo negligente o imperito. Quegli argomenti, allora, attese le tesi di merito che dovevano essere sostenute adempiendo il mandato alla formulazione del gravame, nel giudizio, sotto questo profilo fattuale, proprio della Corte territoriale non avrebbero comunque potuto intercettare quel grado d’idonea specificità necessaria all’appello in parola, come confermato dalla mancata indicazione, ad opera degli odierni ricorrenti, della condotta alternativa utile.

Ciò posto, si comprende come l’eccezione d’inadempimento volta a impedire il pagamento del compenso, correttamente sia stata ritenuta sollevata in modo contrario a buona fede. Sicchè il solo fatto della declaratoria d’inammissibilità dell’appello non può per ciò solo essere ritenuta fonte di responsabilità professionale anche nei perimetrati termini impeditivi del diritto alla remunerazione.

I ricorrenti evocano alcune decisioni di questa Corte in cui dalla natura di obbligazione di mezzi e non risultato propria dell’avvocato si dovrebbe desumere, rispetto al vaglio non della pretesa risarcitoria ma dell’eccezione ex art. 1460 c.c., l’impertinenza del giudizio probabilistico in ordine al diverso risultato utile raggiungibile con il comportamento alternativo corretto.

Ora, in primo luogo quanto detto in ordine all’appropriato apprezzamento della valutazione operata dalla Corte territoriale, nel senso dell’impossibilità d’individuare una reale negligenza o imperizia rispetto alle tesi di merito alla cui tutela il mandato difensivo era indotto, rende ragione del motivo per cui il giudizio probabilistico in parola si è risolto, nella fattispecie, a ben vedere, in una riprova della sufficiente correttezza dell’adempimento professionale possibile.

In secondo luogo, le pronunce invocate (Cass., 22/03/2017, n. 5365, pagg. 3 e 5; Cass., 17/10/2016, n. 20888, pagg. 21-22), operano la distinzione invocata dai ricorrenti perchè – specularmente rispetto a quanto appena visto nell’ipotesi qui in delibazione – intendono manifestare, nel caso sottoposto al loro scrutinio, l’irrilevanza di quel giudizio controfattuale al fine di vagliare il mancato raggiungimento della soglia minima di diligenza e perizia professionale richiesta (in una ipotesi era stato adito un giudice incompetente senza, neppure allegare i presupposti del retratto agrario esercitato, nella seconda ipotesi si trattava di un’impugnazione oltre i termini di decadenza per l’individuazione colposamente erronea del soggetto sociale destinatario).

Per queste ragioni non è necessario il rinvio alle Sezioni Unite sollecitato sul punto dai ricorrenti anche in memoria.

2.1. Il secondo motivo è inammissibile.

Infatti, la censura non coglie la reale “ratio decidendi” della Corte territoriale che si è riferita discorsivamente al risultato comunque utile, anche se inferiore alle aspettative, ottenuto dal complessivo giudizio e in specie dal suo primo grado. Senza che tale affermazione possa incidere sulle ragioni che effettivamente sorreggono la valutazione di esclusione della responsabilità professionale, anche ai fini della delibazione dell’eccezione d’inadempimento, quali ricostruite sub 2, relativamente alla formulazione dell’atto di gravame.

2.2. Il terzo e quarto motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono inammissibili.

Va premesso che alla fattispecie è applicabile la nuova previsione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che dev’essere interpretata come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè in cassazione è denunciabile – con ipotesi che si converte in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dando luogo a nullità della sentenza – solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”; nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, ossia in manifeste e irresolubili contraddizioni, nonchè nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”; esclusa qualunque rilevanza di semplici insufficienze o contraddittorietà, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass., 12/10/2017, n. 23940).

In questo quadro risulta chiaro che le due censure, superando i limiti di ammissibilità appena ricostruiti, mirano a una rilettura istruttoria, ossia a un nuovo apprezzamento di fatto inerente le due fatture che, nonostante la loro intestazione, infatti spiegata anche nel corso del giudizio di merito come frutto di errore materiale, erano state prodotte, pacificamente, durante il giudizio di primo grado, e dunque potevano verosimilmente essere ritenute riferibili, a titolo appunto di acconto, ad esso, e non a quello, futuro e solo eventuale, dell’appello.

Il quinto motivo è parimenti inammissibile.

Nel contesto di quanto ricostruito sub 2 in ordine alla sufficienza dell’adempimento professionale in discussione, la determinazione dei compensi forensi secondi i valori regolamentari medi rappresenta, all’evidenza, un giudizio di fatto riservato al giudice di merito.

2.3. Spese secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese processuali del controricorrente liquidate in Euro 3.200,00, oltre a Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie e accessori legali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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