Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28629 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 15/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 15/12/2020), n.28629

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15567/2015 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIETRO ROMANO

N. 33, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLA DE ANGELIS,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE TOMASSO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE DI FROSINONE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BELLUNO n. 16, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO FERIOZZI,

rappresentata e difesa dall’avvocato NICOLA DI TOMASSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10132/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/01/2015 R.G.N. 9301/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/09/2020 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

1. la Corte d’Appello di Roma, riformando la sentenza del Tribunale di Frosinone, ha respinto la domanda con la quale M.A., inquadrato nella categoria C presso la Azienda Sanitaria Locale di Frosinone e poi, dal settembre 2001, nella categoria D per effetto del CCNL 2000/2001, aveva chiesto il riconoscimento della speciale indennità prevista per avere svolto attività di coordinamento, nella specie con riferimento all’intera U.O. della radiologia e, quindi, l’inquadramento nella superiore categoria DS in forza del sopravvenuto art. 19, comma 1, lett. b) del CCNL 19 aprile 2004;

la Corte territoriale ha ritenuto che il riconoscimento di funzioni di coordinamento per il personale di categoria C non sia sufficiente per l’attribuzione dell’indennità rivendicata, in quanto essa doveva ritenersi dipendente dalla discrezionalità della Asl, non esercitata nel caso di specie; conseguentemente veniva respinta anche la richiesta di inquadramento alla categoria Ds in quanto l’art. 19 del CCNL 2004 cit. lo prevedeva per chi avesse avuto diritto all’inquadramento D per effetto del riconoscimento formale dello svolgimento di funzioni di coordinamento al 31.8.2001, requisito carente in capo al M., per quanto sopra detto;

2. M.A. ha proposto ricorso per cassazione con un unico articolato motivo, resistito da controricorso della A.S.L.;

entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con l’unico motivo di ricorso sono denunciati promiscuamente l’omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5), la natura apparente della motivazione, sotto il profilo della sua manifesta ed irriducibile contraddittorietà ed altresì la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1262 e 1263, rectius 1362 e 1363 c.c.) e di contratti collettivi (art. 10 CCNL comparto sanità 2000/2001);

2. i motivi vanno esaminati congiuntamente, stante la loro connessione;

3. secondo la giurisprudenza di questa Corte è intanto pacifico (Cass. 27 aprile 2010, n. 100009 e poi le successive Cass. 22 settembre 2015, n. 18679 e Cass. 28 maggio 2019, n. 14507) che l’indennità di coordinamento fosse da riconoscere al personale inquadrato in categoria D al 31.8.2001, in favore del quale risultasse l’attribuzione o il riconoscimento, con atto formale anche solo di chi fosse preposto a conformare la prestazione lavorativa, dello svolgimento di reali funzioni di coordinamento, senza ulteriori valutazioni discrezionali della P.A. (art. 10, comma 3, del CCNL Comparto Sanità II biennio economico 2000-2001 del 20.9.2001;

così come è pacifico che, nel complessivo riordino degli inquadramenti attuato dal predetto CCNL per rimediare al pregresso sovrapporsi di mansioni, al personale appartenente alla categoria C del ruolo sanitario nonchè al profilo di operatore professionale assistente sociale del ruolo tecnico, fosse assicurato (art. 8 c.c.n.l. cit.) il transito in categoria D;

deve poi considerarsi che l’art. 10, comma 7, c.c.n.l. cit., riguarda il riconoscimento dell’indennità di coordinamento al personale all’epoca in categoria C, e reinquadrato in categoria D per effetto dell’art. 8 cit., solo in sede di “prima applicazione”, subordinandolo ad una più complessa “valutazione aziendale, in base alla propria situazione organizzativa”; come affermato da Cass. 18 maggio 2018, n. 12339, si tratta di valutazione che “non può essere assolutamente discrezionale nè tanto meno arbitraria, bensì deve essere giustificata da specifiche esigenze di servizio”;

Cass. 28 maggio 2019, n. 14508 ha poi chiarito più a fondo, richiamando un parere Aran, che la valutazione, in tali casi, comportando una duplicazione di benefici (in quanto come si è detto già il personale di categoria C veniva riqualificato in categoria D) ha per oggetto, nel contesto del menzionato riordino degli organici di cui si è detto, la verifica in ordine all’esistenza o meno della situazione eccezionale che poteva essersi determinata allorquando, per mancanza di personale di categoria D, le funzioni di coordinamento già all’epoca fossero state attribuite soltanto a personale di categoria C, destinato come tale a vedersi attribuire non solo la categoria superiore, ma anche l’indennità propria del coordinamento esclusivamente da svolgere;

altra disciplina è quella successiva alla prima applicazione, la quale comporta, per effetto dell’art. 19, comma 1, lett. b), del c.c.n.l. 19 aprile 2004, l’inquadramento a livello DS del personale in categoria D cui già fosse stata riconosciuta l’indennità di coordinamento;

per il restante personale, sia che esso risulti transitato in categoria D dalla categoria C per effetto dell’art. 8 del c.c.n.l. 20.9.2001, sia che esso già fosse in categoria D e che, non avendo ottenuto l’indennità di coordinamento, non fosse transitato in categoria DS, valgono le regole desumibili dall’art. 5, comma 2, CCNI del 20.9.2001 e dall’art. 19 lett. c) del c.c.n.l. 19 aprile 2004, secondo le quali la progressione si basa su determinati requisiti di anzianità e dipende da criteri stabiliti dalle Aziende con propri specifici atti e da apposite procedure selettive (v. ancora Cass. 12339/2018, cit.);

4. nel caso di specie non vi è dubbio che la Corte d’Appello abbia deciso sulla fattispecie di cui all’art. 10, comma 7, ovverosia quella inerente la “prima applicazione”, la quale, se sussistente, avrebbe consentito, come da domanda del ricorrente, il riconoscimento dell’indennità fin dal 31.8.2001 e, di conseguenza, il transito in categoria DS in esito al c.c.n.l. del 2004;

di tale fattispecie è stata denegata la ricorrenza dalla Corte territoriale, per l’assenza del necessario atto valutativo alla luce della situazione organizzativa esistente;

tale mancanza non è smentita dalle deduzioni contenute nel ricorso per cassazione;

come detto, l’attribuzione dell’indennità in sede di prima applicazione, non dipende infatti da “criteri” selettivi del personale, ma dall’esistenza di una valutazione specifica sull’assetto organizzativo alla data del 31.8.2001;

le difese di cui al motivo di ricorso, fanno invece riferimento alla fissazione di “criteri” asseritamente limitativi della discrezionalità aziendale, che nulla hanno a che vedere con quel riconoscimento al personale, già di categoria C, in sede di “prima applicazione”;

semmai, la questione potrebbe essere se quelle determinazioni ASL, poi sospese, abbiano individuato criteri di riconoscimento dell’indennità di coordinamento, nella fase successiva alla prima applicazione, che possano reputarsi vincolanti al fine del (sempre successivo) riconoscimento di quell’indennità, ai sensi dei citati art. 5, comma 2, CCNI del 20.9.2001 e art. 19 lett. c) del c.c.n.l. 19 aprile 2004;

la sentenza impugnata non ha tuttavia inteso in tal modo la domanda del ricorrente e i motivi, insistendo, anche poi nella memoria, per il riconoscimento ab origine dell’indennità di coordinamento e per l’automatismo per il passaggio a DS che da essa deriverebbe, non contengono critiche volte a censurare tale interpretazione della causa petendi, così come mancano in essi riferimenti alle procedure di cui ancora ai citati art. 5, comma 2, CCNI del 20.9.2001 e art. 19 lett. c) del c.c.n.l. 19 aprile 2004;

in definitiva, le censure sono manifestamente inidonee ad inficiare il rilievo in ordine alla mancanza di quella specifica valutazione necessaria ad integrare i diritti posti a fondamento della domanda quale intesa dalla Corte territoriale, nè è vero che la Corte d’Appello non abbia pronunciato sulla domanda di inquadramento al livello DS, avendola respinta proprio per la mancanza del presupposto costituito dal riconoscimento dell’indennità di coordinamento al 31.8.2001, ovverosia esattamente per lo stesso presupposto su cui insiste, richiamando l’art. 10 del c.c.n.l., il motivo di ricorso e che tuttavia è stato accertato come inesistente;

da tale punto di vista, in sostanza, il ricorso dimostra di non avere percepito correttamente la ratio decidendi o comunque svolge considerazioni superflue, allorquando pretende di riconnettere il riconoscimento del passaggio dalla categoria C alla D con indennità di coordinamento e quindi alla categoria DS ad una procedura valutativa che nulla può avere a che vedere con le regole della fase di prima applicazione che prevedevano una tale evoluzione di carriera, nei casi da essi contemplati e qui (con particolare riferimento all’ipotesi dell’art. 10, comma 7, eventualmente riguardante il ricorrente in quanto proveniente da categoria C), accertati dalla Corte di merito come non ricorrenti;

il ricorso è dunque nel suo complesso inammissibile, perchè fondato principalmente su una richiesta di revisione del convincimento di merito sulla base di argomentazioni incoerenti con i presupposti del diritto rivendicato e dunque prive di decisività rispetto ad esso;

5. la regolazione delle spese segue la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

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