Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28626 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. III, 07/11/2019, (ud. 20/09/2019, dep. 07/11/2019), n.28626

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7829/2018 proposto da:

GENERALI ITALIA SPA, (OMISSIS) in persona del suo procuratore

speciale Dott. C.S., CARGEAS ASSICURAZIONI SPA in

persona del Dott. B.M.T., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE, 22, presso lo studio dell’avvocato

ANTONIO STRIZZI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LUIGI VITA SAMORY;

– ricorrenti –

contro

TILLMANNS SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore Dott.

V.S.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

CASTRO PRETORIO, 122, presso lo studio dell’avvocato TONIO DI

IACOVO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

GIORGIO MARIA RECINE, PIERO GIOVANNI MARCHELLI;

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore Dott.

F.E., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO

PALTRINIERI;

DOW DEUTSCHLAND ANLAGENGESELLSCHAFT MBH in persona del procuratore

speciale Dott. J.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

P. STANISLAO MANCINI 2, presso lo studio dell’avvocato PIETRO

CICERCHIA, rappresentata e difesa dagli avvocati FORTUNATO

TAGLIORETTI, GIOVANNI LEONE, ANTONIO GIACOMO M. BOLONDI;

– controricorrenti –

e contro

MAB SPA INDUSTRIE CHIMICHE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 14/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 04/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2019 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo

del ricorso, assorbiti i restanti;

udito l’Avvocato MATTEO PANNI per delega;

udito l’Avvocato ANTONIO STRIZZI;

udito l’Avvocato ANTONIO GIACOMO BOLONDI;

udito l’Avvocato TONIO DI IACOVO;

udito l’Avvocato VINCENZO PALTRINIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito di un devastante incendio nella notte tra il (OMISSIS) – con serissimi danni, tra l’altro, alla struttura dello stabilimento, alle materie prime, ai semilavorati – ad un impianto di produzione di vernici della MAB Industrie Chimiche spa, la UBI Assicurazioni spa (poi Cargeas ass.ni spa) e la Generali Italia spa (così identificata in ogni atto diverso dalla sentenza impugnata, che a pag. 3 indica invece la Assicurazioni Generali spa e altrove discorre di GBS Generali), compagnie di assicurazione contro i danni della MAB, anche all’esito di un accertamento tecnico preventivo dinanzi al Tribunale di Urbino (con relazione del c.t.u. ing. P.), chiesero (addì 01/06/2011) in via stragiudiziale alla produttrice ed alla distributrice (rispettivamente, la Dow Wolff Cellulosics Gmbh – poi Dow Deutschland Anlagengesellschaft – e la Tillmanns spa) della nitrocellulosa a quel tempo ivi stoccata quale materia prima di essere risarcite del danno in misura pari all’indennizzo già – o sul punto di essere – corrisposto (pro quota) all’assicurata, per Euro 2.695.764,00; e la Dow citò le assicuratrici, la stessa assicurata danneggiata e la distributrice, davanti al Tribunale di Milano, per sentir dichiarare l’impossibilità di accertare le cause del sinistro e rigettare le pretese risarcitorie delle controparti nei propri confronti.

2. La MAB Industrie Chimiche spa si costituì, chiedendo in via riconvenzionale l’accertamento della responsabilità di Dow e Tillmanns e la loro condanna al risarcimento dei danni; analoghe domande riconvenzionali proposero le due compagnie di assicurazioni, commisurando il danno patito all’entità degli indennizzi corrisposti; mentre Tillmanns spa, oltre a resistere alle domande nei suoi confronti proposte, chiese ed ottenne di chiamare in causa la propria assicuratrice Unipol (poi UnipolSAI) ass.ni, che peraltro intervenne volontariamente in giudizio, negando ogni responsabilità della sua assicurata e solo in subordine contestando l’operatività della polizza o invocando il contenimento di un’eventuale manleva entro il massimale di quella.

3. Espletate due consulenze di ufficio, una prima contabile ed altra tecnica, l’adito tribunale, accertata l’impossibilità di determinare la causa dell’incendio, finì col rigettare le domande di MAB, UBI e Generali, condannandole alle spese di Dow e Tillmanns e, compensatele nei rapporti tra tali due convenute, condannando quest’ultima alle spese di Unipol, ma con diritto a vederle manlevate dalle prime tre condannate.

4. Tale sentenza di primo grado, pubblicata il 04/03/2016 col n. 2879, fu gravata di separati appelli: da un lato, dalla MAB e, dall’altro, dalle due sue assicuratrici Cargeas ass.ni e Generali Italia spa; e, riuniti i gravami e costituitesi le controparti, la corte territoriale li respinse, con condanna delle appellanti alle spese di tutte costoro.

5. In estrema sintesi i giudici di appello condivisero, all’esito di un’amplissima disamina degli elementi istruttori ei soprattutto delle argomentazioni tecniche degli ausiliari e dei consulenti di parte, la valutazione del giudice di primo grado sull’impossibilità di ricostruire la causa dell’incendio ed applicando il principio in forza del quale, rimasta ignota la causa e quindi inadempiuto l’onere del danneggiato di provare il nesso eziologico tra attività pericolosa ed evento dannoso, è esclusa la responsabilità prevista dall’art. 2050 c.c.; ma non mancarono l’espresso rilievo della corrispondente carenza di prova, di cui sempre il danneggiato era gravato, sul difetto della merce e sulla connessione causale tra il difetto ed il danno nella fattispecie della responsabilità del produttore di cui agli artt. 114 e 120 codice del consumo.

6. Per la cassazione di tale sentenza, pubblicata il 04/01/2018 col n. 14 e notificata a mezzo p.e.c. da tutte le controparti vittoriose fra il 5 ed il 18/01/2018, ricorrono, con atto articolato su tre motivi e notificato a partire dal 05/03/2018, la Cargeas ass.ni spa e la Generali Italia ass.ni spa; notificano a mezzo p.e.c. separati controricorsi la Dow, la Tillmanns e la UnipolSAI ass.ni, mentre la MAB Industrie Chimiche spa non espleta attività difensiva in questa sede; infine, per la pubblica udienza del 20/09/2019 sia le ricorrenti che le controricorrenti depositano memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente rilevato che, sopperendo ad ogni eventuale carenza di valida produzione di quella notificata la circostanza che la notifica del ricorso ha avuto luogo a partire dal 05/03/2018 e quindi dal sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza stessa (nel rispetto di quanto concesso alle parti dalla giurisprudenza di questa Corte fin da Cass. 10/07/2013, n. 17066), è in atti rinvenibile una copia autentica della sentenza gravata, comunque indispensabile.

2. Per la peculiarità della fattispecie va adeguatamente ricostruito il complesso delle doglianze delle ricorrenti, le quali contestano – con le prime due – l’esclusione di responsabilità della Dow e della Tillmanns e, in subordine e con la terza, l’omessa compensazione delle spese di lite, ma non mancano di chiedere la decisione della causa nel merito, ritenendo non necessari altri accertamenti di fatto, con accoglimento delle domande già dispiegate davanti al tribunale.

3. In particolare, la Cargeas ass.ni spa e la Generali Italia ass.ni spa col primo motivo – rubricato “(art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)) – violazione/falsa applicazione di legge per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa di cui all’art. 2050 c.c. – violazione dell’art. 2697 c.c., in tema di riparto degli oneri probatori” lamentano che “la Corte di appello di Milano, avendo acclarato che l’esplosione – avvenuto presso lo stabilimento di MAB nella notte fra il (OMISSIS) – della nitrocellulosa (materia prima altamente infiammabile/esplosiva), prodotta da Dow e commercializzata da Tillmanns, ha avuto un ruolo cruciale nel divampare e nella propagazione dell’incendio che ha cagionato i danni, avrebbe dovuto, in assenza di riscontro di altre cause, affermare che quella sia stata la causa dell’incendio, rilevante ai sensi dell’art. 2050 c.c. e imputabile a Dow e Tillmanns, senza pretendere la prova (oltretutto in termini di certezza scientifica e sperimentale e neppure di prova probabilistica, fermo che neppure quest’ultima era necessaria) della causa dell’esplosione e che tale causa fosse ascrivibile ad una condotta colposa di Dow e Tillmanns, ha fatto comunque scorretta applicazione della disciplina di cui all’art. 2050 c.c. e dell’orientamento della Suprema Corte in punto di causa ignota, non essendovi in verità, nel caso di specie, causa ignota come invece erroneamente affermato; ignote sono rimaste le ragioni che hanno determinato l’esplosione della nitrocellulosa, ma non era onere dei danneggiati provare il fattore (innesco) che l’ha preceduta nella catena causale in senso materiale, ossia la causa dell’esplosione”; e chiedono pertanto affermarsi la responsabilità di Dow e Tillmanns ai sensi dell’art. 2050 c.c., avendo la Corte d’appello accertato come non vi sia stato riscontro di decorsi causali che consentano di escludere la presunzione di responsabilità ex art. 2050 c.c. o la responsabilità oggettiva in capo a Dow e Tillmanns.

4. Col secondo motivo – rubricato “(in via subordinata) – (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5)) – violazione/falsa applicazione degli artt. 40 e 41 c.p., in ambito civile” – la Cargeas ass.ni spa e la Generali Italia ass.ni spa sostengono che, in via subordinata, ove si ritenesse non provata la causa dell’incendio, intendendo per causa dell’incendio rilevante ai sensi dell’art. 2050 c.c., in realtà la causa dell’esplosione della nitrocellulosa e si pretendesse la prova dell’innesco dell’esplosione medesima”, malamente la corte territoriale si sarebbe “rifiutata di ricorrere al criterio probabilistico di apprezzamento del nesso causale nella valutazione della causa dell’esplosione della nitrocellulosa”; sicchè “pretendere… la prova certa dell’innesco quale condizione per applicare il criterio probabilistico, significa di fatto affermare la inapplicabilità di tale criterio, che si renderebbe applicabile in ipotesi in cui si rivelerebbe anche inutile: se, infatti, si ha la prova certa dell’innesco, non servirebbe infatti ricorre(re) al criterio probabilistico per il suo apprezzamento”; e concludono nel senso che la gravata sentenza, non avendo “correttamente considerato la natura oggettiva della responsabilità in discussione, per esercizio di attività pericolosa, ex art. 2050 c.c.”, avrebbe erroneamente introdotto, con la pretesa di predicare una responsabilità di Dow e Tillmanns solo in caso di prova di una condotta colposa, “nel paradigma legale di funzionamento della responsabilità in esame, un elemento in realtà estraneo, ossia quello soggettivo, la colpa dell’esercente l’attività pericolosa e la possibilità di muovere un “rimprovero”, o per vizio della nitrocellulosa, o per un vizio di imballaggio, etc.”.

5. Infine, col terzo motivo – rubricato “(in via di ulteriore subordine) – (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5)) – violazione/falsa applicazione degli artt. 91,92 c.p.c. e art. 2697 c.c.” – la Cargeas ass.ni spa e la Generali Italia ass.ni spa si dolgono dell’erroneità della applicazione del criterio della soccombenza e della pretermissione dell’obiettiva complessità delle valutazioni di fatto e di diritto, che dovrebbero prescindere dalla prova di vizi e/o difetti della nitrocellulosa (la cui mancata prova diviene irrilevante) e che avrebbero imposto la compensazione delle spese di lite (in primo ed in secondo grado).

6. La Dow Deutschland Anlagengesellschaft Gmbh, che si costituisce con procura munita di traduzione non asseverata: premette le ricostruzioni in fatto cui sono pervenuti i giudici del merito, a partire dall’esclusione della prova di cosa in concreto abbia innescato l’incendio per cui è causa, per sottolineare la carenza di autosufficienza del ricorso e comunque la sua inammissibilità per avere la gravata sentenza deciso la controversia in applicazione della consolidata giurisprudenza di legittimità; ed analizza poi partitamente i tre motivi di impugnazione. Quanto al primo, nega con decisione sia che i giudici del merito abbiano stabilito una precisa concatenazione tra esplosione ed incendio (e quindi una relazione causale della prima rispetto al secondo), sia che tale argomento risulti essere stato ritualmente introdotto, in quanto prospettato per la prima volta in appello e con immediata eccezione di novità, sia che tale questione possa essere apprezzata nella presente sede di legittimità; non manca di ricordare che anche MAB esercitava un’attività pericolosa, rammentando la giurisprudenza sul riparto di responsabilità tra venditore e distributore ed estendendola all’utente professionale finale, ma negando potersi ricavare da quella ex adverso invocata la conclusione del ricorso; nega aver mai accertato la corte territoriale che fosse stata l’esplosione nella casamatta di stoccaggio della nitrocellulosa a propagare l’incendio, a tutto concedere avendo acclarato che l’una e l’altro si erano verificati, ma senza stabilire tra loro alcun rapporto, nè temporale, nè causale; nega l’utilità e la stessa astratta possibilità di mantenere distinte la causa dell’esplosione della casamatta e la causa dell’incendio e, quindi, di interrompere l’accertamento del nesso causale alla prima, la prova del quale incombe comunque al danneggiato. Quanto al secondo, sostenutane l’inammissibilità per difetto di autosufficienza o per la conformità della decisione gravata alla consolidata giurisprudenza di legittimità ed aggiunta l’ulteriore ragione della sussistenza di una c.d. doppia conforme ex art. 348-ter c.p.c., condivide la valutazione della corte d’appello sull’inapplicabilità del principio di causalità adeguata in caso di pluralità di cause rimaste tutte solamente possibili e prive di riscontri. Quanto al terzo, infine, ricorda la discrezionalità del giudice del merito nel disporre la compensazione, invoca l’inammissibilità ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., l’insussistenza delle gravi ed eccezionali ragioni di compensazione e comunque di qualsiasi presupposto fosse ritenuto applicabile ratione temporis a tale scopo; infine, nega la sussistenza di tutti i requisiti per la decisione del merito invocata ex adverso.

7. A sua volta, la Tillmanns spa (distributrice della nitrocellulosa) premette anch’essa l’inammissibilità per novità dell’immutazione del thema decidendum – riferito non più all’incendio, ma all’esplosione quale sua causa – e per difetto di autosufficienza o per conformità a consolidata giurisprudenza o per la previsione dell’art. 348-ter c.p.c., in caso di c.d. doppia conforme; quanto al primo ed al secondo motivo, aggiunge che quello involge qui inammissibili valutazioni di merito o di fatto; quanto al secondo, soggiunge la correttezza della valutazione di impossibilità della ricostruzione della causa anche solo in termini di probabilità, sottolineando pure che importante materiale, come la perizia assicurativa intercorsa tra assicurata ed assicuratrici, pure richiesta dai cc.tt.u. in quanto utile per essere più prossima ai fatti, neppure era stata messa a disposizione dell’ausiliario del giudice; quanto al terzo, ricorda come sia rimessa all’ampia discrezionalità del giudice del merito un’eventuale compensazione delle spese.

8. Infine, dal canto suo la UnipolSAI, premessi il rilievo dell’acquiescenza di MAB alla sentenza di appello ed una serie di ragioni di inammissibilità (per difetto di autosufficienza, per c.d. doppia conforme, per conformità alla giurisprudenza consolidata di legittimità), ribatte contestando aver mai costituito valido thema decidendum la causa dell’innesco dell’incendio ed esser mai stato accertato che questa dovesse ricondursi all’esplosione della nitrocellulosa, anche per la successione temporale del fatto esplosione rispetto al fatto incendio; rimarca avere correttamente i giudici del merito ritenuto preliminare l’assolvimento dell’onere di provare il nesso causale tra prodotto e danno, del resto in assenza di prova di qualunque anomalia del prodotto fabbricato da Dow e distribuito da Tillmanns ed anzi in presenza di prova su condotte incaute della danneggiata (tra cui la manipolazione dei fusti senza l’esaurimento totale del loro contenuto e l’inefficienza dell’impianto di spegnimento degli incendi, se non pure la possibilità della presenza di altri prodotti non Dow nella casamatta prioritariamente coinvolta nell’incendio); conclude così per la correttezza dell’esclusione di qualsiasi prova sul nesso causale tra il prodotto e l’evento dannoso, pure in applicazione dei criteri per la relativa ricostruzione accolti dalla giurisprudenza civilistica; ed infine contesta la fondatezza delle doglianze in tema di non disposta compensazione delle spese.

9. A prescindere da ogni questione sulla completezza o meno dell’illustrazione dei documenti su cui si fonda il ricorso, dalla disamina degli atti legittimamente esaminabili da questa Corte si rileva che la ricostruzione in fatto operata dalla corte territoriale nella qui gravata sentenza non corrisponde in ogni suo particolare a quella su cui si fondano i motivi di ricorso; infatti:

– nel riportare e complessivamente condividere la conclusione raggiunta dal primo c.t.u. (in sede di accertamento tecnico preventivo davanti al tribunale del luogo del sinistro), la stessa corte territoriale rileva che “la causa dell’innesco potrebbe farsi risalire “o a difetti delle confezioni di imballaggio, o a perdita di stabilità della nitrocellulosa per perdita di stabilizzante (alcol isopropilico) per evaporazione, o per la presenza di ossidanti o residui di lavorazione che allo stato attuale non può essere verificata con analisi attendibili”” (pag. 12 della sentenza);

– dopo una minuziosa disamina delle consulenze tecniche di ufficio di primo grado, la corte ambrosiana afferma che “le cause dell’innesco e, quindi, l’origine dell’incendio verificatosi nella notte tra il (OMISSIS) sono rimaste ignote” (pag. 17 della sentenza), escludendo riscontri alla tesi di vizi o anomalie della nitrocellulosa prodotta da DOW e commercializzata da Tillmanns, nonostante apparisse “acclarato che un fenomeno esplosivo si sia verificato all’interno del deposito della nitrocellulosa”, poichè non vi era “alcun riscontro oggettivo che l’incendio” fosse “da attribuire a vizi o difetti del prodotto Dow”; ed essendosi limitati anche i consulenti di parte a formulare ipotesi restate tutte prive di uno specifico riscontro (v. piè di pag. 17 ed intera pag. 18 della sentenza);

– la conclusione, dopo la rassegna delle ipotesi tra loro alternative sulla causazione del sinistro, si legge a pag. 19 (righe ottava e seguenti) nel senso che è “rimasta ignota o comunque incerta la causa dell’evento dannoso, non individuabile, come vorrebbero le appellanti, nella nitrocellulosa in sè ma in un evento ulteriore (innesco) ricondotto da tutti i periti a una pluralità di possibili cause, insufficienti a fornire la prova che incombe sul danneggiato del fatto illecito e del nesso eziologico tra esercizio dell’attività pericolosa ed evento dannoso, cioè della dipendenza causale dell’incendio dalla specifica attività delle società Dow e Tillmans”, poichè “manca la prova certa sulla causa dell’incendio avendo gli stessi CTU formulato, tra le varie prospettate, “la più probabile dinamica di sviluppo dell’incendio” (Ing. P.) ovvero “solo un’ipotesi, non avvalorata da alcun riscontro oggettivo” (Ing. D.P.)”;

– pertanto, in nessun passaggio di tale ricostruzione in fatto si dà per accertato o si ricostruisce che il fenomeno esplosivo all’interno del deposito della nitrocellulosa fosse anteriore rispetto all’incendio o tanto meno che ne fosse la causa.

10. A tale premessa in punto di ricostruzione dei fatti rilevanti per la controversia, accompagnata dalla valutazione della sua normale incensurabilità in sede di legittimità in quanto involgente apprezzamenti riservati al giudice del merito (tra innumerevoli, in generale e con riferimento ai limiti morfologici del giudizio di legittimità, v. Cass. Sez. U. n. 20412 del 2015; quanto alla fattispecie della responsabilità da esercizio di attività pericolosa: Cass. 27/07/2012, n. 13397; Cass. 05/08/2002, n. 11716; Cass. 10/07/2002, n. 10382), va fatta seguire la constatazione che è incontroverso tra le parti – e, per la verità, anche secondo la qui gravata sentenza, per quel che si dirà – che il titolo di responsabilità, negato con la domanda originaria intentata dalla Dow e preteso dalle riconvenzionali quanto meno della MAB e delle sue assicuratrici, è la fattispecie dell’art. 2050 c.c., a mente del quale “chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”.

11. I fatti, come ricostruiti, si incentrano evidentemente sulla prospettata riconducibilità o meno dell’esplosione o dell’incendio alla nitrocellulosa prodotta da Dow e distribuita da Tillmanns, ma stoccata nello stabilimento di altro imprenditore che pacificamente la utilizzava nel ciclo produttivo della sua propria impresa ed altrettanto pacificamente nel corso di questo, quando ormai era in quel ciclo stabilmente e definitivamente inserita, quale componente o materia prima della produzione di vernici.

12. In sostanza, nella specie si ha un’azione di responsabilità per i danni prodottisi all’interno di un unitario ciclo produttivo di soggetti professionalmente coinvolti nel trattamento di materiale pericoloso in quanto potenzialmente esplodente, dalla sua produzione e prima del suo impiego in prodotti derivati o finali; e subito va precisato che alla fattispecie non può, ratione temporis, trovare applicazione la normativa Eurounitaria recepita con D.Lgs. 19 maggio 2016, n. 81, in vigore dal 26/05/2016.

13. Ora, le premesse in diritto della corte territoriale (pag. 10, penultimo ed ultimo periodo del p. 3) corrispondono a consolidata giurisprudenza di legittimità: da un lato (Cass. 22/07/2016, n. 15113, cui adde, ancor più di recente, Cass. ord. 05/07/2017, n. 16637), “la responsabilità dell’esercente un’attività pericolosa presuppone che si accerti un nesso di causalità tra l’attività svolta e il danno patito dal terzo, a tal fine dovendo ricorrere la duplice condizione che l’attività costituisca un antecedente necessario dell’evento, nel senso che quest’ultimo rientri tra le sue conseguenze normali ed ordinarie, e che l’antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano eziologico, dalla sopravvenienza di un fatto di per sè idoneo a determinare l’evento, e ciò anche quando esso sia attribuibile ad un terzo o allo stesso danneggiato”; dall’altro lato, “in tema di responsabilità per esercizio di attività pericolosa, la presunzione di colpa a carico del danneggiante, posta dall’art. 2050 c.c., presuppone la sussistenza del nesso eziologico tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso, la cui prova è a carico del danneggiato, sicchè va esclusa ove sia ignota o incerta la causa dell’evento dannoso” (Cass. 22/09/2014, n. 19872; Cass. 27/07/2012, n. 13397; Cass. 10/07/2002, n. 10382).

14. In buona sostanza, le odierne ricorrenti deducono un vizio di sussunzione (che può consistere non solo nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, ma anche nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione: da ultimo, Cass. ord. 30/04/2018, n. 10320; Cass. 21/05/2019, n. 13579; in precedenza, tra molte: Cass. 15/12/2014, n. 26307; Cass. 24/10/2007, n. 22348), sostenendo che, pur se correttamente ricostruiti i principi in materia, erroneamente si sia finito con accollare alla loro assicurata, danneggiata dal sinistro, la prova della causa ultima di questo, ritenendo al riguardo sufficiente, ad attivare la presunzione di responsabilità della norma invocata, la riconduzione di quello all’esercizio dell’attività pericolosa, desunto dalla presenza della nitrocellulosa quale causa del divampare e del propagarsi dell’incendio.

15. E’ da premettere che, per antico insegnamento (fin da Cass. 09/06/1973, n. 1666), nell’ipotesi di danno cagionato nello svolgimento di un’attività pericolosa spetta all’attore (danneggiato) fornire la dimostrazione del nesso di causalità fra l’esercizio di quell’attività e l’evento dannoso e quindi la prova positiva della sussistenza dello specifico fattore eziologico idoneo a determinare il danno, sebbene non la prova negativa dell’insussistenza di qualsiasi altro fatto doloso o colposo ascrivibile a terzi estranei; ma tuttavia non viola tali principi il giudice del merito che in una prova per presunzioni, procedendo, al fine dell’indagine su quel fattore eziologico, dal fatto noto al fatto ignoto che, in ordine di consequenzialità, rappresenti l’antecedente normale o tipico del primo, abbia accertato una possibile pluralità di antecedenti e quindi, negando l’esclusività del nesso di consequenzialità del fatto noto rispetto ad uno di essi come sua causa – esclusività ch’e necessaria al successo della prova per presunzioni – abbia ritenuto incombere all’attore la prova storica della concreta insussistenza degli altri antecedenti; tanto non significa, infatti, aver posto a carico dell’attore, oltre alla prova positiva della derivazione dell’evento da un dato antecedente, anche quella negativa dell’insussistenza di altri: la prima prova non potendosi, in via logica, ritenere raggiunta, nel caso ipotizzato, se non appunto a seguito della seconda.

16. Deve però ritenersi determinante il rilievo che la motivazione dell’esclusione – presupponendo quella conclusione il requisito, comune all’esclusione del titolo fondato sulla responsabilità da esercizio di attività pericolosa, della carenza di prova certa sulla causa dell’incendio – anche dell’ulteriore titolo, fondato sulla responsabilità del produttore (v. pag. 19, terz’ultimo paragrafo) di cui agli artt. 114 e 120 codice del consumo, come pure per implicito di qualunque altro titolo pure in astratto configurabile, rimane privo di adeguata censura in questa sede e diviene quindi irretrattabile.

17. Tanto impone di limitare l’analisi della fattispecie al solo ed esclusivo profilo della sussistenza della responsabilità da attività pericolosa: eppure, nonostante la rimarchevole profusione di risorse processuali, la fattispecie in esame non può essere ricondotta alla responsabilità per esercizio di attività pericolosa, sicchè la domanda risarcitoria delle odierne ricorrenti, divenuta in modo non più ritrattabile l’esclusione del titolo della responsabilità da prodotto difettoso o comunque di diversi titoli di responsabilità, andava sì rigettata, ma per ragioni radicalmente diverse e la qui gravata sentenza non può essere cassata, benchè soltanto perchè il suo dispositivo finisce con l’essere conforme a diritto.

18. E’ ben vero che la responsabilità per esercizio di attività pericolosa ex art. 2050 c.c., ben può prescindere dall’attività in sè e per sè considerata, il che si verifica quando il pericolo si sia materializzato e trasfuso negli oggetti dell’attività medesima (ad es., materie infiammabili, proiettili di arma da fuoco, gas in bombole, ecc.), i quali, anche per un’imperfetta costruzione, a livello progettuale o di confezione, conservino un’intrinseca potenzialità lesiva collegata allo svolgimento dell’attività di cui costituiscono il risultato, anche quando il danno si produca in una fase successiva, purchè ne dipenda in modo sufficientemente mediato (Cass. 30/08/2004, n. 17369).

19. Tale dipendenza – e la conseguente responsabilità oggettiva ai sensi dell’art. 2050 c.c., sia pure impregiudicata la verifica di diversi titoli di responsabilità (nella specie, però, esclusi per mancata impugnativa del rigetto della domanda fondata su quella da prodotto difettoso o per omessa adeguata prospettazione di altre in astratto ricorrenti, quale quella dei vizi della cosa venduta) – va però esclusa, di norma, tra fasi successive di un medesimo processo produttivo, ognuna gestita professionalmente ed almeno finchè questo non sia esaurito con la sua immissione sul mercato, che coinvolga materiale pericoloso.

20. Indubbia – anche già solo per nozioni di comune esperienza la qualificazione della nitrocellulosa (quale estere nitrico della cellulosa) come materiale intrinsecamente pericoloso in quanto altamente infiammabile ed a certe condizioni esplosivo, deve qualificarsi come intrinsecamente pericoloso sì ogni momento o fase del suo processo di produzione e di lavorazione fino al prodotto finito (e, se non altro, di quello rilevante nella specie, in cui la nitrocellulosa è utilizzata per produrre vernice, la quale non può di certo qualificarsi altrettanto pericolosa), ma non può farsi a meno di rilevare come un tale processo si scinda naturalmente in più momenti o fasi, aventi ognuna una sua intrinseca autonomia gestionale ed implicanti un diverso grado di disponibilità del prodotto pericoloso da parte dei differenti soggetti che lo manipolano.

21. A tale diversificazione di fasi e di disponibilità del prodotto pericoloso, almeno finchè il ciclo della sua trasformazione non è esaurito, non può che corrispondere una conseguente diversificazione della responsabilità dei diversi soggetti che quelle fasi gestiscono in autonomia gli uni dagli altri, ciascuno assumendo una quota ben determinata e ben prevedibile del relativo rischio di impresa connesso alla produzione di beni mediante impiego di materiali pericolosi.

22. In particolare, tali diverse fasi debbono essere considerate, di norma (e con l’eccezione che subito si vedrà) ed ai fini della responsabilità da attività pericolosa tra i diversi soggetti coinvolti professionalmente nel medesimo processo produttivo, l’una indipendente dall’altra ed ognuna caratterizzata da oneri di precauzione incombenti a ciascun soggetto titolare del potere di impresa di volta in volta esercitato, parametrati allo stato di avanzamento della lavorazione ed almeno tendenzialmente idonei a scongiurare i rischi propri di quella fase: diversamente, si tratterebbe di estendere incongruamente la nozione di attività pericolosa e la relativa severa responsabilità sostanzialmente oggettiva anche alla circolazione del bene pericoloso e senza alcuna limitazione, con insostenibile equiparazione alla responsabilità da prodotto difettoso o da vizi della cosa venduta, che hanno però presupposti molto meno gravosi per il produttore e per il distributore rispetto alla presunzione di cui all’art. 2050 c.c..

23. Non giova poi il precedente relativo alla commercializzazione e vendita di gas in bombole (affermata in epoche non più recenti per tutte, Cass. 24/11/1988, n. 6325 – e plausibilmente legate allo stato di avanzamento del progresso tecnologico ed alla diffusione di tale forma di distribuzione dell’energia, oggi obiettivamente marginale per la capillarità delle reti fisse), visto che in quel caso la circostanza che queste ultime rimangano nella titolarità del fornitore e che a lui debbano essere infine restituite connota la fattispecie come protrazione di quella stessa attività di impresa, in via complessiva ed unitaria considerata, proiettata e protratta fino al recupero delle bombole una volta adoperate.

24. Ora, il rischio di impresa di chi produce e distribuisce nitrocellulosa destinata ad ulteriore lavorazione non può comprendere, di norma e comunque ai fini della fattispecie rigorosissima di cui all’art. 2050 c.c., tra gli imprenditori che le gestiscono, proprio ed appunto le fasi di ulteriore lavorazione: le quali non sono di per sè esercizio dell’attività pericolosa originaria e di queste successive avendo la responsabilità – ove non si configurino o non si provino diversi titoli, come già detto e come escluso nella specie – invece l’imprenditore od altro soggetto professionale che le gestisca in autonomia e con correlativi oneri di adozione di misure di precauzione adeguate al ciclo di lavorazione che impieghi il prodotto intrinsecamente pericoloso, come è indubbio in punto di fatto che sia accaduto nella fattispecie.

25. Pertanto, in difetto di ulteriori titoli di responsabilità e della prova sul difetto intrinseco o sul vizio del prodotto, l’esclusione della responsabilità da attività pericolosa impedisce al danneggiato di giovarsi del relativo particolare regime anche in tema di prova dei presupposti e quindi del carattere indubbio del coinvolgimento della nitrocellulosa nell’incendio: se è vero che, in virtù dei principi in tema di responsabilità oggettiva, non avrebbe dovuto rilevare che il prodotto pericoloso fosse stato la causa mediata o immediata dell’incendio e che l’incertezza della causa ultima di questo difficilmente avrebbe potuto esimere l’esercente dell’attività pericolosa dalla sua peculiare responsabilità in difetto della prova, su di lui incombente, di avere adottato ogni misura idonea ad evitare il danno, è pur vero che, ricostruita adeguatamente la fattispecie per cui è causa, non trova appunto applicazione l’intero sistema della responsabilità da attività pericolosa.

26. Già solo in astratto ed a livello di ricostruzione del nesso di causalità, nello sviluppo di una peculiare fase dell’attività pericolosa consistente nella lavorazione professionale di una sostanza intrinsecamente pericolosa (quale, nella specie, la nitrocellulosa), in precedenza prodotta e commercializzata da altri, la semplice presenza della merce nei luoghi dove essa era stoccata difficilmente potrebbe di per sè sola considerarsi la causa di un incendio e, comunque, eziologicamente riconducibile al solo fatto di essere stata prodotta e distribuita.

27. E sarebbe restato onere del danneggiato (e quindi, nella specie, dell’assicurata in surroga dei cui diritti o comunque in relazione ai quali agiscono in primo grado in riconvenzionale le odierne ricorrenti per fare dichiarare la responsabilità della produttrice e della distributrice della nitrocellulosa coinvolta nell’incendio) provare il nesso non già con la mera presenza in loco della merce pericolosa, ma con l’attività pericolosa esercitata dalle controparti e, segnatamente, con una specifica fase della produzione

o della distribuzione di quella stessa merce a loro ascrivibile: insomma, pur essendo indubbie la presenza e la pericolosità, evidentemente queste non dipendono più direttamente dalla fase di quell’attività gestita dalle controparti, bensì, al contrario, da quella gestita dalla stessa danneggiata.

28. I primi due motivi di ricorso vanno pertanto disattesi, benchè con adeguata correzione della motivazione della gravata sentenza, in applicazione del seguente principio di diritto: “la responsabilità per esercizio di attività pericolosa ex art. 2050 c.c., che ben può prescindere dall’attività in sè e per sè considerata e sussistere quando il pericolo si sia materializzato e trasfuso negli oggetti dell’attività medesima (ad es., esplodenti, prima dell’applicabilità del D.Lgs. 19 maggio 2016, n. 81), non si configura anche in danno del produttore e del distributore di quelli ed a favore di chi professionalmente interviene in una fase autonoma di un ciclo produttivo che li impieghi quali materie prime ed assume così in proprio oneri di precauzione adeguati allo sviluppo di quello, quando non provi, impregiudicati diversi titoli di responsabilità da prodotto difettoso o di vizi della cosa venduta, il nesso causale tra l’esercizio della fase specifica dell’attività pericolosa gestita dalle controparti ed il danno da lui patito”.

29. Resta da esaminare il terzo motivo: ma la nota discrezionalità del giudice del merito nel non disporre la compensazione ne palesa l’infondatezza, sia pure correggendo i riferimenti della corte territoriale ad inadempiuti oneri probatori al nesso eziologico e nel senso sopra specificato, ma comunque in base al principio di causalità

e di soccombenza sulle domande di accertamento negativo in origine proposte contro le stesse odierne ricorrenti dalla Dow e su quelle di condanna dalle medesime proposte anche contro quest’ultima e le altre controparti.

30. Il ricorso va pertanto, nel suo complesso, rigettato; ma la cospicua correzione della motivazione resasi necessaria a tal fine integra di per sè sola il presupposto per l’integrale compensazione tra tutte le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.

31. Infine, va dato atto – mancando la possibilità di valutazioni discrezionali (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) di quanto in dispositivo della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: dovendo il giudice dell’impugnazione, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da essa proposta, a norma del detto art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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