Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28625 del 18/10/2021

Cassazione civile sez. lav., 18/10/2021, (ud. 27/05/2021, dep. 18/10/2021), n.28625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17933-2015 proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE (OMISSIS) – LANCIANO, VASTO, CHIETI, in

persona del Direttore Generale f.f. e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI

2 presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato VALERIO SPEZIALE;

– ricorrente –

contro

D.L.F., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE BELLE

ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato IGNAZIO ABRIGNANI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE CUTILLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 08/01/2015 R.G.N. 1262/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/05/2021 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS.

 

Fatto

RILEVATO

– che, con sentenza dell’8 gennaio 2015, la Corte d’Appello di L’Aquila, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Lanciano, accoglieva la domanda proposta da D.L.F. nei confronti della ASL (OMISSIS) Lanciano Vasto Chieti, dichiarando l’abusivo ricorso ai contratti a termine da parte della ASL con condanna della medesima a risarcire il danno derivato pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione;

– che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto infondata l’eccezione sollevata dalla ASL relativa alla decadenza dall’impugnazione dei contratti valutata viceversa tempestiva, nulli i successivi contratti e le relative proroghe, da ritenersi, in relazione al difetto di qualsivoglia causale ed all’eccessivo protrarsi nel tempo, del tutto ingiustificati, dovuto, stante il divieto di conversione a tempo indeterminato del rapporto, il risarcimento del danno da liquidarsi equitativamente con riferimento al parametro della L. n. 300 del 1970, art. 18;

– che per la cassazione di tale decisione ricorre la ASL, affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la D.L..

Diritto

CONSIDERATO

– che, con il primo motivo, la ASL ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 95, 98 e 180 L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 198, L.R. Regione Abruzzo, n. 26 del 2006, art. 3, commi 3 e 4, L. n. 191 del 2009, art. 1, commi 66-105, D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 10 e delle clausole 1 e 5 Allegato 1 alla Direttiva 99/70/CE, lamenta la non conformità a diritto della sancita nullità dei contratti a termine stipulati, per aver la Corte territoriale omesso di considerare i vincoli imposti in termini di riduzione dei costi di gestione dalle numerose normative statali e regionali succedutesi nel tempo incidenti sulle dotazione organiche delle ASL, la cui programmazione è stata successivamente addirittura inibita alle ASL per effetto del commissariamento del servizio sanitario regionale, cui è conseguita l’impossibilità di sottrarsi al ricorso alle assunzioni a termine al fine di assicurare i livelli minimi di assistenza sanitaria ed altresì disatteso l’interpretazione della disciplina limitativa del ricorso al contratto a termine a suo dire avallata anche dalla Corte di Giustizia UE, nel senso della piena fungibilità tra questo ed il contratto a tempo indeterminato, salva la necessaria ricorrenza di una causale giustificativa qui data appunto dall’esigenza di garantire i livelli minimi di assistenza;

– che, con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 lamenta, in subordine, in caso di mancato accoglimento del primo motivo, la non conformità a diritto della statuizione resa dalla Corte territoriale in ordine al riconoscimento del diritto della D.L. al risarcimento del danno, non essendo imputabile alla ASL alcun atto illecito idoneo a porsi in capo alla ASL medesima come fonte di responsabilità per danni;

– che con il terzo motivo, rubricato con riferimento alle medesime norme di cui al motivo che precede, imputa alla Corte territoriale il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno in carenza di prova del medesimo;

– che nel quarto motivo la violazione e falsa applicazione delle norme di cui ai precedenti motivi e della L. n. 300 del 1970, art. 18, nel testo originario, è prospettata con riferimento alla statuizione con cui la Corte territoriale ha proceduto alla determinazione equitativa del danno assumendo a parametro la norma statutaria con sommatoria dell’importo della sanzione minima pari a cinque mensilità e dell’indennità sostitutiva della reintegrazione;

– che i primi due motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, si rivelano infondati, per risultare in contrasto con il diritto dell’Unione Europea – contrasto dichiarato ancora di recente dalla Corte di Giustizia Ue, a valle di una nutrita serie di precedenti che muovono dalla sentenza 4.7.2006, Adelener ed altri, C-212/04, con la decisione 14.9.2016, Perez Lopez, C-16/15, resa appunto in tema di personale sanitario precario, con riferimento al ricorso ad una successione di contratti a tempo determinato al fine di soddisfare esigenze permanenti nell’ambito dei servizi sanitari ed altresì con la decisione 7.3.2018, Santoro, C-494/16, in cui è stato ricordato che la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE mira ad attuare uno degli obiettivi perseguiti dallo stesso, vale a dire limitare il ricorso ad una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come una potenziale fonte di abuso in danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima tese ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti sicché qui non può che ribadirsi come il ricorso ai contratti a termine da parte della pubblica amministrazione debba restare sempre assoggettato a condizioni ed a limiti legislativamente previsti che, evidentemente, non possono essere derogati dall’amministrazione in presenza di situazioni contingenti;

– che il terzo motivo si rivela infondato alla stregua dell’orientamento accolto da questa Corte a sezioni unite con la sentenza n. 5072/2016, secondo cui in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12.12.2013, in C-50/13), potendosi così farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del dipendente privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfettizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito;

che, di contro, il quarto motivo merita accoglimento alla stregua dell’orientamento a riguardo espresso da questa Corte a sezioni unite con la sentenza 5072/2016, secondo cui, stante l’essere il pregiudizio sofferto dal lavoratore normalmente correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile (e non alla mancata conversione del rapporto, esclusa per legge con norma conforme sia ai parametri costituzionali che a quelli comunitari) e derivandone, appunto per il l’impossibilità di identificare il pregiudizio del dipendente pubblico nella perdita del posto, l’incongruità del parametro di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, il parametro va individuato nella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, disposizione espressamente riferita al risarcimento del danno in caso di illegittima apposizione del termine;

che, dunque, rigettati i primi tre motivi, va accolto il quarto motivo e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d’Appello di L’Aquila, in diversa composizione, che provvederà in conformità, disponendo altresì per l’attribuzione delle spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di L’Aquila, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2021

 

 

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