Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28624 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. III, 07/11/2019, (ud. 20/09/2019, dep. 07/11/2019), n.28624

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4031/018 proposto da:

TRIGON VERMOGENSVERWALTUNG DES F.D. & CO KG, in persona

del legale rappresentante pro tempore, D.F.A. in

proprio, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. CUBONI 12, presso

lo studio dell’avvocato CLAUDIO VISCO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SILVIA LAZZERETTI;

– ricorrenti –

contro

UNICREDIT LEASING SPA, in persona del suo Amministratore Delegato,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO N. 6,

presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO CATAVELLO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

ERIF ONE SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 618/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2019 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento motivi 6-7,

rigetto o inammissibilità nel resto;

udito l’Avvocato LAZZERETTI SILVIA;

udito l’Avvocato NANNI LUANA per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Trigon Vermogensverwaltung des F.D. & Co. KG postulata la qualità di successore della Trigon s.a.s. di F.D. & C. – e D.F.A. in proprio, quale socio accomandatario dell’originaria opposta Trigon s.a.s., ricorrono, con atto notificato a far tempo dal 06/02/2018 ed articolato su nove motivi, per la cassazione della sentenza n. 618 del 15/02/2017 della Corte di appello di Milano.

2. Con tale sentenza è stato respinto l’appello avverso il rigetto dell’opposizione della Trigon sas e del D. al decreto ingiuntivo per Euro 34.694,16 oltre accessori e spese, notificato il 19-28/07/2006 conseguito ai loro danni dalla Locat spa e pronunciato dal Tribunale di Milano, a titolo di canoni di locazione finanziaria di alcune unità immobiliari acquistate dalla Immobiliare Milanese srl, nel corso della quale gli opponenti avevano dispiegato domande anche nei confronti di questa, chiamandola in causa, tese anche alla declaratoria di nullità o annullabilità od alla risoluzione dei contratti con tali parti intercorse, mentre opposta e chiamata avevano a loro volta dispiegato domande su questi fondate.

3. In estrema sintesi, la doglianza dell’utilizzatore e degli ingiunti si era incentrata sull’irregolarità urbanistica dei beni oggetto di compravendita e contestuale leasing (identificati come censiti in NCEU del Comune di Gallarate, foglio (OMISSIS), p.lla (OMISSIS), successivamente modificati ai sub 30, 31,32,14,15,20, 21, 22, 25 e 26), siccome in violazione delle normesulle distanze tra edifici, con domanda non solo di revoca del monitorio opposto, ma soprattutto – così rivolta anche nei confronti della venditrice Immobiliare Milanese srl, direttamente chiamata in causa con l’atto di citazione in opposizione – di declaratoria di nullità dei contratti di compravendita (del 16/12/2002 tra Immobiliare Milanese srl e Locat spa) e di locazione finanziaria (in pari data, tra Locat spa e la Trigon), con condanna alla restituzione dei canoni di locazione ed al risarcimento dei danni, ovvero, in via subordinata, con domanda di annullamento del contratto di locazione finanziaria o di nullità per falsa presupposizione, ovvero ancora di risoluzione dei contratti o di riduzione del prezzo in misura di almeno il 30%.

4. Resiste con controricorso la Unicredit Leasing spa, succeduta in corso di causa alla Locat spa, mentre non espleta attività difensiva l’altra intimata Erif-One srl, già Immobiliare Milanese srl; e, per la pubblica udienza del 20/09/2019, i difensori dei ricorrenti depositano, dichiarando di costituirsi contestualmente anche per la curatela degli originari opponenti nel frattempo dichiarati falliti, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità dell’intervento dispiegato per la Curatela del fallimento delle originarie opponenti a decreto ingiuntivo: infatti, l’intervento nel giudizio di legittimità è di norma sempre precluso, anche ove eseguito dal successore (tra le ultime, Cass. Sez. U. ord. 03/11/2017, n. 26145, punto 4 delle ragioni della decisione) e con eccezione nel solo caso di successione a titolo universale (ed a determinate condizioni, oltretutto qui non rispettate: Cass. 31/03/2011, n. 7441; Cass. 17/07/2019, n. 19172).

2. Invero, la giurisprudenza di questa Corte (che pure ha, almeno nei tempi più recenti, ammesso il successore all’impugnazione o alla diretta costituzione quale controricorrente: per quello a titolo universale, v. Cass. 31/03/2011, n. 7441; per quello a titolo particolare, tra molte altre: Cass. 11/05/2010, n. 11375; in ogni caso con adeguata produzione di prova della successione, soprattutto se contestata dalla controparte) continua ad escludere l’ammissibilità di un intervento del successore a titolo particolare nel giudizio di legittimità (in termini, tra le ultime, Cass. 30/05/2014, n. 12179), per la mancanza, nella disciplina di questa fase processuale, di un’espressa previsione normativa che consenta al terzo di partecipare al giudizio con facoltà di esplicare difese, e quindi di assumere una veste atipica rispetto ai soggetti che, avendo partecipato alle fasi di merito, sono parti necessarie del giudizio (v. già in tal senso Cass. 07/04/2011, n. 7986; Cass. 04/05/2007, n. 10215; più di recente conferma l’indirizzo Cass. Sez. U. 18/11/2016, n. 23466); ed apporta deroga a tale principio solo per i casi – che qui con ogni evidenza non ricorrono, trattandosi di declaratoria di fallimento dei soggetti originari ricorrenti – di successione a titolo universale ovvero per quello in cui il dante causa sia rimasto inerte, visto che altrimenti sarebbe irrimediabilmente vulnerato il diritto di difesa del successore (Cass. 07/06/2016, n. 11638): e comunque pur sempre a condizione (qui neppure rispettata) che l’intervento abbia luogo con atto sul quale sia ritualmente instaurato il contraddittorio con notifica alla controparte dell’atto medesimo e della documentazione a comprova della successione – e quindi non mai con il mero deposito in Cancelleria di una comparsa, o altro atto similmente denominato, di costituzione, come avvenuto nella fattispecie – a tutela del diritto di difesa della altre parti già costituite (per la successione a titolo particolare, in termini e in motivazione, v. Cass. 24/02/2011, n. 4467; per quella a titolo universale, v. Cass. 31/03/2011, n. 7441).

3. Rilevato pure che nemmeno può dirsi accettato il contraddittorio (ammesso e non concesso che la materia rientri nella disponibilità delle parti), visto che la costituzione con atto di intervento è avvenuta con modalità tali da precludere alla controparte la stessa possibilità di esserne resa legalmente edotta, deve concludersi che l’atto di costituzione in esame è inammissibile in parte qua e che le sole parti costituite legittimamente in questo giudizio di legittimità restano, oltre – beninteso – la controricorrente, esclusivamente i ricorrenti originari. E tanto in applicazione del seguente principio di diritto: “è inammissibile l’intervento nel giudizio di legittimità della curatela dell’originario ricorrente, oltretutto mediante atto non notificato ad alcuna delle controparti”.

4. Ciò posto, non rileva alcun ulteriore approfondimento sulla ritualità della prova della legittimazione della ricorrente Trigon Vermogensverwaltung des F.D. & Co. KG quale successore della Trigon s.a.s. di F.D. & C., questione che si lascia allora qui impregiudicata, atteso l’esito complessivo delle doglianze mosse da quella unitamente all’altro originario opponente D.F..

5. La Corte d’appello di Milano ha confermato il rigetto delle domande di nullità – e di quella per aliud pro alio – fondate sulla irregolarità urbanistica dell’immobile derivante dall’illegittimità del permesso a costruire per violazione della disciplina sulle distanze, rilevando come non fosse stata mai proposta impugnativa degli atti amministrativi presupposti e, reputata sussistente sul punto la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ricavando da tale carenza l’infondatezza delle pretese attoree; mentre, quanto al rigetto delle domande di risoluzione, ha dichiarato, una volta rilevato il carattere pacifico della circostanza della trasformazione del bene, inammissibile il gravame per difetto di specificità quanto all’improponibilità delle domande di riduzione del prezzo e adempimento, fondate sui presunti vizi o sulla loro apparenza.

6. Vanno esaminati dapprima, per loro intima connessione, i motivi dal primo al quinto, coi quali i ricorrenti lamentano:

a) la “nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360, comma 1, n. 4 per non avere la Sentenza disposto, in violazione dell’art. 112 c.p.c., in merito alla domanda di nullità dei contratti per violazione delle norme in materia di distanze tra edifici (L. n. 1150 del 1942, art. 41-quinquies, D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46) formulata dagli appellanti o, in via subordinata, nullità della Sentenza qualora la Sentenza venisse interpretata come aver deciso tale domanda per violazione dell’art. 132 c.p.c.”: al riguardo si deduce che non è stata esaminata nel merito la domanda di nullità del contratto per violazione di norme imperative, o, in alternativa, che il rigetto nel merito della domanda è privo di consequenzialità col rilevato difetto di giurisdizione sugli atti amministrativi presupposti;

b) la “violazione e falsa applicazione di norma di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, con riferimento alla L. 1150 del 1942, art. 41-quinquies, al D.M. n. 1444 del 1968 e all’art. 1418 c.c., nonchè per violazione delle norme di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46″: si sostiene che, pacifica dagli atti la violazione delle distanze, il contratto era nullo per illiceità o impossibilità dell’oggetto, equivalendo la costruzione dell’immobile in base a concessione illegittima a costruzione senza concessione;

c) l'”omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere considerato le distanze tra pareti finestrate e rilevato la contrarietà al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, di cui si è discusso in corso di causa e che è un fatto decisivo della controversia”: si lamenta l’avvenuta pretermissione della pacifica circostanza della violazione delle distanze, negandosi che nelle controversie tra privati la disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi sarebbe vietata al giudice ordinario; e con la precisazione che neppure si tratterebbe di c.d. doppia conforme in relazione al rilievo del primo giudice sulla pregiudizialità dell’assenza di una domanda incidentale di nullità degli atti amministrativi;

d) la “nullità della Sentenza o del procedimento ex art. 306 c.p.c. (ma, rectius, art. 360), comma 1, n. 4, per omessa pronuncia sulla richiesta di prove circa la violazione delle distanze di legge di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9”: ci si duole della pretermissione delle istanze istruttorie tese a dimostrare la (peraltro pacifica) circostanza della violazione delle distanze e degli altri vizi, con diretto rigetto di tutte le domande;

e) la “nullità della Sentenza o del procedimento ex art. 360, comma 1, n. 4 con riferimento all’art. 112 c.p.c., avendo la Corte d’Appello di Milano pronunciato su domande non sottoposte al suo esame con vizio di ultrapetizione”: si deduce che erroneamente la corte territoriale avrebbe ritenuto dispiegate domande di declaratoria di illegittimità degli atti amministrativi in base ai quali erano stati costruiti gli immobili pur in presenza di mera istanza di loro disapplicazione, per poi rigettare nel merito per ritenuta mancata proposizione dinanzi al giudice amministrativo.

7. La complessa doglianza, come formulata, è infondata, sia pure con le dovute serie integrazioni e correzioni alle argomentazioni della qui censurata sentenza.

8. In primo luogo, non corrisponde al vero che questa non abbia motivato sulla domanda di nullità da violazione delle normative sulle distanze tra edifici, perchè essa appunto ha ricollegato il rigetto al mancato dispiegamento di una domanda pregiudiziale amministrativa sulla quale ha reputato non sussistere la giurisdizione del g.o.: con statuizione idoneamente chiara, quand’anche censurabile ed in effetti poi censurata, poichè ipotizza la preclusione della disamina nel merito per intangibilità dei presupposti e cioè degli atti amministrativi.

9. In secondo luogo ed in via dirimente, la recentissima Cass. Sez. U 22/03/2019, n. 8230, chiaramente afferma che la nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46 e della L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, va ricondotta nell’ambito dell’art. 1418 c.c., comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, sicchè deve qualificarsi come nullità testuale (con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono), volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile: con la conseguenza che, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità sostanziali della costruzione realizzata al titolo menzionato.

10. Tale conclusione può estendersi a maggior ragione alla conformità del titolo – pacificamente menzionato negli atti per cui oggi è causa e comunque in quello di traslazione di diritti reali sui beni – alla normativa urbanistica di riferimento, sicchè va esclusa quale conseguenza immediata ed immediatamente fruibile dalle parti una nullità dell’atto tra privati non direttamente interessati dalla normativa invocata, regolando pacificamente quella sulle distanze i rapporti tra titolari di diritti reali su immobili confinanti e non anche quelli tra un singolo proprietario ed i suoi aventi causa.

11. In terzo luogo, l’esame della presenza di costruzioni finestrate in violazione della normativa sulle relative distanze è sì mancato, ma tanto è dipeso da una scelta processuale, quand’anche non condivisa o censurabile (benchè, del resto, poi rivelatasi irrilevante): e, nella struttura del vizio motivazionale, come restrittivamente disegnato dalla novella del 2012 (secondo le indicazioni di Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053, nonchè di Cass. Sez. U. 22/09/2014, n. 19881), l’omesso esame deve necessariamente intendersi come una difettosa ricostruzione degli elementi rilevanti per il giudizio di fatto; ma, a meno di una impropria confusione di cause ed effetti, tale difetto non deve dipendere da una scelta consapevole del giudicante, legata a valutazioni esplicite o implicite di merito o perfino – come accade nella fattispecie – di rito per la cosciente applicazione di regole processuali, quand’anche rivelatesi poi non adeguate o non corrette; pertanto, la stessa scelta di non considerare un fatto è essa stessa l’esame del medesimo, ovviamente sub specie di rifiuto di riconoscerne – per ragioni di rito – ammissibilità o – per ragioni di merito – rilevanza ai fini della decisione (in tali espressi sensi, v. Cass. Sez. U 02/12/2016, n. 24645).

12. In quarto luogo, neppure si configura l’omissione di pronuncia sulle istanze istruttorie, alla stregua delle concrete motivazioni addotte per il rigetto nel merito e senza impegnare in alcun modo, per la reputata pregiudizialità amministrativa, la verità o meno delle circostanze di fatto su cui si invocava la prova (oltretutto, riportate le relative istanze in ricorso in modalità non in linea col principio di cui dell’art. 366 c.p.c., n. 6): la motivazione in sè e per sè sussiste – benchè censurata o censurabile – ed è congruente col contesto e da questo può idoneamente evincersi.

13. Infine, con le censure qui in esame non si coglie la ratio decidendi, agevolmente identificabile in ciò, che la carenza di giurisdizione sulla questione preliminare ha precluso l’accertamento di quella e l’esame del merito: ratio appunto resa oggetto di ulteriori doglianze ed in particolare coi motivi sesto e settimo.

14. Tali censure involgono il passaggio decisivo della qui gravata sentenza, cioè la configurazione di una pregiudiziale amministrativa: con quelle i ricorrenti lamentano, rispettivamente, la “nullità della Sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto il proprio difetto di giurisdizione” e la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 con riferimento alle norme di cui della L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5, All. E”.

15. In sostanza, i ricorrenti censurano l’insussistenza di una pregiudiziale amministrativa e negano il dichiarato difetto di giurisdizione: in primo luogo, perchè la giurisprudenza richiamata dalla corte territoriale si riferisce a controversie dirette con la P.A. e risarcitorie per danni derivanti in via immediata dal provvedimento illegittimo; in secondo luogo, perchè andavano applicati i principi desumibili in contrario, tra le altre, da Cass. 13673/14 e da altre a sezioni unite sulla pregiudiziale amministrativa, nonchè da Cass. 6855/17 sulla non estensione tra privati del giudicato amministrativo sulla legittimità di atti in violazione di distanze legali; in terzo luogo, nella specie si invocava esclusivamente la disapplicazione dell’atto amministrativo eventualmente illegittimo.

16. I motivi, che pure correttamente prospettano una questione di diritto in astratto fondata, non possono però condurre all’auspicata cassazione, dovendo questa Corte limitarsi a correggere il dispositivo della qui gravata sentenza, il quale solo è, in sè considerato e quanto al disposto rigetto delle domande, da considerarsi conforme a diritto.

17. E’ ben vero, come sostengono i ricorrenti, che la giurisprudenza richiamata dalla corte d’appello si riferisce esclusivamente alle controversie risarcitorie intentate dal privato nei confronti della pubblica amministrazione, mentre nella specie la legittimità o meno dell’atto amministrativo è un mero presupposto o, a tutto concedere, un fatto costitutivo della pretesa volta alla declaratoria di nullità avanzata da una delle parti contraenti in un ordinario rapporto negoziale tra privati: sicchè malamente ha ritenuto la corte d’appello di estendere quelle conclusioni alla fattispecie ed anzi di ritenere preclusiva la mancata impugnativa di quegli atti in sede amministrativa (impugnativa, oltretutto, di ardua impostazione, visto che l’impugnante sarebbe stato il beneficiario del provvedimento e che la normativa invocata regola l’azione amministrativa e, a tutto concedere, il suo impatto nei rapporti tra confinanti, i quali non vengono affatto in considerazione nella fattispecie).

18. E tuttavia, per quanto argomentato già più sopra (v. precedenti punti 9 e 10), la nullità di un contratto fra privati non potrebbe sussistere di per sè quale effetto della mera violazione di normativa urbanistica neppure nel caso di trasferimento di diritti reali e, tanto meno, in ipotesi di rapporti fondati sul godimento a quel trasferimento finalizzato, proprio e tipico della locazione finanziaria: ne consegue che la pretesa degli opponenti andava sì disattesa, ma non in quanto difettasse l’adito giudice di giurisdizione sulla domanda, quanto piuttosto perchè questa era irrimediabilmente infondata per la inconsistenza della ragione in diritto su cui era stata impostata.

19. E tanto in applicazione del seguente principio di diritto: “poichè la nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, va qualificata come nullità testuale ed è riferita al mero contenuto degli atti tra privati, ma non anche alla sostanziale legittimità urbanistica del loro oggetto, non rileva di per sè solo considerato il profilo della conformità o della difformità sostanziali della costruzione realizzata al titolo menzionato o di questo alla normativa urbanistica presupposta; sicchè, pur dovendosi escludere una pregiudiziale amministrativa e quindi l’onere di previa impugnativa degli atti amministrativi presupposti (nella specie, i titoli abilitativi alla costruzione, essi stessi addotti come in violazione della normativa urbanistica), non integra, di per sè considerata ed in difetto di valida proposizione di diverse azioni contrattuali, ragione di nullità dei negozi di trasferimento dei diritti reali su immobili e di locazione finanziaria dei medesimi la circostanza della non conformità di quelli alla normativa urbanistica, soprattutto se in tema di distanze, questa regolando i rapporti tra titolari di diritti reali su immobili confinanti e non pure quelli tra un singolo proprietario ed i suoi aventi causa”.

20. Quanto poi all’ottavo motivo (di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, con riferimento alle norme di cui all’art. 1492 c.c. e alle norme regolatrici il processo civile e l’appello, e di cui all’art. 342 c.p.c.”), con quello i ricorrenti, a confutazione della definizione di inammissibilità del gravame avverso il rigetto delle altre domande, rilevano come a pag. 60 dell’atto di citazione in appello si fosse contestata l’affermata pacificità della trasformazione del bene successivamente ai contratti e a pag. 67 si fossero identificati i capi contestati, quanto a importanza dei lavori, effettività della trasformazione – prospettata come sussistente solo in caso di nuova durevole destinazione – ed apparenza dei vizi, scoperti solo dopo consulenze tecniche contro le imprese esecutrici dei lavori); e richiamano l’autorità di Cass. Sez. U. 27199/17 in tema di requisiti di specificità dell’atto di appello.

21. Orbene, la sanzione di inammissibilità per genericità comminata dalla corte territoriale si riferiva alla carenza di specifica impugnazione degli snodi motivazionali di primo grado non solo in punto di carattere pacifico della trasformazione del bene successivamente alla stipula o di importanza dei lavori e di effettività della trasformazione o di apparenza dei vizi, ma anche di intempestività delle azioni e complessiva loro improponibilità: sicchè le contestazioni, come operate nei richiamati e solo parzialmente in ricorso riprodotti passaggi dell’atto di appello, si riferivano ad alcuni soltanto degli aspetti presi in considerazione dalla corte territoriale (anche a volere tener conto della sussistenza di una trasformazione solo in caso di nuova e durevole destinazione o della circostanza della scoperta dei vizi solo dopo accertamenti tecnici nel corso dei lavori e comunque all’esito di contestazioni alle esecutrici di questi), ma non pure a quelle altre e comunque determinanti rationes decidendi dell’inammissibilità.

22. Eppure, ove si consideri che, in tema di leasing finanziario, la disciplina dei vizi della cosa legittima un’azione diretta dell’utilizzatore verso il fornitore, salvo l’onere in capo al concedente di immediata azione contro il fornitore (Cass. Sez. U. 05/10/2015, n. 19785), sarebbe stato onere degli odierni ricorrenti fornire in ricorso – con puntuali indicazioni di sede processuale ed idonee trascrizioni, neppure, com’è noto, potendo ammettersi una sua successiva integrazione con alcun altro atto e tanto meno con la memoria in vista dell’udienza di discussione – tutti gli elementi per riscontrare che gli elementi costitutivi della relativa azione fossero stati somministrati tempestivamente al giudice di primo grado, che e come quest’ultimo li avesse disattesi e se e come gli appellanti li avessero analiticamente, nessuno escluso, impugnati; pertanto, non adempiuto quest’onere in ordine al contenuto del ricorso per cassazione, il relativo motivo di doglianza va qualificato inammissibile.

23. Infine, neppure può trovare accoglimento il nono motivo, con cui i ricorrenti si dolgono di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, con riferimento alle norme di cui all’art. 92 c.p.c.”, in particolare protestando per la propria condanna alle spese anche a favore di Erif-one per vizi di forma nella sua chiamata, non avendo il giudice di merito considerato il non consolidamento della giurisprudenza, soprattutto di merito al tempo della proposizione della chiamata in causa diretta, sì che si sarebbe prospettato un vero e proprio revirement.

24. Premesso che la sanzione di inammissibilità della chiamata diretta da parte dell’opponente non viene contestata in quanto tale e che quindi la conclusione della giurisprudenza di legittimità sul punto, pure particolarmente severa, non viene revocata in dubbio in quanto tale in questa sede, va in primo luogo osservato come quella fosse già intervenuta chiaramente sul punto già al momento del dispiegamento della chiamata (Cass. 8718/00, seguita poi, per quanto effettivamente in tempo successivo alla proposizione diretta della chiamata in causa, da Cass. 4800/07 e da quella richiamata dalla corte territoriale).

25. In via dirimente, poi:

– da un lato, non vale mai, a presidio del ruolo nomofilattico di questa Corte suprema di cassazione, a fondare un’incertezza rilevante per le parti la persistenza di contrarie opzioni ermeneutiche dei giudici di merito, ove mai – come nella specie – non recepite da questa Corte regolatrice (Cass. Sez. U. 12/02/2019, n. 4135);

– dall’altro lato, non vi è revirement o overruling in mancanza di precedenti di legittimità (Cass. Sez. U. 06/09/2013, n. 20569; Cass. 15/05/2014, n. 10723) ed allora, a maggior ragione, quando la giurisprudenza, dapprima incerta, sceglie definitivamente una delle opzioni fino a quel momento su di un piede di parità, poichè nella specie questa Corte ne aveva già prescelta una;

– infine, il soccombente non ha mai un diritto alla compensazione, questa restando nella piena discrezionalità del giudicante.

26. Il ricorso va pertanto rigettato, con condanna dei soccombenti ricorrenti, tra loro in solido per il pari interesse in causa, alle spese del presente giudizio di legittimità.

27. Infine, va dato atto – mancando la possibilità di valutazioni discrezionali (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da essa proposta, a norma del detto art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti, tra loro in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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