Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28622 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. III, 07/11/2019, (ud. 11/09/2019, dep. 07/11/2019), n.28622

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18044-2018 proposto da:

C.S., titolare dell’omonima impresa edile,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE OCEANO ATLANTICO 14, presso

lo studio dell’avvocato CARLO EUSEPI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANTONINO CAMPISI;

– ricorrente –

contro

A.A., Z.E., domiciliati ex lege in ROMA, presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato GIOVANNI RAUDINO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2212/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 28/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/09/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

S.A.M. che ha concluso per il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.S. ricorre, sulla base di otto motivi, per la cassazione della sentenza n. 2212/17, del 28 novembre 2017, della Corte di Appello di Catania, che – accolto il gravame esperito da Z.E. e A.A. avverso la sentenza n. 238/14, del 14 febbraio 2014, del Tribunale di Siracusa – ha condannato l’odierna ricorrente a pagare ai predetti coniugi Z.- A. la somma di Euro 27.840,17, in accoglimento dell’azione di riduzione e di risarcimento danni dagli stessi esercitata, in relazione all’acquisto di un appartamento e di un garage siti nel Comune di (OMISSIS).

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di essere stata convenuta in giudizio dallo Z. e dalla A., i quali – sul presupposto di aver concluso con essa C. un contratto di compravendita, così acquistando la proprietà degli immobili suddetti, ancora da rifinirsi da parte della venditrice, secondo quanto previsto dal rogito notarile del 30 maggio 2007 e dall’allegato capitolato di appalto – chiedevano, in primo luogo, accertarsi la legittimità della sospensione del pagamento della parte residua del prezzo di acquisto. Assumevano, infatti, che la venditrice si fosse resa inadempiente rispetto alle obbligazioni assunte con il contratto di compravendita, ovvero di assicurare la rifinitura degli immobili, entro il 30 giugno dello stesso anno, oltre al rilascio del certificato abitabilità. Su tale presupposto, inoltre, gli attori chiedevano la riduzione del prezzo di acquisto nella misura di Euro 35.000,00 ed il riconoscimento che nulla era più dovuto alla venditrice, con restituzione, da parte della stessa, della somma di Euro 9.000,00 o altra ritenuta di giustizia. Veniva, infine, proposta domanda risarcitoria, sempre per l’importo di Euro 35.000,00, per non avere gli acquirenti ottenuto l’immobile alla data prefissata, nonchè per essere stati costretti a locare altro appartamento, oltre che per aver dovuto fare fronte con proprie maestranze all’ultimazione dei lavori, ed infine per aver dovuto completare a mezzo di propri tecnici e a proprie spese le pratiche necessarie per la regolarizzazione urbanistica dell’immobile.

Ciò premesso, l’odierna ricorrente deduce di essersi costituita in giudizio per resistere all’avversaria domanda, agendo, altresì, in via riconvenzionale per il pagamento del saldo prezzo di Euro 26.620,00. Assumeva, infatti, la C. che in occasione della stipula del rogito (e di scrittura privata di pari data), le parti avrebbero convenuto nel 30 settembre 2007 – anche in ragione del fatto che gli acquirenti avevano richiesto lavori extracapitolato – la data della consegna degli immobili, pattuendo, inoltre, che il certificato di abitabilità fosse consegnato entro il successivo 31 dicembre. Di conseguenza, secondo l’allora convenuta in giudizio, tanto l’invio della diffida ad adempiere nel settembre 2007, quanto la notificazione della citazione a giudizio, il 26 novembre di quello stesso anno, sarebbero stati effettuati in assenza di un inadempimento di essa C..

Riferisce, altresì, l’odierna ricorrente che, nel corso del giudizio di primo grado (ed esattamente, il 2 agosto 2008), i coniugi Z.- A. le bonificarono l’importo di Euro 20.000,00, essendo immessi nel possesso dell’immobile acquistato.

Infine, rammentare come gli attori – ben oltre il termine previsto dall’art. 183 c.p.c., comma 6, – avessero richiesto di produrre taluni atti amministrativi relativi al complesso condominiale cui appartengono gli immobili oggetto di causa, senza essere a ciò autorizzati dal giudice (e senza neppure reiterare la richiesta in sede di precisazione delle conclusioni), l’odierna ricorrente evidenzia come l’esito del primo grado di giudizio fosse consistito nel rigetto di tutte le domande attoree e nell’accoglimento, invece, della riconvenzionale proposta da essa C., con condanna dei coniugi Z.- A. a pagarle, a titolo di saldo, l’importo ancora dovutole di Euro 6.620,00.

Esperito gravame da parte degli attori soccombenti, la Corte etnea – non senza previamente disporre lo svolgimento di consulenza tecnica d’ufficio (che concludeva per l’impossibilità di ottenere il certificato di agibilità degli immobili oggetto di causa), nonchè ammettere l’acquisizione della documentazione amministrava esclusa, invece, dal primo giudice – riteneva lo stesso fondato. Di conseguenza, accoglieva l’azione di riduzione per Euro 25.000,00, ed inoltre condannava la C. a risarcire i vizi dell’appartamento, meglio descritti nella CTU, per l’importo di Euro 9.460,00, compensando parzialmente il complessivo “quantum” dovuto ai coniugi Z.- A. con il saldo di Euro 6.620,00, da essi ancora dovuto all’odierna ricorrente, che risultava, pertanto, condannata a corrispondere la suddetta somma di Euro 27.840,17.

3. Avverso tale ultima decisione ha proposto ricorso per cassazione la C., sulla base di otto motivi.

3.1. Il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), – deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 345 c.p.c., comma 3, art. art. 189 c.p.c. e art. 183 c.p.c., comma 6, censurando la sentenza impugnata per omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità della produzione dei documenti già tardivamente depositati dai coniugi Z.- A. in primo grado (la cui acquisizione, difatti, non era stata autorizzata dal primo giudice).

Nel ribadire di aver eccepito nella stessa comparsa di costituzione in appello l’inammissibilità della produzione documentale (avente ad oggetto, rispettivamente, richiesta di concessione edilizia con variante in corso d’opera, verbale della commissione edilizia comunale di Noto del 18 marzo 2010, ordinanza di ripristino su parti dell’edificio, peraltro non attinenti ai beni oggetto di causa), gli odierni ricorrenti si dolgono che la Corte etnea – la quale ha disposto la CTU anche sulla base di tale documentazione – non ebbe mai a pronunciarsi su detta eccezione. Richiamano, sul punto, i ricorrenti giurisprudenza di questa Corte secondo cui anche l’omessa pronuncia su eccezione può integrare violazione dell’art. 112 c.p.c. (è citata, in particolare, Cass. Sez. 2, sent. 16 febbraio 2018, n. 3845).

3.2. Il secondo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – deduce violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., comma 1, per avere la Corte di Appello disposto una CTU avente mero contenuto esplorativo, così violando il principio dell’onere della prova.

I ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte etnea ebbe ad autorizzare il consulente ad acquisire eventuali documenti depositati presso i pubblici uffici. Essendosi l’ausiliario del giudice avvalso di tale facoltà, sarebbe stato, in questo modo, aggirato il principio che pone a carico dell’attore l’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la consulenza tecnica d’ufficio non può risolversi in uno strumento con cui la parte tenda a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni di prova (è citata, in particolare, Cass. Sez. 2, sent. 9 maggio 2016, n. 9318).

3.3. Il terzo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – deduce violazione dell’art. 132 c.p.c., nonchè del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, artt. 24 e 36 oltre che della L.R. siciliana 10 agosto 2016, n. 16, e della L.R. siciliana 10 agosto 1985, n. 37, applicabile “ratione temporis”, che richiamava “in modo dinamico” la L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 13.

In particolare, la ricorrente si duole dell’omessa o apparente motivazione circa la possibilità sia di ottenere il certificato di agibilità (ex certificato di abitabilità) anche per singola unità immobiliare, sia di sanare, con presentazione di progetto di variante, le difformità edilizie relative ad altre parti dello stabile condominiale. Difatti, contrariamente a quanto affermato nella CTU (e secondo quanto evidenziato, invece, nelle critiche mosse alla stessa – da essa ricorrente – in occasione di tre diverse udienze istruttorie, oltre che nella stessa comparsa conclusionale), tale possibilità doveva ritenersi sussistente.

Si censura, pertanto, la sentenza impugnata per essersi “completamente ed acriticamente poggiata sulla CTU da essa disposta”, senza motivare in ordine a quegli aspetti che avevano formato, invece, oggetto di ampia discussione tra le parti, avendo l’odierna ricorrente, in particolare, contestato le conclusioni, sia tecniche che normative, raggiunte dal consulente d’ufficio, segnatamente laddove ha affermato che l’intero complesso condominiale non avrebbe mai potuto essere oggetto di sanatoria, nonchè e, per quanto più strettamente afferiva ai beni oggetto di causa, che non sarebbe stato possibile, in relazione ad essi, ottenere l’agibilità.

Difatti, nessuna valutazione sarebbe stata compiuta circa la possibilità per la C., proprietaria di vari appartamenti e garage all’interno di quello stesso complesso condominiale nel quale risultano inseriti gli immobili oggetto di causa, di intercluderne alcuni per recuperare la cubatura eventualmente eccedente, riportandosi a quella utile e disponibile secondo il piano regolatore di Noto. Peraltro, a corroborare la propria tesi, la ricorrente assume di aver depositato, nel corso dell’udienza istruttoria del 19 giugno 2017, attestazione di agibilità dell’appartamento oggetto di causa, nonchè allegata attestazione di conformità dell’opera al progetto presentato e sua agibilità a firma del direttore dei lavori, oltre a parere favorevole al rilascio della concessione edilizia in sanatoria dell’intero condominio. Orbene, su tali eccezioni normative e tecniche, corroborate, come detto, da produzione documentale, il giudice di appello avrebbe completamente omesso di prendere posizione, donde il denunciato vizio motivazionale (è citata Cass. Sez. 1, sent. 22 febbraio 2017, n. 4605).

3.4. Il quarto motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – deduce violazione degli artt. 132 e 345 c.p.c., per omessa ammissione, da parte della Corte di Appello di Catania, dei documenti depositati dall’odierna ricorrente al fine di confutare le conclusioni tecniche della disposta CTU.

Si censura, in questo caso, la sentenza impugnata per aver ritenuto inammissibile la produzione dei documenti già sopra meglio individuati, richiamando la ricorrente, al riguardo, il principio, affermato da questa Corte, secondo cui il carattere chiuso del giudizio impugnatorio non opera quando il giudice eserciti il proprio potere di disporre o rinnovare le indagini tecniche, anche attraverso l’affidamento di una consulenza tecnica d’ufficio (è citata, in particolare, Cass. Sez. 1, sent. 27 giugno 2017, n. 15945).

3.5. Il quinto motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – deduce violazione degli artt. 100 e 112 c.p.c., per omessa dichiarazione, da parte della Corte di Appello, della cessazione della materia del contendere in ordine alla domanda di riduzione del prezzo di compravendita.

La sentenza impugnata è censurata, in questo caso, sul presupposto che, ove la Corte etnea avesse esaminato le eccezioni, tecniche e normative, sollevate sulla CTU dall’odierna ricorrente, nonchè i documenti prodotti a confutazione della stessa, essa sarebbe giunta al risultato di dichiarare cessata la materia del contendere in ordine alla domanda di riduzione del prezzo.

3.6. Il sesto motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – deduce violazione dell’art. 132 c.p.c., per avere la sentenza impugnata accolto l’azione di riduzione nella misura di Euro 25.000,00, ritenuta pari a poco meno del 20% del prezzo di compravendita, senza chiarire se quest’ultimo sia stato considerato al netto o al lordo dell’IVA, ed inoltre se la diminuzione – giustificata con la violazione dell’obbligazione contrattuale di assicurare il rilascio del,certificato di agibilità dell’appartamento – sia stata ò compiuta avuto riguardo al prezzo di acquisto di esso soltanto, ovvero anche del garage.

3.7. Il settimo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – deduce violazione dell’art. 132 c.p.c., assumendo la ricorrenza di motivazione assente e/o perplessa per errata valutazione delle domande risarcitorie avanzate dai coniugi Z.- A., in relazione ai principi ermeneutici di interpretazione letterale, ma anche soggettiva, ex artt. 1362-1365 c.c., nonchè oggettiva, ex artt. 1366-1370 c.c.

La ricorrente evidenzia come gli attori/appellanti avessero richiesto il risarcimento di quattro precise tipologie di danno: a) per non aver ottenuto l’immobile alla data prefissata; b) per essere stati costretti a locare altro appartamento; c) per aver dovuto fare fronte, con proprie maestranze, all’ultimazione dei lavori; d) per aver dovuto completare, a mezzo di propri tecnici e a proprie spese, le pratiche necessarie per la regolarizzazione urbanistica dell’immobile. Per contro, la sentenza impugnata, dimostrando di aver male interpretato – in difformità dai canoni dell’interpretazione letterale, soggettiva ed oggettiva – la volontà espressa dagli attori nei propri atti defensionali, avrebbe errato nel riconoscere il risarcimento dei danni “derivati dalle difformità e dalle imperfezioni riscontrati nella esecuzione delle opere edili”, avendo, in realtà, i coniugi Z.- A. richiesto il risarcimento solo per ciò che si sarebbe dovuto ancora ultimare.

3.8. Infine, l’ottavo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), – deduce “omesso esame di un fatto storico relativo al mancato adempimento da parte dei coniugi Z.- A. del pagamento del saldo del prezzo”.

Si censura la sentenza impugnata in quanto essa, pur avendo preso in esame la questione relativa all’inadempimento dell’obbligo di versare il saldo del prezzo, avrebbe escluso tale inadempimento attraverso una sostanziale negazione delle prove assunte, laddove, invece, la considerazione del materiale probatorio avrebbe dovuto portarla ad una decisione diversa.

4. Hanno proposto controricorso i coniugi Z.- A., per resistere all’avversaria impugnazione.

I controricorrenti, in particolare, assumono l’inammissibilità del primo motivo di ricorso, perchè non si confronterebbe con la motivazione adottata dalla Corte catanese, avendo essa ravvisato la violazione dell’obbligazione incombente sulla parte venditrice, ex art. 1477 c.c., per non aver assicurato la consegna del certificato di abitabilità dell’immobile oggetto del contratto. Quanto, invece, al secondo motivo, si sottolinea come lo svolgimento della CTU si sia reso necessario in quanto, avendo il primo giudice escluso l’esistenza di un inadempimento a carico della parte venditrice, era stata ritenuta superflua ogni indagine tecnica finalizzata a stabilire l’entità del danno risarcibile. Del tutto congrua, poi, sarebbe la motivazione adottata dalla sentenza impugnata per ravvisare l’inadempimento dell’odierna ricorrente, in particolare laddove la Corte etnea – recependo le risultanze della CTU – ha sottolineato come, nella specie, non fosse risultato possibile ottenere il certificato di abitabilità/agibilità per il fabbricato, ovvero per gli immobili (appartamento e garage) oggetto di compravendita, donde, allora, l’inammissibilità, o quantomeno la non fondatezza, del terzo e del quarto motivo di ricorso. Inammissibile, invece, sarebbe il quinto motivo, per il semplice fatto che nessuna richiesta di cessazione della materia del contendere risulta essere stata avanzata nel giudizio di merito, donde, allora, la novità della questione. Del tutto apodittico, poi, sarebbe il sesto motivo, mentre “prima facie” inammissibili sarebbero i due restanti, ovvero il settimo e l’ottavo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Il ricorso va rigettato.

5.1. Il primo motivo è inammissibile.

5.1.1. Sul punto, infatti, va ribadito il principio secondo cui il “vizio di omissione di pronuncia non è configurabile su questioni processuali” (da ultimo, Cass. Sez. 2, ord. 25 gennaio 2018, n. 1876, Rv. 647132-01; nello stesso senso, tra le altre, anche Cass. Sez. 3, sent. 23 gennaio 2009, n. 1701, Rv. 606407-01), donde l’inammissibilità della doglianza volta a censurare l’omissione di pronuncia sulla questione, processuale appunto, relativa alla inammissibilità della produzione documentale effettuata dai coniugi Z.- A..

Non conferente è, del resto, la giurisprudenza citata dalla ricorrente (Cass. Sez. 2, sent. 16 febbraio 2018, n. 3845), che concerne la diversa ipotesi dell’omessa pronuncia su eccezione di diritto sostanziale, che integra – pacificamente – violazione dell’art. 112 c.p.c.

5.2. Il secondo motivo è, invece, in parte inammissibile e in parte non fondato.

5.2.1. Inammissibile è, infatti, la censura che ipotizza la violazione dell’art. 2697 c.c., visto che tale evenienza, “censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni” (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2018, n. 13395, Rv. 64903801), e non quando si censuri – come nella specie – l’apprezzamento che il giudice di merito abbia fatto delle risultanze probatorie.

Quanto, invece, alla dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, (che tende a stigmatizzare il carattere meramente esplorativo dell’espletata consulenza), va richiamato il principio secondo cui “al limite costituito dal divieto per il consulente tecnico di ufficio di compiere indagini esplorative è consentito derogare quando l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con l’ausilio di speciali cognizioni tecniche, essendo, in questo caso, consentito al consulente di acquisire anche ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza” (Cass. Sez. 1, sent. 11 gennaio 2017, n. 512, Rv. 643160-01).

5.3. Il terzo motivo non è fondato.

5.3.1. Non ricorre, infatti, alcuna violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e con essa alcuna motivazione meramente apparente in relazione all’affermata impossibilità di conseguire il certificato di agibilità, in relazione all’appartamento oggetto del contratto intercorso tra le parti.

Sul punto, invero, occorre muovere dal rilievo che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – nel testo “novellato” dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte è, ormai, destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonchè, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01).

Lo scrutinio di questa Corte è, dunque, ipotizzabile solo in caso di motivazione “meramente apparente”, configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01), in quanto affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), o perchè “perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01).

Nel caso che occupa, tuttavia, la ricorrente neppure ritiene di dover evidenziare il profilo di “irriducibile contraddittorietà” o di “inconciliabilità” delle affermazioni contenute nella sentenza impugnata, richiamando un precedente giurisprudenziale (secondo cui è ipotizzabile il vizio motivazionale allorchè la decisione sia assunta con un mero rinvio alle conclusioni rese dal consulente tecnico d’ufficio, senza che il giudice di appello formuli una propria autonoma motivazione che, sulla base degli elementi di prova legittimamente acquisiti al processo, dia sufficiente ragione del proprio convincimento difforme da quello del primo giudice) enunciato, però, da questa Corte con riferimento al vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”, come previsto dal precedente testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

D’altra parte, quanto al rilievo che la Corte territoriale avrebbe “omesso completamente di prendere posizione nella sua sentenza sulle eccezioni normative e tecniche sollevate alle conclusioni del CTU”, deve rilevarsi che nessuna “omissione” è, invece, ascrivibile al giudice di appello. Esso, difatti, ha ritenuto “destituite di fondamento le repliche dell’appellata che ha affermato che l’agibilità è stata alla fine ottenuta”, osservando che tale assunto risultava smentito dalla proprio dalla CTU, avendo essa evidenziato non solo “l’inesistenza del certificato”, ma “anche l’impossibilità di ottenerlo in considerazione delle accertate difformità rispetto al progetto”.

Nè, infine, sembra esservi spazio per ravvisare la violazione delle norme sostanziali (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, artt. 24 e 36, L.R. siciliana 10 agosto 2016, n. 16, nonchè L.R. siciliana 10 agosto 1985, n. 37, e, con quest’ultima, pure la L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 13) che la ricorrente assume essere state trasgredite.

Difatti, “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa” – che è quanto si lamenta nel caso di specie, dal momento che la ricorrente si duole di un cattivo apprezzamento delle risultanze di fatto da parte, innanzitutto, del consulente d’ufficio (e poi del giudice di appello), e ciò anche in ragione della scelta della Corte territoriale di non dare ingresso ai documenti, allegati da essa ricorrente, alle “note critiche” all’espletata CTU – “è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (da ultimo, “ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03, nonchè Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01).

5.4. Il quarto motivo – che censura la decisione di ritenere inammissibili i documenti allegati dalla ricorrente alle “note critiche” alla CTU – è, invece, inammissibile.

5.4.1. La Corte territoriale, infatti, non si è limitata a dichiarare l’inammissibilità della produzione dei documenti “de quibus”, ma li ha pure ritenuti “inconducenti”, sicchè opera – nella specie – il principio secondo cui, ove la sentenza “sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza” (da ultimo, Cass. Sez. 6-5, ord. 18 aprile 2017, n. 9752, Rv. 643802-01).

5.5. Il quinto motivo non è fondato.

5.5.1. Non conferente è il richiamo, operato dalla ricorrente, alla fattispecie della cessazione della materia del contendere, la quale “presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conclusioni conformi in tal senso”, ovvero, che in “mancanza di tale accordo, l’allegazione di un fatto sopravvenuto, assunto come idoneo a determinare la cessazione della materia del contendere da una sola parte” sia “valutata dal giudice, il quale, qualora ritenga che tale fatto abbia determinato il soddisfacimento del diritto azionato, e quindi il difetto di interesse ad agire, lo dichiara, regolando le spese giudiziali alla luce del sostanziale riconoscimento di una soccombenza; qualora, invece, ritenga che il fatto in questione abbia determinato il riconoscimento dell’inesistenza del diritto azionato, pronuncia sul merito dell’azione, dichiarandone l’infondatezza, e statuisce sulle spese secondo le regole generali” (tra le tante, Cass. Sez. 3, sent. 8 luglio 2010, n. 16150, Rv. 613959-01).

Nel caso che occupa, escluso che le parti abbiano rassegnato conclusioni conformi, non può certo ipotizzarsi che la Corte territoriale abbia omesso di pronunciarsi sulla allegazione (unilaterale) di un fatto – il rilascio del certificato di agibilità dell’appartamento – che, nella prospettazione della ricorrente, sarebbe stata idoneo a determinare il soddisfacimento del diritto alla riduzione del prezzo, atteso che, come detto, la sentenza impugnata ne ha invece escluso la ricorrenza, evidenziando non solo “l’inesistenza del certificato”, ma “anche l’impossibilità di ottenerlo in considerazione delle accertate difformità rispetto al progetto”.

5.6. Il sesto motivo non è fondato.

5.6.1. Al riguardo, debbono reiterarsi le medesime considerazioni svolte in relazione al terzo motivo di ricorso.

Va, dunque, ribadito come il sindacato di questa Corte sulla motivazione del provvedimento impugnato sia, ormai, circoscritto entro le maglie del “minimo costituzionale”, e come la ricorrente neppure evidenzi quale sia il profilo di “irriducibile contraddittorietà” o di “inconciliabilità” delle affermazioni contenute nella sentenza impugnata in relazione al “quantum” della riduzione conseguente all’accoglimento della cd. “actio quanti minoris”.

Nè va trascurato, poi, il fatto che “la legge non impone particolari criteri da seguire per la determinazione della somma dovuta per riduzione di prezzo in relazione ai vizi della cosa venduta, ed il ricorso a criteri equitativi ed al prudente apprezzamento del giudice, ancorchè non previsto espressamente dal legislatore nella disciplina normativa della vendita, è consentito in questa materia sia in conformità all’origine e alla tradizione storica dell'”actio quanti minoris”, sia in applicazione di un principio generale, di cui la disposizione contenuta nell’art. 1226 c.c. costituisce una particolare specificazione in tema di risarcimento del danno” (Cass. Sez. 2, sent. 6 ottobre 2000, n. 13332, Rv. 540850-01; nello stesso senso già Cass. Sez. 3, sent. 25 ottobre 1974, n. 3156, Rv. 37164301).

Essendo, dunque, quella effettuata nel caso in esame una liquidazione equitativa trova applicazione il principio secondo cui “l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità”, purchè a condizione che “la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 13 ottobre 2017, n. 24070, Rv. 645831-01; in senso analogo Cass. Sez. 1, sent. 15 marzo 2016, n. 5090, Rv. 639029-01), restando, nondimeno, inteso che “al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo”, è sufficiente che il giudice indichi, anche solo “sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al “quantum”” (Cass. Sez: 3, sent. 31 gennaio 2018, n. 2327, Rv. 647590-01), senza che egli sia “tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata di un univoco e necessario rapporto di consequenzialità di ciascuno degli elementi esaminati e l’ammontare del danno liquidato, essendo sufficiente che il suo accertamento sia scaturito da un esame della situazione processuale globalmente considerata” (Cass. Sez. 3, sent. 10 novembre 2015, n. 22885, Rv. 637822-01).

D’altra parte, nella medesima prospettiva, che è nuovamente, anche in tale ambito, quella di una riduzione in termini minimali dell’onere motivazionale del giudice di merito, si è sottolineato che la liquidazione equitativa del danno risulta insindacabile in sede di legittimità, salvo che i criteri adottati “siano manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto” (da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 25 maggio 2017, n. 13153, Rv. 644406-01; nello stesso senso già Cass. Sez. 3, sent. 8 novembre 2007, n. 23304, Rv. 600376-01, Cass. Sez. 3, sent. 14 luglio 2004, n. 13066, Rv. 574567).

Nessuna di tali evenienze ricorre (anzi, ancor prima, è stata allegata) nel caso di specie.

5.7. Il settimo motivo non è fondato.

5.7.1. Assume la ricorrente, come detto, che il risarcimento riconosciuto ai coniugi Z.- A. è stato ricondotto ad un tipo di danno – quello derivato “dalle difformità e dalle imperfezioni riscontrati nella esecuzione delle opere edili” – che non avrebbe formato oggetto, almeno esplicitamente, della loro domanda. Costoro, infatti, avevano richiesto il risarcimento di quattro precise tipologie di danno: a) per non aver ottenuto l’immobile alla data prefissata; b) per essere stati costretti a locare altro appartamento; c) per aver dovuto fare fronte, con proprie maestranze, all’ultimazione dei lavori; d) per aver dovuto completare, a mezzo di propri tecnici e a proprie spese, le pratiche necessarie per la regolarizzazione urbanistica dell’immobile.

La censura, tuttavia, non è fondata, posto che nel fatto della “ultimazione dei lavori con proprie maestranze” deve ritenersi inclusa, evidentemente, anche la necessità di ovviare ad “imperfezioni e difformità” realizzate, nella esecuzione delle opere edili, da parte del soggetto che vi era, in origine, contrattualmente tenuto.

La sentenza impugnata, pertanto, si sottrae – anche sul punto – all’ipotizzato vizio, e ciò anche alla stregua del principio secondo cui il “giudice di merito, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonchè dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta”, siffatto giudizio, “estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia”, risulta, dunque, “sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione” (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 21 maggio 2019, n 13602, Rv. 653921-01), ipotesi, entrambe, da escludere nel caso di specie, per le ragioni esposte.

5.8. Infine, l’ottavo motivo è inammissibile.

5.8.1. Il “fatto decisivo” del quale il ricorrente assume essere stato omesso l’esame da parte della Corte etnea – donde la censura formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – si identifica, per vero, nell’intero compendio probatorio vagliato dal giudice d’appello, donde, allora, l’inammissibilità del motivo.

Invero, come è già stato affermato, nitidamente, da questa Corte, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (come “novellato” dal già citato D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012), “è evidente l’inammissibilità di censure, come quelle attualmente prospettate dal ricorrente, che evochino una moltitudine di fatti e circostanze lamentandone il mancato esame o valutazione da parte della Corte d’appello ma in realtà sollecitandone un esame o una valutazione nuova da parte della Corte di cassazione, così chiedendo un nuovo giudizio di merito, oppure chiamando “fatto decisivo”, indebitamente trascurato dalla Corte d’appello, il vario insieme dei materiali di causa” (così, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 21 ottobre 2015, n. 21439, Rv. 637497-01).

6. Le spese seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico della ricorrente e liquidate come da dispositivo.

7. A carico della ricorrente sussiste l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condannando C.S. a rifondere a Z.E. e A.A. le spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, più spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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