Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28617 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 15/12/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 15/12/2020), n.28617

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 359/2020 proposto da:

J.L., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

avvocati MASSIMO CARLO SEREGNI, TIZIANA ARESI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5451/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/09/2019 R.G.N. 6440/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/09/2020 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. la Corte di appello di Roma, con sentenza pubblicata il 10.9.2019, ha respinto l’appello proposto da J.L., cittadina (OMISSIS), di etnia (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale il Tribunale aveva, a sua volta, rigettato le istanze volte in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;

2. la Corte territoriale ha ritenuto non credibile il racconto della richiedente secondo cui era fuggita per evitare di essere oggetto di un sacrificio umano nell’annuale festival del villaggio del padre – evidenziando la genericità e la contraddittorietà dell’episodio narrato, l’inverosimiglianza del mancato intervento delle autorità locali e la dissonanza con le notizie reperite sulle condizioni di sicurezza e socio-economiche della Nigeria, da cui risulta che la regione di appartenenza della richiedente (Edo State) non vive una situazione di conflitto armato, non risultando inoltre una situazione di particolare vulnerabilità correlata a condizioni di salute o presenza di figli minori;

3. il ricorso di J.L. domanda la cassazione del suddetto provvedimento per due motivi;

4. il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. il ricorso è articolato in due motivi;

1.1. con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 8, non avendo, – la Corte territoriale – valutato il trattamento disumano subito in Libia;

1.2. con il secondo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 14, essendosi – la Corte territoriale – sottratta all’obbligo di cooperazione istruttoria;

2. il primo motivo è inammissibile trattandosi di questione che non risulta affatto affrontata nel provvedimento impugnato e la ricorrente non indica in quale atto difensivo e in quale momento processuale la questione sarebbe stata introdotta, le ragioni del suo rigetto, con ciò violando gli oneri di specificità dei motivi del ricorso per cassazione dettati dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. nn. 23073 del 2015, 23675 del 2013);

3. il secondo motivo è del pari inammissibile, in quanto la doglianza proposta dal ricorrente costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone sufficiente spiegazione, neppure adeguatamente censurata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 novellato, così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte (sentt. nn. 8053 e 8054 del 2014);

4. questa Corte ha già reiteratamente chiarito quale sia ed in qual senso debba essere inteso il “ruolo attivo” nell’istruttoria della domanda che (l’autorità amministrativa e) il giudice del merito sono chiamati a svolgere in base al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in particolare comma 5 (per tutte v. Cass. n. 8905 del 2019);

5. al riguardo è stato precisato che tale “ruolo attivo” comporta in favore del richiedente l’attenuazione del principio dispositivo proprio del giudizio civile (senza preclusioni o impedimenti processuali) e si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, visto che l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, essendo il richiedente tenuto a presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio; infatti, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sono considerate veritiere soltanto, tra l’altro, “se l’autorità competente a decidere… ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5);

6. pertanto, soltanto se il richiedente il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto l’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto può sorgere il potere-dovere del giudice di accertarli anche d’ufficio, mentre la suddetta cooperazione istruttoria non può riguardare le individuali condizioni del soggetto richiedente, perchè il giudice non può essere chiamato – nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal comma 5 del già citato articolo (adde: Cass. n. 4006 del 2018; Cass. n. 13858 del 2018; Cass. n. 3016 del 2019);

7. nella stessa ottica, se la suindicata allegazione manca perchè il ricorrente non ha correttamente assolto l’onere di indicare i fatti che sono alla base della propria domanda, il giudice non può introdurli d’ufficio nel giudizio, non potendo utilizzare il proprio “ruolo attivo” nell’istruttoria della domanda per supplire alle deficienze probatorie dell’interessato (Cass. n. 19197 del 2015; Cass. n. 27336 del 2018; Cass. n. 3016 del 2019);

8. d’altra parte, laddove taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, il giudice può considerarli “veritieri” soltanto se ritiene che il richiedente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, le sue dichiarazioni siano coerenti e plausibili e, quindi, sulla base dei riscontri effettuati, il richiedente sia, in linea generale, attendibile (D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, più volte richiamato);

9. qualora poi le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili secondo i parametri dettati dalla disposizione testè citata ed in applicazione dei canoni di ragionevolezza e dei criteri generali di ordine presuntivo, l’accertamento così compiuto dal giudice di merito integra un apprezzamento di fatto, riservato al giudice cui esso è devoluto e censurabile in sede di legittimità nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. ex multis Cass. n. 30105 del 2018; Cass. n. 29279 del 2019; Cass. n. 8020 del 2020);

10. nel caso di specie, la Corte di appello, perfettamente consapevole dei principi innanzi richiamati, ha scrutinato con accuratezza le dichiarazioni dell’istante, ritenendo il narrato non credibile in quanto generico e contraddittorio, non ulteriormente approfondito avanti al giudice di merito (ove l’istante si è limitata a ribadire quanto già dichiarato in sede di Commissione territoriale), sia con riguardo alle vicende personali subite sia con riguardo alle condizioni di vita e di sicurezza nel paese di origine (peraltro indagate anche alla luce di fonti autorevoli ed aggiornate);

11. il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile; alla reiezione del ricorso, non consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questa fase, non avendo l’intimato svolto attività difensive;

12. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

 

 

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