Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28616 del 08/11/2018

Cassazione civile sez. VI, 08/11/2018, (ud. 10/10/2018, dep. 08/11/2018), n.28616

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8430/2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

A. SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1643/5/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di FIRENZE, depositata il 28/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 10/10/2018 dal Consigliere Dott. ROBERTO GIOVANNI

CONTI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti della società A. srl (che non resiste in giudizio), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana indicata in epigrafe, con la quale – in controversia concernente gli avvisi di accertamento notificati per la ripresa a tassazione di IRPEF, IRAP e IVA per gli anni 2006, 2007 e 2008 – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso della contribuente, ritenendo che l’Ufficio fosse decaduto dal potere accertativo. Secondo la CTR non poteva trovare applicazione il raddoppio dei termini in relazione all’esito del giudizio penale, nel quale era stato stabilito che le fatture in contestazione erano vere. A tale conclusione si giungeva, peraltro, in relazione al divieto di iniziare un procedimento tributario nel caso in cui un soggetto fosse già stato attinto da un processo penale nel quale il medesimo era stato peraltro assolto, divieto non considerato dall’Agenzia.

2. Con il primo motivo l’Agenzia deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3. La CTR avrebbe errato nell’escludere il c.d. raddoppio dei termini di decadenza sotto il profilo della pronunzia di non luogo a procedere in sede penale dovendosi valutare, ai fini del detto raddoppio, l’esistenza del solo obbligo di denuncia – indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa – e la non pretestuosità delle ipotesi illecite configurate.

3. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 654 c.p.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 20,artt. 2727,2728,2729 e 2909 c.c., nonchè la falsa applicazione degli artt. 11,117 Cost. e art. 4, Prot. 7 della CEDU. La CTR non aveva considerato che la pronunzia resa in sede penale non era di assoluzione ma di proscioglimento resa, peraltro, nei confronti di una persona fisica e non della persona giuridica attinta dall’accertamento fiscale, nemmeno potendosi profilare l’esistenza di un giudicato favorevole penale rispetto all’autonomo procedimento tributario.

4. Con il terzo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e la nullità della sentenza per assenza di motivazione, non potendosi cogliere la ratio della decisione impugnata.

5. Con il quarto motivo si prospetta, infine, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18, 24, 32 e 53,56 e 57 e dell’art. 157 c.p.c.. La CTR non avrebbe considerato che, rispetto all’anno di imposta 2008, pure oggetto di accertamento, non si poteva in alcun modo profilare la questione della tempestività dell’azione accertativa notificata nell’anno 2013, sicchè la sentenza che aveva accolto integralmente il ricorso era viziata.

6. Il terzo motivo di ricorso, che merita una trattazione prioritaria per ragioni di ordine logico, è manifestamente infondato.

6.1 La sentenza esprime pienamente le ragioni poste a base della decisione, favorevole alla contribuente, sul presupposto che non potesse applicarsi il raddoppio dei termini di decadenza in relazione all’assoluzione pronunziata in sede penale e all’impossibilità di svolgere un nuovo procedimento in relazione al divieto di bis in idem, assolvendo in tal modo a quel minimo costituzionale che pure si richiede nelle sentenze di merito, dopo l’intervento chiarificatore delle S.U. civili in esito alla novella dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – cfr. Cass. S.U. n. 8053/2014-.

7. Il quarto motivo di ricorso, che occorre a questo punto esaminare con priorità per ragioni di ordine logico, è infondato.

7.1 Diversamente da quanto ritenuto dall’Agenzia, la CTR ha ritenuto che la rilevanza di un giudizio penale favorevole al legale rappresentante impedisse lo svolgimento del procedimento fiscale a carico della società. Al di là della correttezza giuridica di siffatta affermazione, che sarà esaminata in seguito, non può dirsi che la CTR abbia omesso di provvedere rispetto alla pretesa relativa all’anno 2008.

8. Venendo ora all’esame dei primi due motivi, che meritano una trattazione congiunta, gli stessi sono entrambi fondati.

8.1 Ed invero, sussiste la denunciata violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e della disciplina sul raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento a carico della sentenza qui impugnata, in presenza di una notitia criminis di natura fiscale.

8.2 Ed invero, il D.L. n. 223 del 2006, art. 37, al comma 24, ha modificato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, in base alla previsione che “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti (cioè gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento) sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione”.

8.3 Richiamato quanto precisato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 247/2011, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3 e del D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 26 (convertito nella L. n. 248 del 2006), è stato ritenuto da questa Corte che, ai fini del solo raddoppio dei termini per l’esercizio dell’azione accertatrice, occorre considerare l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato e non rileva nè l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, nè la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso anche il regime di “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (Cass. 9974/2015; Cass. 20043/2015; Cass. nn. 7805, 9725, 9727, 11181 e 27392 del 2016).

8.4 Parimenti fondata è la censura relativa alla violazione degli artt. 11,117 Cost. e art. 4, Prot. 7 della CEDU.

8.5 Va ricordato che la Corte di giustizia dell’Unione Europea, con sentenza resa il 5 aprile 2017 in cause C-217/15 e C/350/15, Orsi, Baldetti, ha avuto modo di precisare che l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europeadeve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale che consente di avviare procedimenti penali per omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto dopo l’irrogazione di una sanzione tributaria definitiva per i medesimi fatti, qualora tale sanzione sia stata inflitta ad una società dotata di personalità giuridica, mentre detti procedimenti penali sono stati avviati nei confronti di una persona fisica. In tale occasione la Corte UE ha ricordato che le sanzioni tributarie ed i procedimenti penali aventi ad oggetto reati in materia di IVA e volti ad assicurare l’esatta riscossione di tale imposta e ad evitare le evasioni integrano un’attuazione degli artt. 2 e 273 della Dir. 2006/112, nonchè dell’art. 325 T.F.U.E. e, quindi, del diritto dell’Unione ai sensi dell’art. 51, par. 1, della Carta, rientrando così nell’ambito di applicazione dell’art. 50 della Carta.

8.6 Il test volto a verificare se vi sia violazione della disposizione appena ricordata impone, quindi, di accertare se sia la stessa persona ad essere oggetto delle sanzioni o dei procedimenti penali. Infatti, il tenore letterale dell’art. 50 ult. cit. lascia chiaramente intendere che esso vieta di perseguire o sanzionare penalmente una stessa persona più di una volta per uno stesso reato, in questa direzione militando altresì le spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali che devono essere prese in considerazione per l’interpretazione della stessa – cfr. art. 6, par. 3, TUE e art. 52 par. 7 Carta dir.fond.UE-. Queste ultime spiegazioni, nello specifico, chiariscono che secondo la giurisprudenza della Corte edu relativa al principio del ne bis in idem detto principio non può, in ogni caso, essere violato se non è la stessa persona ad essere stata sanzionata più di una volta per uno stesso comportamento illecito-conf., quanto alla giurisprudenza di questa Corte, Cass. Penale, Sez. 3, 18 luglio 2017 (ud. 1 marzo 2017), n. 35156, Cass. pen. n. 41681/2018, Cass. pen. n. 55480/2017.

8.7 Orbene, nel caso esaminato dalla Corte UE nella sentenza resa il 5 aprile 2017 le sanzioni tributarie di cui ai procedimenti principali erano state inflitte a due società dotate di personalità giuridica, mentre i procedimenti penali avevano riguardato due persone fisiche, anche se legali rappresentanti delle società. La circostanza che la sanzione tributaria ed i procedimenti penali avessero attinto persone distinte ha quindi indotto la Corte UE a ritenere che mancasse la condizione per l’applicazione del principio del ne bis in idem, pur spettando la verifica concreta al giudice nazionale. Nella stessa occasione, la Corte di giustizia non mancò di osservare che la conclusione raggiunta era in linea con quanto previsto all’art. 4 del protocollo n. 7 alla Cedu – che contiene un diritto corrispondente a quello dell’art. 50 della Carta UE e che, per l’effetto, impone di garantire che l’interpretazione dell’art. 50 della Carta non sia in contrasto con il livello di tutela garantito dalla Cedu (v., Corte giust. 15 febbraio 2016, n. C-601/15 PPU, punto 77). Ed infatti, secondo la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, il fatto di infliggere sia sanzioni tributarie che sanzioni penali non costituisce una violazione dell’art. 4 del protocollo n. 7 alla Cedu, qualora le sanzioni riguardino persone, fisiche o giuridiche, giuridicamente distinte (Corte edu, 20 maggio 2014, Pirttimaki c. Finlandia, par. 51). Principi che la Corte edu ha poi ribadito nella sentenza resa 10 febbraio 2015, nel caso Kiiveri c.Finlandia, p.35.

8.8 Tali principi, in relazione all’efficacia erga omnes delle sentenze della Corte di giustizia, devono ritenersi vincolanti per qualunque giudice nazionale chiamato a decidere controversie relative a questioni già esaminate in via pregiudiziale dal giudice Eurounitario concernenti il diritto UE ove questo risulti applicabile, come è nel caso di specie, per quel che concerne l’IVA – cfr. Cass. n. 22577/2012.

8.9 Analogamente, deve ritenersi che i principi espressi all’interno di sentenze rese dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, per la parte di contenzioso non coperta dal diritto UE, sono parimenti vincolanti ai fini dell’interpretazione del diritto interno in modo conforme alla giurisprudenza medesima – cfr. Corte Cost. n. 348 e 349 del 2007, Corte Cost. n. 49/2015, Corte Cost. n. 204/2016.

8.9 E, d’altra parte, la convergenza raggiunta fra le due Corti sovranazionali circa il livello di tutela di un diritto fondamentale – nel caso di specie il divieto di bis in idem con riguardo a soggetti diversi – non chiama l’interprete a confrontarsi con il problema dell’eventuale contrasto fra i livelli di tutela offerti da diversi parametri normativi e dell’applicazione del canone del più elevato livello di protezione di un diritto fondamentale, autentica Grundnorm delle relazioni interordinamentali, al quale si ispirano non solo la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 53) e la CEDU (art. 53) ma lo stesso ordinamento interno (Corte Cost. n. 317/2009, quanto ai rapporti fra CEDU e legge ordinaria e Corte Cost. n. 24/2017 nei rapporti fra ordinamento interno e diritti fondamentali protetti dalle altre Carte dei diritti internazionali).

8.10 Orbene, tornando al caso di specie, il giudice d’appello, ritenendo che il raddoppio dei termini non trovasse applicazione in relazione al proscioglimento in sede penale del legale rappresentante della società contribuente, non si è conformato ai superiori principi richiamati ai punti 8.1 e ss., omettendo di considerare le condizioni legittimanti l’eventuale raddoppio dei termini di decadenza per l’azione accertatrice (che se sussistenti avrebbero comportato la tempestività dell’atto impositivo), invece limitandosi a ritenere che il raddoppio fosse impedito in ragione dell’esito del procedimento penale conclusosi favorevolmente nei confronti della persona fisica del legale rappresentate della società.

8. Il Giudizio che, si è visto, è invece inidoneo a spiegare efficacia alcuna nel procedimento fiscale a carico della società, proprio alla stregua dei principi giurisprudenziali espressi da questa Corte, dalla Corte di giustizia e dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

9. Resta poi da dire che questa Corte è ferma nel riconoscere al giudice tributario un potere autonomo di valutazione delle risultanze valorizzate in sede di pronunzia assolutoria penale per gli stessi fatti per i quali è stata spiccata l’azione accertativa tributaria – cfr. ex plurimis, Cass. n. 22943/2018, Cass. n. 21292/2018, Cass. n. 16262/2017, Cass. n. 8129/2012.

– Sicchè anche sotto tale profilo la sentenza impugnata è incorsa nel prospettato errore di diritto dedotto nel terzo motivo di ricorso dalla ricorrente.

10. Sulla scorta di tali considerazioni, in accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, disattesi il terzo ed il quarto motivo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Toscana anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, disattesi il terzo ed il quarto motivo di ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR della Toscana anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2018

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