Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28608 del 23/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 23/12/2011, (ud. 12/12/2011, dep. 23/12/2011), n.28608

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25080/2010 proposto da:

C.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 18, presso lo studio dell’avvocato FRISANTI

Pietro L., che la rappresenta e difende giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. rep. 1530 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

26/06/09, depositato il 13/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/12/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito l’Avvocato Frisani Pietro L. difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. COSTANTINO FUCCI che ha

concluso per l’inammissibilità o per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che C.M., con ricorso del 2 novembre 2010, ha impugnato per cassazione – deducendo due motivi di censura -, nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto della Corte d’Appello di Bologna depositato in data 13 ottobre 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso della C. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro dell’economia e delle finanze – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso -, ha respinto il ricorso;

che il Ministro dell’economia e delle finanze, benchè ritualmente intimato, non si è costituito nè ha svolto attività difensiva;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 9.700,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 23 dicembre 2008, era fondata sui seguenti fatti: a) il C., medico in servizio presso l’Azienda U.S.L. di Imola ed asseritamente titolare del diritto al computo dell’indennità di tempo pieno in misura integrale, senza la decurtazione del quindici per cento prevista dalla legge come conseguenza della scelta di esercitare la professione extramoenia, aveva proposto – con ricorso collettivo del 22 maggio 1996 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna; b) il Tribunale adito non aveva ancora deciso la causa al momento della proposizione della domanda di equa riparazione;

che la Corte d’Appello di Bologna, con il suddetto decreto impugnato, ha respinto la domanda, osservando che: a) la lettera della L. n. 724 del 1994, art. 4, comma 3, esclude che per i medici che optino di svolgere l’attività libero-professionale all’esterno delle strutture sanitarie pubbliche l’indennità di tempo pieno non sia assoggettata alla decurtazione del quindici per cento; b) tale tesi è stata integralmente accolta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 330 del 1999; c) “(…) dopo tale pronuncia della Corte costituzionale, i ricorrenti avanti al TAR non potevano nutrire alcuna legittima aspettativa di accoglimento del ricorso nè (…) continuare a vivere nell’incertezza dell’esito dello stesso (…) nella specie non è in gioco l’astratto principio richiamato a funzionale sostegno della stessa L. n. 89 del 2001, bensì la sussistenza in concreto del danno da processo che la medesima ha inteso tutelare e la cui accertata inesistenza comporta l’inapplicabilità dell’invocata tutela risarcitoria (…)”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con i motivi di censura, viene denunciata come illegittima, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, l’affermata piena consapevolezza della manifesta infondatezza della pretesa fatta valere dinanzi al Giudice contabile, nonchè l’apoditticità della motivazione;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito precisati;

che la censura è fondata;

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte – come nella specie – sia stata dichiarata manifestamente infondata (cfr., ex plurimis e tra le ultime, le sentenze nn. 9938 del 2010, 25595 del 2008, 21088 del 2005);

che, nella specie, i Giudici a quibus hanno sostanzialmente – ed erroneamente – fondato la ratio decidendi sul probabile esito del giudizio presupposto – sovrapponendosi inoltre arbitrariamente al giudizio del Tribunale amministrativo, il quale non aveva ancora definito il giudizio presupposto -, senza peraltro accertare la sussistenza dei presupposti della fattispecie di abuso del processo sulla base delle prove eventualmente dedotte dal Ministro resistente;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2;

che il processo presupposto de quo ha avuto una durata complessiva di dodici anni e sette mesi circa (dal 22 maggio 1996, data del ricorso introduttivo del processo presupposto, al 23 dicembre 2008, data del deposito del ricorso per equa riparazione);

che questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 500,00 per ciascuno degli anni di durata complessiva del processo;

che, nella specie, sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, va determinato in Euro 6.300,00 per i dodici anni e sette mesi circa di irragionevole durata, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4, e B, paragrafo 1, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 6.300,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 12 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2011

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