Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28608 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. II, 15/12/2020, (ud. 15/10/2020, dep. 15/12/2020), n.28608

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 10845/16) proposto da:

D.G.M.T., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa,

in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv.

Raffaele De Vito, e domiciliata “ex lege” presso la Cancelleria

civile della Corte di Cassazione, in Roma, p.zza Cavour;

– ricorrente –

contro

D.C.M., (C F.: (OMISSIS)), quale procuratrice speciale di

S.E. e S.B.S., rappresentata e difesa, in

virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv.

Francesco Saverio Castaldi, ed elettivamente domiciliata presso lo

studio dell’Avv. Salvatore Bernardi, in Roma, v. Monte Zebio, n. 32;

– controricorrente –

nonchè

D.C.C., D.C.N., D.C.S.,

S.A., e S.N.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila n. 147/2016

(depositata il 4 febbraio 2016);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15 ottobre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

letta la memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c., dal

difensore della ricorrente.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato nel marzo 2003 i sigg. S.E. e S.B.S. (per il tramite del loro procuratore generale L.V.) convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Sulmona, la sig.ra D.G.M.T. per sentir dichiarare l’inesistenza di qualsiasi diritto reale o personale sul locale terraneo sito in (OMISSIS), identificato in NCEU al foglio (OMISSIS), part. (OMISSIS), (OMISSIS), cat. (OMISSIS), cl. (OMISSIS), con superficie di mq. 88, nonchè sul libretto di deposito acceso dai procuratori della famiglia S. per il versamento dei canoni di locazione corrisposti nel tempo per il godimento del citato bene concesso ai terzi.

Con lo stesso atto introduttivo gli attori chiedevano che venisse accertato il loro diritto di proprietà sulla predetta porzione immobiliare per effetto di una scrittura privata stipulata in data 24 giugno 1946 e, in via subordinata, per intervenuta usucapione, con il conseguente ordine di rilascio, in loro favore, del medesimo immobile oltre alla restituzione del danaro illegittimamente detenuto sul predetto conto e al risarcimento dei correlati danni da liquidarsi in via equitativa.

La convenuta si costituiva ritualmente in giudizio e, oltre a formulare l’eccezione di inammissibilità della citazione per asserito difetto di jus postulandi, proponeva domanda riconvenzionale per ottenere ella l’accertamento dell’acquisto della proprietà del bene controverso per usucapione.

Il Tribunale adito, dopo aver ordinato l’estensione del contraddittorio nei confronti di tutti coloro che fossero risultati proprietari del bene dedotto in giudizio in base ai registri immobiliari, all’esito dell’esperita istruzione probatoria, con sentenza depositata il 25 febbraio 2009, accoglieva – per quanto di ragione – la domanda relativa al dedotto acquisto a titolo di usucapione del citato bene immobile oltre che in relazione alla consegna di parte dei canoni versati sul libretto prima indicato, rigettava la domanda riconvenzionale e condannava la convenuta alla rifusione delle spese giudiziali.

2. Avverso la menzionata sentenza proponeva appello la convenuta soccombente, al quale resistevano gli appellati.

Con sentenza n. 147/2016 la Corte di appello di L’Aquila, in parziale accoglimento del gravame, dichiarava inammissibile la domanda negatoria avanzata in via principale degli originari attori per difetto di interesse, confermando nel resto l’impugnata pronuncia e condannando l’appellante al pagamento delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata decisione la predetta Corte territoriale osservava che, dagli esiti dell’istruzione probatoria svoltasi nel giudizio di primo grado, al di là della contestazione dell’esistenza della scrittura privata di divisione del 18 aprile 1946, era rimasto dimostrato che erano maturate, in capo agli attori S., tutte le condizioni idonee per l’accoglimento della loro domanda di usucapione, pacificamente da ritenersi proposta, ancorchè in via subordinata, con l’atto di citazione.

In particolare, il giudice di appello rilevava come fosse rimasta riscontrata la circostanza che la dante causa degli attori, D.C.T., aveva, a far data dal 1946, iniziato a possedere la stanza controversa uti dominus ed in via esclusiva, essendo stata immessa nel relativo possesso da coeredi e con il loro consenso; pertanto, essendo emerso che i fratelli S. (attori in primo grado) avevano continuato a possedere il bene per il tramite del loro procuratore fino all’intimazione di sfratto per finita locazione sopravvenuta negli anni 1996-1997, doveva ritenersi adeguatamente provato anche il possesso intermedio (in mancanza di prova contraria) così come l’applicabilità della presunzione di possesso intermedio di cui all’art. 1142 c.c..

Per effetto dell’accertata fondatezza della domanda di usucapione doveva, di conseguenza, ritenersi venuto meno l’interesse degli attori-appellati sulla domanda negatoria (accolta dal giudice di primo grado), confermandosi nel resto l’impugnata sentenza.

3. La soccombente appellante D.G.M.T. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza di appello, riferito a cinque motivi.

Gli intimati S.E. e S.B.S. hanno resistito, mediante la costituzione della loro nominata procuratrice generale D.C.M., con un unico controricorso, mentre le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

La difesa della ricorrente ha depositato anche memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 77,82 e 83 c.p.c., sul presupposto dell’asserita invalidità ed inefficacia della procura generale alle liti conferita a L.V. dai fratelli S. (residenti in (OMISSIS)) per la proposizione della domanda giudiziale in primo grado.

2. Con la seconda doglianza la ricorrente ha dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione degli artt. 102 e 354 c.p.c. (sotto il profilo dell’asserita nullità del procedimento per violazione del litisconsorzio necessario), esponendo che la Corte di appello non aveva rilevato la nullità del giudizio di secondo grado per mancata rituale integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i litisconsorti necessari, i quali avrebbero dovuto essere indicati dagli attori per effetto della correlata eccezione da essi formulata con riferimento alla domanda riconvenzionale di usucapione avanzata da ella D.G..

3. Con la terza censura la ricorrente ha prospettato – avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1100,1102,1144,1158,1164,1167 e 2697 c.c., oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, il tutto con riferimento all’accertata sussistenza dei presupposti per l’affermazione dell’acquisto per usucapione come reclamato dagli attori (poi appellati), avuto riguardo alle condizioni oggettive del bene, al pregresso compossesso dello stesso e alla ritenuta configurazione di un possesso esclusivo in capo alla dante causa degli appellati, poi proseguito da questi ultimi per un periodo idoneo all’usucapione.

4. Con il quarto motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione dell’art. 232 c.p.c. e l’omessa pronuncia, da parte del giudice di appello, con riferimento alla non operata valutazione (in relazione al citato art. 232 c.p.c.) della mancata risposta all’interrogatorio formale da parte di L.V., quale procuratore dei germani S., così come legittimamente deferitogli in ordine a circostanze da ritenersi influenti sull’oggetto del giudizio.

5. Con la quinta ed ultima censura la ricorrente ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., avuto riguardo all’esito del giudizio di appello, conclusosi con l’accoglimento parziale del gravame e la dichiarata inammissibilità della domanda negatoria per difetto di interesse dei S..

6. Rileva il collegio che il primo motivo è infondato e, quindi, va respinto.

Infatti, con adeguata e logica motivazione, la Corte di appello di L’Aquila ha, nell’impugnata sentenza, ritenuto che, alla stregua della corretta interpretazione del contenuto complessivo della procura generale rilasciata dai due germani S. residenti all’estero, doveva considerarsi certamente ricompreso nel potere del nominato procuratore anche quello di instaurare giudizi per la tutela dei beni dei mandanti, dovendosi, in ogni caso, ravvisare l’applicabilità della presunzione prevista specificamente dall’art. 77 c.p.c., comma 2.

In particolare, il giudice di appello ha, nell’esaminare la molteplicità dei poteri attribuiti al procuratore speciale, condivisibilmente rilevato che, in virtù dell’ampiezza dei poteri conferiti, la procura generale conteneva il riconoscimento di un esteso mandato in favore del procuratore senza la specifica esclusione di alcun potere, e ciò anche per effetto della citata presunzione rinvenibile dell’art. 77, comma 2 del codice di rito in favore dei cittadini residenti o domiciliati all’estero, comportante – in via generale – un’estensione legale al processo dei poteri rappresentativi sostanziali, necessaria al fine di tutelare sia i terzi che il preponente.

7. La seconda doglianza si profila inammissibile e, in ogni caso, si appalesa infondata.

Occorre, in primo luogo, evidenziare che la ricorrente non indica nel contenuto del motivo quali sarebbero stati gli effettivi litisconsorti necessari (nei confronti dei quali non sarebbe stato integrato il contraddittorio) e tale onere le incombenza ai fini del rispetto del requisito della necessaria specificità della censura.

A tal proposito la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 6822/2013 e Cass. n. 10168/2018) è costante nello statuire che, in tema di litisconsorzio necessario, la parte che denunci per cassazione la violazione dell’art. 354 c.p.c., in relazione all’art. 102 c.p.c., ha l’onere di indicare in ricorso nominativamente le persone che debbono partecipare al giudizio ai fini dell’integrità del contraddittorio, nonchè di documentare i titoli che attribuiscano ai soggetti pretermessi la qualità di litisconsorti, ricadendo sulla parte ricorrente il dubbio in ordine a queste circostanze, tale da non consentire alla Corte di legittimità di ravvisare la fondatezza della dedotta violazione.

In difetto dell’assolvimento di tale imprescindibile onere il motivo va ritenuto inammissibile.

Non si può, peraltro, mancare di rilevare che nell’impugnata sentenza si dà atto che, a seguito di apposita ordinanza del giudice di primo grado del 22 dicembre 2003, l’integrazione del contraddittorio era stata disposta e che la stessa odierna ricorrente (quale convenuta) vi aveva provveduto, notificando loro anche l’atto di appello.

Pertanto nessuna violazione dell’art. 354 c.p.c., si è venuta a configurare.

8. Anche il terzo motivo è da ritenersi inammissibile e, comunque, privo di fondamento.

Con esso, infatti, nel dedurre formalmente le violazioni di legge sostanziali prima richiamate e quelle processuali asseritamente riconducibili artt. 115 e 116 c.p.c., la ricorrente tende a sollecitare una rivalutazione di merito delle risultanze processuali, perfino dell’apprezzamento delle deposizioni testimoniali (di cui vengono riportate ampi stralci) raccolte per giudicare sulla fondatezza della domanda di usucapione.

E’ pacifico (v., tra le tante, Cass. n. 27000/2016 e Cass. n. 1129/2019) che, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione.

E’, quindi, all’evidenza inammissibile il motivo in questione con cui risultano dedotte, apparentemente, una o più violazioni di norme di legge, ma con il quale la ricorrente ha inteso, in realtà, ottenere una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (cfr., ad es., Cass. n. 8758/2017).

Ad ogni modo la Corte di appello ha compiuto un’adeguata valutazione delle risultanze probatorie partendo dal presupposto della reciproca rivendicazione del bene ad opera delle parti sulla base di un assunto compossesso derivante dall’esserne comproprietari a titolo ereditario, motivando – più che sufficientemente – sulla sussistenza del possesso esclusivo della parte immobiliare oggetto di contesa da parte della dante causa dei controricorrenti, poi trasferitosi in capo agli stessi per il tempo necessario ad usucapire (fino agli anni 1996-1997 in cui venne eseguita intimazione di sfratto dal loro procuratore nei riguardi dell’allora conduttore), senza interruzioni, anche in virtù dell’applicazione della presunzione di possesso intermedio prevista dall’art. 1142 c.c., con riferimento alla cui operatività non risultavano essere apportate prove contrarie.

9. Il quarto motivo è da ritenersi infondato.

Si osserva, infatti, che se è pur vero che dalla motivazione dell’impugnata sentenza emerge l’omissione della mancata risposta all’interrogatorio formale deferito al procuratore generale dei S. sulle circostanze (asserite come rilevanti) riportate nella censura, non per questo si può affermare che la sentenza di appello sia incorsa nella prospetta violazione, dovendosi ritenere che essa abbia implicitamente ritenuto ininfluente detta mancata risposta a fronte della complessività ed univocità delle altre risultanze probatorie di segno contrario rispetto alle circostanze indicate in sede di deferimento dell’interrogatorio formale.

Peraltro, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il mancato esercizio della facoltà contemplata dell’art. 232 c.p.c., comma 1, rientrando nell’ambito del potere discrezionale del giudice stesso, non è suscettibile di censure in sede di legittimità.

Infatti, la sentenza nella quale il giudice ometta di prendere in considerazione la mancata risposta all’interrogatorio formale non è affetta da vizio di motivazione nè incorre in una violazione di legge incasellabile nei nn. 3 e 4 dell’art. 360 c.p.c., atteso che l’art. 232 c.p.c., riconnette a tale comportamento della parte soltanto una presunzione semplice che consente di desumere elementi indiziari a favore della avversa tesi processuale (prevedendo che il giudice possa ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio “valutato ogni altro elemento di prova”), onde l’esercizio di tale facoltà, rientrando – come già rimarcato – nell’ambito del potere discrezionale del giudice stesso, non può costituire oggetto di critica in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 9254/2006 e, da ultimo, Cass. n. 4837/2018).

10. Il quinto ed ultimo motivo è anch’esso privo di fondatezza perchè la Corte aquilana ha applicato correttamente il principio della soccombenza non potendosi ravvisare nell’impugnata sentenza una statuizione di rigetto nel merito della domanda di “negatoria servitutis”, essendo rimasta la valutazione della sua fondatezza impedita dal sopravvenuto difetto di interesse conseguente alla rilevata sussistenza delle condizioni per l’accoglimento della ulteriore domanda (alternativa) di usucapione, come già ritenuta fondata dal giudice di prime cure e satisfattiva della pretesa complessiva azionata dai germani S. (e, quindi, assorbente di qualsiasi altra richiesta riguardante la tutela dello stesso bene).

11. In definitiva, il ricorso, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, deve essere respinto, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

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