Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28608 del 08/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 08/11/2018, (ud. 26/09/2018, dep. 08/11/2018), n.28608

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27091/2013 proposto da:

S.S., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GIUSEPPE FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO

ANTONINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANDREA TRENTIN, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, MAURO RICCI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 468/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 27/05/2013 R.G.N. 430/2010.

Fatto

CONSIDERATO

che:

con la sentenza n. 468/2013 la Corte d’Appello di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado, accogliendo l’appello dell’Inps, rigettava la domanda di S.S. volta ad ottenere la pensione di reversibilità in conseguenza del decesso del padre F. avvenuto il (OMISSIS);

a fondamento della sentenza la Corte sosteneva che fosse fondata l’eccezione dell’Inps, formulata fin dalla costituzione in primo grado, secondo cui il ricorrente appellato non avesse mai allegato e neppure provato, fin dal primo grado, la sussistenza del fondamentale requisito della domanda relativo alla cosiddetta “vivenza a carico”, alla data del decesso del padre; nè poteva essere condivisa la difesa dell’appellato il quale riteneva che l’esistenza di tale requisito potesse desumersi dalla dichiarazione con atto fidefacente effettuata nella domanda di pensione presentata all’Inps, la quale invece era priva di rilevanza probatoria;

contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione S.S. con tre motivi al quale resiste l’Inps con controricorso.

Diritto

RITENUTO

che:

col primo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 421 c.p.c. e/o l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), anzitutto perchè la semplice lettura del ricorso introduttivo era sufficiente a smentire la tesi della Corte circa la mancata allegazione dell’esistenza del requisito della cosiddetta vivenza a carico; quanto alla prova, poi, andava considerato anzitutto che l’Inps avesse respinto la sua domanda di reversibilità solo ed esclusivamente per il requisito sanitario, nulla obiettando circa il possesso del requisito della vivenza a carico; inoltre la stessa prova era stata assolta con la dichiarazione resa in sede amministrativa ai sensi della L. n. 15 del 1968, art. 4, la quale era stata corroborata dalle affermazioni e valutazioni contenute nelle due CTU espletate nel corso dei giudizi; in ogni caso il giudice avrebbe dovuto fare applicazione dell’art. 421 c.p.c., in base al quale quando le risultanze di causa offrono significativi dati di indagine e il giudice reputa insufficienti le prove già acquisite lo stesso non può applicare meccanicamente la regola dell’onere della prova, ma deve esercitare il proprio potere-dovere di disporre d’ufficio gli atti istruttori necessari per superare l’incertezza probatoria sui fatti costitutivi allegati dalle parti;

col secondo motivo viene dedotta violazione falsa applicazione delle norme di cui alla L. 4 gennaio 1968, n. 15, art. 4,L. 26 febbraio 1986, n. 45, art. 1, comma 8-bis, anche in relazione agli artt. 2697 e 2727 c.c., nella parte in cui la sentenza aveva affermato che la dichiarazione prodotta in sede amministrativa circa l’esistenza del requisito della vivenza a carico non avesse alcuna valenza probatoria; senza tener conto che in sede amministrativa la sua domanda venne respinta solo per la mancanza del requisito sanitario e senza alcun cenno al requisito in questione;

col terzo motivo viene dedotta, in via subordinata, la questione di costituzionalità della L. n. 222 del 1984, art. 2, comma 3, in relazione alla L. n. 903 del 1965, art. 22, che sostituisce l’art. 13 sub art. 2 della L. 4 aprile 1952, n. 218, che sostituisce del R.D.L. n. 636 del 1939, art. 13, per violazione degli artt. 2,3 e 38 Cost., nella parte in cui subordina la reversibilità della pensione di inabilità del figlio maggiorenne inabile al requisito della cosiddetta vivenza a carico del genitore;

i primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per l’intima connessione che li correla, sono fondati per le ragioni di seguito esposte;

anzitutto come risulta senza contestazioni dal ricorso per cassazione, redatto nel rispetto del principio di autosufficienza, il ricorrente, a differenza di quanto affermato dalla sentenza impugnata aveva, chiaramente e testualmente, allegato alla pagina 3 del ricorso introduttivo l’esistenza del requisito in discorso della vivenza a carico (“Per quanto concerne l’essere a carico è lo stesso ricorrente che nella domanda di pensione dichiara che il padre prevedeva con continuità al proprio mantenimento; d’altra parte la condizione socio-economica del ricorrente, così come risulta anche dalla documentazione medica prodotta, porta a confermare il predetto requisito);

va poi considerato che, come pure risulta pacifico dagli atti, nel corso della fase amministrativa l’Inps aveva respinto la domanda di reversibilità solo per l’asserita mancanza del requisito sanitario, nulla obiettando circa il requisito della vivenza a carico; e che sempre per la mancanza del solo requisito sanitario si concluse negativamente tanto il ricorso amministrativo, tanto l’incontro precontenzioso; e ciò nonostante il ricorrente fosse già stato riconosciuto invalido al 100% in forza di un ulteriore giudizio intervenuto con l’Inps e conclusosi con la sentenza n. 84/2001; secondo una valutazione confermata, in seguito, da due consulenze medico legali che sono state espletate nei gradi del processo di cui qui si discute;

esisteva dunque una espressa e puntuale allegazione sulla vivenza a carico, tanto più corroborata dalla autodichiarazione prodotta in via istruttoria la quale ultima, come questa Corte ha affermato e chiarito anche di recente, in quanto documento, poteva essere valorizzata, occorrendo, sia ai fini dell’attivazione dei poteri d’ufficio ex art. 421 c.p.c. (nn. 22484/2016, 19305/2016), sia ai fini dell’onere di allegazione (n. 17791/2018), a prescindere dalla mancanza di formule sacramentali, del tutto inessenziali (“In tema di domanda giudiziale, non è necessario che l’allegazione di un fatto costitutivo, come di altra circostanza rilevante ai fini del decidere, venga formulata nel contenuto narrativo del ricorso o della memoria di costituzione del convenuto, potendo essere individuata attraverso un esame complessivo dell’atto, senza che occorra l’uso di formule sacramentali o solenni, desumendola anche dalle deduzioni istruttorie e dalle produzioni documentali, secondo una interpretazione riservata al giudice del merito”);

quanto alla prova della stessa “vivenza a carico” va considerato che questo requisito integra una situazione complessa che, come questa Corte ha avuto modo di affermare, non si identifica con la mera coabitazione, nè con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile ed è invece intimamente compenetrata e connessa con lo stesso requisito sanitario e quindi con l’impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa; talchè ai fini della relativa valutazione occorreva prendere in considerazione tutti gli elementi di giudizio acquisiti al processo in base ai quali poter ricostruire la sussistenza o meno di una rilevante dipendenza economica del figlio inabile dal defunto genitore (Cassazione n. 3678/2013);

nel caso in esame tale condizione risultava in fatto, non solo dalla autodichiarazione prodotta dal ricorrente, pure mai specificamente contestata dall’Inps, ma proprio dal contenuto delle perizie le quali, avevano accertato, da una parte, l’invalidità totale e l’impossibilità per il ricorrente di svolgere qualsiasi attività lavorativa e, dall’altra, avevano attestato che le sue patologie di natura psichiatrica fossero risalenti e si fossero sviluppate ed aggravate proprio nell’ambito del contesto familiare all’interno del quale il ricorrente era inserito (nella prima CTU si legge che Sebastiano fosse “rimasto in casa con i genitori” e nella seconda si dice a proposito dei suoi disturbi che essi trovassero “radici nella tragica condizione familiare…nonchè il vissuto in famiglia ove il padre, alcoolista, era violento”);

sulla scorta delle premesse il ricorso deve essere quindi accolto; la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la domanda svolta da S.S. deve essere integralmente accolta con la condanna dell’INPS ad erogargli la pensione di reversibilità con la decorrenza dovuta per legge;

l’Inps deve essere inoltre condannato a rifondere al ricorrente le spese processuali relative ai tre gradi di giudizio nella misura di cui in dispositivo; non sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo dovuto a titolo di contributo unificato come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie la domanda di S.S.; condanna l’Inps alla rifusione delle spese che liquida in Euro 1500 per il primo grado, Euro 1700 per il secondo grado, Euro 2500 per il giudizio di legittimità oltre ad Euro 200 per esborsi per ciascun grado, al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2018

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