Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28607 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. II, 15/12/2020, (ud. 15/10/2020, dep. 15/12/2020), n.28607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 19696/15) proposto da:

A.L., (C.F.: (OMISSIS)), e A.A. (C.F.:

(OMISSIS)), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale

apposta a margine del ricorso, dall’Avv. Fausto Antonucci, e

domiciliati “ex lege” presso la Cancelleria civile della Corte di

Cassazione, in Roma, p.zza Cavour;

– ricorrenti –

contro

C.S., (C.F.: (OMISSIS)), C.A., (C.F.:

(OMISSIS)), e O.A., (C.F.: (OMISSIS));

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila n. 1332/2014

(depositata il 29 dicembre 2014);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15 ottobre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. I sigg. A.L. e A.A., con ricorso del giugno 2008 proposto dinanzi al Tribunale di Chieti – sez. dist. di Ortona, chiedevano la reintegrazione nel possesso o nella detenzione di alcuni locali facenti parte di un immobile sito in (OMISSIS), usati di fatto a decorrere dall’estate del (OMISSIS), quale sede delle associazioni non riconosciute del “(OMISSIS)”.

Il ricorso veniva respinto con ordinanza dell’11 agosto 2008, con condanna di essi ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

I predetti ricorrenti formulavano, in data 22 settembre 2008, reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., avverso la predetta ordinanza di reiezione, il quale veniva, a sua volta, rigettato con ordinanza collegiale depositata il 30 novembre 2009.

Contro tale ordinanza – dichiarativa del rigetto del reclamo con contestuale condanna alle spese dei reclamanti – questi ultimi proponevano opposizione, con atto di citazione del 12 gennaio 2010, ai sensi degli artt. 645 e 669-septies c.p.c..

Decidendo sulla formulata opposizione, il Tribunale di Chieti, con sentenza depositata il 12 dicembre 2012, la rigettava, condannando gli opponenti alla rifusione delle spese di lite oltre che al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

2. La citata pronuncia veniva appellata dagli A. e nella costituzione del solo appellato C.S., la Corte di appello di L’Aquila, con sentenza n. 1332/2014 (depositata il 29 dicembre 2014), rigettava il gravame, con conseguente condanna degli appellanti alla rifusione delle spese del grado in favore dei costituito appellato oltre che al ristoro del pregiudizio per lite temeraria.

A sostegno dell’adottata decisione la Corte abruzzese osservava che l’oggetto sostanziale della controversia consisteva nella valutazione dell’asserita illegittimità della sentenza di primo grado, la quale avrebbe dovuto considerarsi, invero, legittima, poichè l’opposizione all’ordinanza collegiale emessa dal Tribunale all’esito del procedimento di reclamo era da ritenersi inammissibile. E ciò perchè detta impugnazione non poteva considerarsi prevista dall’ordinamento giuridico, posto che gli opponenti avevano richiesto al giudice adito la revoca dell’adottata ordinanza collegiale e non si erano limitati ad invocare la sola modifica della condanna alle spese giudiziali ivi contenuta. Di conseguenza, era corretta l’impugnata pronuncia perchè ove gli opponenti avessero inteso contestare la sola statuizione inerente alle spese avrebbero dovuto attendere la notifica del provvedimento ingiuntivo sulle spese stesse e proporre autonomamente apposita opposizione, e non impugnare dinanzi al giudice ordinario l’intero provvedimento, anche per motivi di merito.

La Corte aquilana, peraltro, evidenziava, con riferimento al merito della causa, che gli A. non avevano dimostrato di essere possessori nè in proprio nè in qualità di asseriti rappresentanti legali e/o presidenti di qualsivoglia associazione dell’immobile dedotto in controversia.

3. I soccombenti appellanti hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza di appello, riferito a quattro complessi motivi.

Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno testualmente denunciato: violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con anche violazione delle norme sulla competenza ovvero rapporti dei giudici monocratici e collegiali, in quanto nella specie non è prescritto il regolamento di competenza ex art. capo terzo-ter e/o art. 360 c.p.c., n. 2 e conseguente nullità ex art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè difetto di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 e violazione dell’art. 348-ter c.p.c..

2. Con la seconda doglianza i ricorrenti hanno dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullità della sentenza o del procedimento-processo sul presupposto che la sentenza appellata era stata illegittimamente emessa dal giudice unico e non dal collegio, con la – peraltro – continua modifica del g.i. nel corso della causa, da cui sarebbe dovuta derivare la nullità processuale e derivata della sentenza stessa ai sensi degli artt. 174,168-bis, 175,156 c.p.c. e segg., rilevandosi, nel caso di specie, anche la violazione degli artt. 75 e segg., artt. 645, 669-septies, quater, 39,51,52,53,54,158,159,160,161, 276, 298, 299 o 300 e segg., art. 126 disp. att. c.p.c..

3. Con la terza censura i ricorrenti hanno prospettato l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. A tal proposito i ricorrenti sostengono che il giudice di appello, nel deliberare sul merito, non aveva deciso su tutte le domande proposte e sulle relative eccezioni attinenti al loro dedotto possesso cui si riferiva l’esercitata azione possessoria.

Inoltre, con tale motivo, i ricorrenti hanno lamentato, nuovamente, l’illegittimità dell’impugnata sentenza laddove con la stessa non era stata considerata ammissibile l’opposizione, avuto riguardo alla disciplina processuale “ratione temporis” vigente anteriormente alla novella di cui alla L. n. 69 del 2009 (ed applicabile nella fattispecie), pure quando fosse stata richiesta la riforma dell’ordinanza adottata in sede di reclamo nella sua interezza, con inclusione, pertanto, anche della statuizione sulle spese.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti hanno denunciato l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio oltre che in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deducendo, in proposito, che il giudice istruttore aveva formalmente chiesto l’acquisizione del fascicolo del reclamo e di quello attinente al provvedimento reclamato, ma che le copie dei relativi fascicoli opposti non erano stati mai rinvenuti agli atti del fascicolo della causai di opposizione alle condanne immediatamente e provvisoriamente esecutive, nonostante la proposizione di apposita eccezione da parte di essi ricorrenti con riferimento a detto vizio istruttorio.

In sostanza, come evincibile dal passaggio essenziale riportato a pag. 36 del ricorso, con quest’ultimo i ricorrenti hanno inteso sostenere che la sentenza appellata e la sentenza di appello avrebbero dovuto ritenersi manifestamente viziate per difetto di motivazione sulle domande ed eccezioni formulate da essi quali opponenti, in quanto, contrariamente a quanto ravvisato con la sentenza di secondo grado, non era stato impugnato il provvedimento (di diniego) cautelare (rectius: possessorio) del collegio emesso ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c., a definizione del procedimento di reclamo, bensì la condanna alle spese operata con detto provvedimento.

Inoltre, con il ricorso i ricorrenti hanno denunciato l’illegittimità dell’impugnata sentenza anche con riferimento alla statuizione di merito adottata, siccome da ritenersi viziata sul piano motivazionale alla stregua delle precedenti censure.

5. Ritiene il collegio che i primi due motivi sono fondati nei limiti e per le ragioni che seguono.

In effetti, essi, per come ricondotti alle prospettate violazioni processuali, si risolvono nella contestazione della sentenza di appello nella parte in cui aveva confermato la legittimità della decisione di inammissibilità dell’opposizione formulata avverso l’ordinanza adottata all’esito del procedimento di reclamo siccome ritenuta riferita all’intero contenuto dell’ordinanza stessa (anche cioè con riferimento al merito della domanda possessoria) e non solo alla condanna alle spese degli odierni ricorrenti, già reclamanti (da ritenersi, invece, ammissibile ma ai sensi dell’art. 645 c.p.c.).

Va, innanzitutto, premesso che, non risultando specificato con il ricorso quando e come essi ricorrenti avevano dedotto anche vizi attinenti alla costituzione del giudice che aveva deciso sull’opposizione avverso il provvedimento emesso all’esito del procedimento di reclamo, le due censure – così come riferite alle corrispondenti violazioni indicate – si profilano, per questa parte, inammissibili.

Con riguardo, invece, alla suddetta centrale questione processuale – relativa alla ritenuta inammissibilità dell’atto di opposizione formulato avverso l’ordinanza collegiale emessa in esito al procedimento di reclamo – va osservato come la Corte di appello aquilana ha ritenuto che – sulla base dell’oggetto dedotto con il citato atto di opposizione – con esso era stato contestato l’intero suo contenuto, ovvero sia quello attinente alla pronuncia sul merito del reclamo possessorio che quello – accessorio – sulla condanna dei reclamanti al pagamento delle spese, siccome soccombenti.

Pertanto, ad avviso del giudice di appello, l’atto di opposizione non poteva ritenersi riguardante solo la statuizione sulla regolazione delle spese e, in ogni caso, ferma l’inammissibilità di ogni tipo di impugnazione sul provvedimento nella parte in cui aveva pronunciato sul merito, gli opponenti, per legittimarsi alla proposizione dell’opposizione (e, quindi, formularla ammissibilmente), avrebbero dovuto essere prima destinatari del provvedimento ingiuntivo diretto al pagamento delle spese liquidate nell’ordinanza emanata in sede di reclamo e, poi, proporre legittimamente opposizione.

Chiariti i termini della portata della sentenza qui impugnata, è importante preliminarmente evidenziare che il provvedimento adottato all’esito del procedimento di reclamo risulta emesso il 30 novembre 2009, ovvero quando (il 4 luglio 2009) era già entrata in vigore la L. 18 giugno 2009, n. 69, con il cui art. 50, comma 1, era stato sostituito dell’art. 669-septies c.p.c., u.c., con applicazione del regime transitorio previsto dall’art. 58 della medesima Legge. Senonchè, occorre mettere in risalto come l’iniziale ricorso possessorio fosse stato proposto nel giugno 2008 e che il reclamo, avverso il provvedimento di rigetto, era stato formulato nel settembre 2008 (per poi essere deciso con ordinanza del novembre 2009).

Pertanto, facendo applicazione della L. n. 69 del 2009, citato art. 58 e poichè il procedimento di reclamo era stato instaurato prima del 4 luglio 2009, deve trovare, nel caso di specie, applicazione la vecchia formulazione dell’art. 669-septies c.p.c., il cui comma 3 disponeva che “La condanna alle spese è immediatamente esecutiva ed è opponibile ai sensi degli artt. 645 e segg., in quanto applicabili, nel termine perentorio di venti giorni dalla pronuncia dell’ordinanza se avvenuta in udienza o altrimenti dalla sua comunicazione.”. Da tanto consegue, quindi, che nella specifica fattispecie, salva la verifica sul rispetto dei termini previsti per legge, l’opposizione ex art. 645 c.p.c. – pur se fosse stato riferita all’intero contenuto dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c. – avrebbe dovuto essere ritenuta ammissibile almeno limitatamente alla parte della pronuncia concernente la condanna alle spese a carico dei reclamanti, con la necessità di statuire, in sede di opposizione, sulla legittimità o meno della stessa, nel mentre, con la sentenza qui resa all’esito dell’opposizione, è stata erroneamente dichiarata l’inammissibilità “in toto” del rimedio impugnatorio.

Al riguardo va rimarcato che le Sezioni unite di questa Corte – con le sentenze nn. 16214/2001 e 2505/2003 – avevano sostenuto che avverso il provvedimento adottato sul reclamo (ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione dello stesso), era da ritenersi legittima l’opposizione di cui all’art. 669-septies (per l’appunto nella sua precedente versione e nei limiti da esso previsti, ovvero limitatamente alla condanna alle spese), i cui termini sarebbero iniziati a decorrere, rispettivamente, o dalla scadenza del termine per proporre il reclamo o dalla pronuncia, se resa in udienza, o dalla comunicazione dell’ordinanza del giudice del reclamo che rendeva definitiva la pronuncia sulle spese.

Ne consegue che, con riferimento alla vicenda processuale cui inerisce il ricorso in questione, l’opposizione di cui all’art. 645 c.p.c., come richiamata dall’art. 669-septies e da estendersi all’art. 669-terdecies, fosse da qualificare ammissibile con riferimento al capo sulle spese, e non potesse essere dichiarata per intero inammissibile solo perchè essa aveva investito anche il merito (su cui pacificamente l’opposizione non era, invece, ammessa).

In altri termini, in tema di procedimento cautelare (o equiparato), avverso l’ordinanza di rigetto del reclamo nei confronti di provvedimento con cui fosse stata disposta la condanna alle spese, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 669-septies c.p.c.c., comma 3 – per il quale la condanna alle spese contenuta nel provvedimento di rigetto era opponibile ai sensi degli artt. 645 c.p.c. e segg. – avendo tale norma una valenza generale, volta a ricondurre al sistema oppositorio disciplinato dal citato art. 645 e segg. ogni statuizione sulle spese (cfr. Cass. nn. 19276 e 23021 del 2012).

Pertanto, in accoglimento – per quanto di ragione – dei primi due motivi del ricorso, deve affermarsi il principio di diritto secondo cui nel procedimento cautelare (e nel procedimento possessorio, in quanto compatibile) proposto prima dell’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, l’ordinanza collegiale sul reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., era impugnabile, quanto alla statuizione sulle spese, con l’opposizione di cui all’art. 645 c.p.c., richiamato dall’art. 669 septies c.p.c., comma 3, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla stessa L. n. 69 (mezzo preclusivo del ricorso straordinario per cassazione).

Il terzo e quarto motivo del ricorso sono inammissibili perchè con essi si deducono vizi motivazionali non più prospettabili ai sensi del disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (come sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. b) del D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, e “ratione temporis” applicabile) non vertendosi – con riferimento ai criticati profili della impugnata sentenza – in tema di omissione o palesemente contraddittorietà del percorso logico-giuridico adottato dalla Corte di appello (cfr., per tutte, Cass. SU n. 8053 e 8054 del 2014).

6. Per effetto della ravvisata fondatezza, nei limiti precedentemente circoscritti, dei primi due motivi, l’impugnata sentenza va cassata con rinvio della causa alla Corte di appello di l’Aquila, in diversa composizione, che, oltre ad uniformarsi all’enunciato principio di diritto, provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso, nei limiti di cui in motivazione, e dichiara inammissibili il terzo e quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi come accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di L’Aquila, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

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