Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28602 del 08/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 08/11/2018, (ud. 19/07/2018, dep. 08/11/2018), n.28602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7800/2016 proposto da:

R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172,

presso lo studio dell’avvocato SERGIO NATALE EDOARDO GALLEANO, che

lo rappresenta e difende che lo rappresenta e difende giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

EUROPA 190, (AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE),

presso lo studio dell’avvocato ROBERTA AIAZZI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ROSSANA CATALDI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3921/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/09/2015 r.g.n. 7281/2012.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 22 settembre 2015, la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da R.A. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto le domande di accertamento della nullità del termine apposto al contratto stipulato con Poste Italiane s.p.a., ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, dal 2 novembre 2009 al 30 gennaio 2010 e dell’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le parti, nonchè di condanna della società datrice alla riammissione in servizio e al pagamento, a titolo risarcitorio, delle mensilità retributive maturate dalla cessazione del rapporto alla riammissione in servizio;

che avverso tale sentenza il lavoratore ricorreva per cassazione con cinque motivi, cui Poste Italiane s.p.a. resisteva con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, in connessione con l’art. 5 della Direttiva UE 1999/70, per assoluta carenza di tutele costituita dall’eliminazione dell’obbligo di indicazione della ragione obiettiva della conclusione del contratto a termine e delle altre misure previste dalla norma UE denunciata, secondo l’interpretazione giurisprudenziale di legittimità asistematica in favore della liberalizzazione dei contratti a tempo determinato acausali Poste Italiane s.p.a. (primo motivo); violazione della clausola 4 e 8.1 della Direttiva UE 1999/70, per l’applica bilità della cd. clausola di “non regresso” anche al primo ed unico contratto a termine, rispetto alla quale incompatibile l’acausalità prevista dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, pertanto da disapplicare in favore dell’art. 1 D.Lgs. cit. (secondo motivo); violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, in connessione con il D.Lga. n. 261 del 1999, art. 3, comma 2 e art. 2697 c.c., per erronea determinazione della percentuale oggetto della clausola di contingentamento sul totale dei dipendenti, compresi quelli addetti ai servizi finanziari e non ai soli addetti al servizio postale, secondo la ratio della norma, come anche illustrata dalla Corte costituzionale (con la sentenza n. 214/2009), nell’onere probatorio datoriale (terzo motivo); violazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2,comma 1 bis, in connessione con il D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6, per omessa pronuncia su questione (relativa al difetto di prova per inidoneità della documentazione prodotta da Poste Italiane s.p.a.) erroneamente ritenuta non posta in causa, dando comunque per scontato il rispetto della suddetta percentuale, computata in base al numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato senza tenere conto di quelli a tempo determinato part time unitariamente fino alla concorrenza dell’orario pieno (cd. fui time equivalent) (quarto motivo); violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, per l’erronea esclusione della sanzione di nullità per l’omessa comunicazione delle richieste di assunzione alle oo.ss., siccome requisito essenziale di validità per la validità del termine apposto ai contratti stipulati in base alla norma denunciata (quinto motivo);

che il collegio ritiene che i primi due motivi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, siano inammissibili;

che essi deducono una questione nuova, in quanto non trattata dalla sentenza impugnata, neppure avendo il ricorrente indicato specificamente, nè trascritto gli atti nei quali l’avrebbe posta nei gradi di merito, con riflesso sulla genericità del motivo, in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, sotto il profilo del difetto di autosufficienza del ricorso (11 gennaio 2007, n. 324; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; Cass. 24 agosto 2016, n. 17315);

che il terzo e il quarto motivo, pure congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;

che la Corte territoriale ha fatto una corretta applicazione dei principi di diritto in ordine alla clausola di contingentamento:

tanto in riferimento alla commisurazione della percentuale del 15 per cento all’intero organico e non soltanto al personale addetto ai servizi postali, posto che, in tema di contratto di lavoro a tempo determinato, il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, si riferisce esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene l’assunzione (quelle concessionarie di servizi e settori delle poste) e non anche alle mansioni del lavoratore assunto, per le ragioni già illustrate nello scrutinio del primo mezzo, coerenti con i precedenti di questa Corte (Cass. 2 luglio 2015, n. 13609; Cass. s.u. 31 maggio 2016, n. 11374);

tanto in riferimento all’esatta esclusione dell’adozione del criterio di computo del cosiddetto full time equivalent (ossia con stima dei contratti a tempo determinato part – time unitariamente fino alla concorrenza dell’orario pieno), non mutuabile dal D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 6, comma 1, per l’accertamento della consistenza dell’organico (“in tutte le ipotesi in cui si renda necessario”), in quanto rispondente ad una finalità di carattere generale: al contrario della norma sul contingentamento, che è specifica in quanto rispondente alla ratio di limitare soltanto il potere di assunzione a termine, nè potendosi dubitare che il riferimento alle assunzioni rimandi coerentemente ad un criterio di computo “per teste”, implicante un’omogeneità di raffronto con l’organico aziendale (Cass. 15 gennaio 2018, n. 753; Cass. 22 marzo 2018, n. 18166; in riferimento all’art. 8, comma 3 c.c.n.l. di Poste del 26 novembre 1994: Cass. 14 febbraio 2014, n. 3031);

che non sussiste alcuna omissione di pronuncia, avendo la Corte territoriale valutato, come adeguatamente provato il rispetto della soglia in base ai dati forniti da Poste Italiane s.p.a., non contestati dal lavoratore, con accertamento (al primo capoverso, punto sub 2 di pg. 6 della sentenza) non specificamente contestato dal ricorrente, se non in base all’applicazione dei superiori principi di diritto, nella determinazione della soglia di contingentamento, disattesi;

che il quinto motivo è inammissibile;

che il ricorrente non ha confutato la prima ratio decidendi della sentenza, di ritenuta assoluzione dell’obbligo di comunicazione delle richieste di assunzione alle oo.ss. provinciali di categoria, mediante produzione di comunicazioni via mail o via fax alle competenti sedi sindacali, ma soltanto la seconda, qui denunciata;

che è noto il principio secondo cui, qualora la decisione di merito si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza (o addirittura mancanza di specifica formulazione) delle censure mosse ad una delle rationes decidendi renda inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, per intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 3 novembre 2011, n. 22753; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. 21 dicembre 2015, n. 25613);

che pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2018

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