Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28596 del 08/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 08/11/2018, (ud. 28/06/2018, dep. 08/11/2018), n.28596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10736-2014 proposto da:

FONDAZIONE PICCOLO TEATRO MILANO – TEATRO D’EUROPA, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA MAZZINI, 27 (STUDIO TRIFIRO’), presso lo studio

dell’avvocato PAOLO ZUCCHINALI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIACINTO FAVALLI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.F., M.C., R.C., R.R.F.,

tutti elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dagli avvocati MARIO ANTONIO FEZZI e STEFANO CHIUSOLO, giusta

delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 635/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 21/10/2013, R.G.N. 2983/2010.

Fatto

RILEVATO CHE:

con sentenza nr. 2001 del 2010 il Tribunale di Milano, disattendendo la qualificazione formale dei contratti di lavoro (“a giornata”) intercorsi tra le parti in causa, accertava la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra la Fondazione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa e gli attuali controricorrenti e condannava la Fondazione al ripristino del rapporto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data di messa in mora; rigettava la domanda riconvenzionale di condanna alla restituzione del TFR, sul presupposto che le somme percepite dai lavoratori si riferivano ad un’indennità speciale, indipendente dalla cessazione del rapporto;

con sentenza nr. 6796 del 2013, la Corte d’appello di Milano, pronunciando sul gravame proposto dalla Fondazione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, in considerazione dello ius superveniens, condannava la Fondazione al pagamento dell’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 che liquidava in dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto; confermava, per il resto, la sentenza di primo grado, riconoscendo la sussistenza di rapporti a tempo indeterminato, con orario part time;

ha proposto ricorso per cassazione, la Fondazione affidato ai seguenti motivi:

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 -, ha dedotto violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte di appello escluso il vizio di ultrapetizione della decisione di primo grado (si assume che il riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato part time, pur a fronte di domanda di accertamento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e con orario a tempo pieno, integrerebbe la violazione de qua);

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – ha dedotto omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (in ordine alla esatta ricostruzione della volontà delle parti in merito alla qualificazione dei rapporti di lavoro);

con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – ha dedotto omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (si contesta sempre l’operata qualificazione, sia pure in relazione alle specifiche previsioni del CCNL del 15.2.1996 e 24.1.2001);

con il quarto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – ha dedotto violazione della parte 5^ dei CCNL del 15.2.1996 e 24.1.2001 e D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, per non aver la sentenza impugnata preso in considerazione la disciplina contrattuale di regolamentazione della materia;

con il quinto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – ha dedotto omesso esame circa un fatto decisivo (per non aver ricondotto i contratti di lavoro alla fattispecie astratta disciplinata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 34 e ss);

con il sesto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – ha dedotto violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 34, per omessa motivazione in ordine alla riconducibilità dei contratti di lavoro alla tipologia di quelli cd. “intermittenti” a tempo determinato;

con il settimo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – ha dedotto violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 10 e della L. n. 230 del 1962, sotto il profilo della motivazione omessa quanto alla natura stagionale dei contratti di lavoro intercorrenti con il personale addetto alle rappresentazioni in palcoscenico ed in sala;

con l’ottavo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – ha dedotto omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione ai criteri di quantificazione della retribuzione mensile (è censurata la sentenza per non aver tenuto conto dei rilievi atti a dimostrazione l’erronea determinazione del parametro retributivo operata dal giudice di primo grado);

con il nono motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – ha dedotto violazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 sulla quantificazione dell’indennità risarcitoria (si censura l’omessa considerazione: – della non rilevante dimensione dell’azienda, – della ridotta anzianità dei lavoratori, – della mancata ricerca di altre attività lavorative);

con il decimo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – ha dedotto omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (omesso esame dell’aliunde perceptum e percipiendum);

con l’undicesimo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – ha dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (la censura riguarda l’omessa pronuncia sulla domanda riconvenzionale di restituzione delle somme versate a titolo di TFR);

hanno resistito con controricorso i lavoratori;

entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO CHE:

il primo motivo è infondato; il principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato può ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti (cfr. ex plurimis Cass nr. 22595 del 2009); di conseguenza non è incorsa nel vizio di ultrapetizione la sentenza impugnata che, nei limiti della domanda di accertamento di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, con orario pieno, ha contenuto l’accoglimento della stessa, con riconoscimento di contratti di lavoro a tempo indeterminato, sia pure con orario parziale;

i motivi dal secondo al settimo sono connessi e possono trattarsi congiuntamente; essi, nella sostanza, censurano l’accertamento di sussistenza di contratti a tempo indeterminato, denunciando, sotto diversi profili, l’operata qualificazione dei rapporti di lavoro da parte dei giudici del merito;

di conseguenza, tutte le censure, al di là della formale rubricazione di alcuni motivi, schermano vizi di motivazione, non investendo, alcuno di essi, specificamente il significato e la portata applicativa di norme di legge;

i rilievi, tuttavia, sono inammissibili per difetto di specificità; parte ricorrente ha omesso di trascrivere il contenuto dei contratti di lavoro, così impedendo ogni valutazione da parte di questa Corte; inoltre, i motivi che involgono questioni di applicazione delle previsioni contrattuali sono carenti anche della trascrizione integrale delle clausole (cfr. Cass. nr. 25728/2013; nr. 2560/2007; nr. 24461/2005) oltre che del deposito integrale della copia dei contratti collettivi, ratione temporis applicabili (Cass. SU nr. 20075/2009) ovvero dell’indicazione della sede processuale in cui detti testi siano rinvenibili (CASS., sez. un., nr. 25038/2013); inammissibile è il deposito del CCNL Impiegati tecnici e dipendenti Teatri, in prossimità della odierna Adunanza, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., non trattandosi di documento relativo alla nullità della sentenza o all’ammissibilità del ricorso;

inammissibili sono, altresì, l’ottavo ed il nono motivo; per come sviluppati, essi censurano l’omesso esame di elementi fattuali ai fini della determinazione del quantum del risarcimento; ed allora, essi non indicano, nei termini rigorosi richiesti dal vigente testo del predetto art. 360 c.p.c., n. 5 (applicabile alla fattispecie) il “fatto storico”, non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053);

il decimo motivo è infondato; questa Corte ha reiteratamente chiarito che l’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, per l’interpretazione costituzionalmente corretta offerta dalla Corte Costituzionale con sentenza nr. 303 del 2011, configura una sorta di penale ex lege ed è liquidata, nei casi di conversione del rapporto, senza avere riguardo ad eventuale aliunde perceptum o percipiendum, trattandosi di indennità onnicomprensiva (in tema, cfr. Cass. nr. 3056 del 2012; nr. 19098 del 2013; nr. 3029 del 2014; nr. 16420 del 2014);

l’undicesimo motivo è inammissibile;

l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello integra un difetto di attività del giudice di secondo grado e, dunque, un error in procedendo; la censura, come prospettata, non può, tuttavia, essere ricondotta al paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 4, non recando alcun riferimento alla nullità della decisione derivante dalla omessa statuizione (cfr. Cass., sez. un., 24 luglio 2013 nr. 17931, paragrafo 6) e limitandosi la parte ricorrente ad evidenziare il vizio motivazionale concernente la domanda riconvenzionale di restituzione delle somme corrisposte a titolo di TFR, sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

conclusivamente, il ricorso va respinto;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, nr. 115, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della Fondazione ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.000,00, per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 28 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2018

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