Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28595 del 08/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 08/11/2018, (ud. 14/06/2018, dep. 08/11/2018), n.28595

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29791/2015 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, ARTURO

MARESCA, ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano

e difendono giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE

MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato MARCO GUSTAVO PETROCELLI,

che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

MANUTENCOOP FACILITY MANAGEMENT S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3541/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/06/2016 r.g.n. 9949/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/06/2018 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato ROBERTO ROMEI;

udito l’Avvocato FABIO PONIS per delega Avvocato MARCO PETROCELLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 18 giugno 2015, la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da Telecom Italia s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato l’illegittimità del trasferimento del ramo d’azienda “Facility Management”, al quale era addetto B.L., dalla predetta società a MP Facility s.p.a. e ordinato il ripristino del rapporto del lavoratore alle dipendenze della società cedente.

Disattesa la preliminare eccezione dell’appellante di difetto di un concreto interesse del lavoratore alla domanda proposta, in assenza di un pregiudizio derivantegli dalla cessione del rapporto per la rilevanza (sotto plurimi profili di affidabilità, stabilità, possibilità di carriera) della controparte datoriale, la Corte territoriale riteneva illegittimo il trasferimento del ramo d’azienda dalla predetta società a MP Facility s.p.a., in difetto del requisito di preesistenza, a norma dell’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, applicabile ratione temporis, di un’articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata: in difetto di prova di ciò, emergendo anzi il contrario dall’accertamento compiuto sulla base delle scrutinante risultanze istruttorie.

Con atto notificato il 17 dicembre 2015, Telecom Italia s.p.a. ricorreva per cassazione con unico motivo, cui resisteva il lavoratore con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.; non svolgeva invece difese l’intimata MP Facility s.p.a..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con unico motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2112,2697 c.c., art. 115 c.p.c., per l’autonomia funzionale del ramo ceduto a MP Facility, siccome idoneo alla produzione di un servizio o di un bene, essendo irrilevante lo svolgimento in esso di mansioni tra loro non omogeneo e così pure l’esiguità dei beni materiali o il livello di specializzazione del personale trasferito.

2. Il motivo è infondato.

2.1. La Corte territoriale ha correttamente applicato i consolidati principi di diritto in materia di trasferimento di ramo d’azienda, a norma dell’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 32, applicabile ratione temporis, secondo cui ne costituisce elemento costitutivo l’autonomia funzionale, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi: e quindi di svolgere, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione finalizzati nell’ambito dell’impresa cedente. E ciò, anche secondo la sentenza della Corte di Giustizia del 6 marzo 2014, in C458/12 (richiamata in particolare da: Cass. 28 settembre 2015, n. 19141 per avere, a fini di applicazione della direttiva 2001/23/CE del 12 marzo 2001, ribadito la necessità di una sufficiente autonomia funzionale, anteriormente al trasferimento, della quota d’impresa ceduta; ferma restando la possibilità, in forza dell’art. 1, par. 1, lett. a, b della citata direttiva, per la normativa nazionale di estensione dell’obbligo di mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti pure nell’ipotesi di non preesistenza del ramo d’azienda), presuppone una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma (Cass. 15 aprile 2014, n. 8757; Cass. 27 maggio 2016, n. 11069; Cass. 31 maggio 2016, n. 11247; Cass. 31 luglio 2017, n. 19034; Cass. 29 novembre 2017, n. 28508).

2.2. Ed è peraltro noto come un ramo d’azienda ben possa essere individuato, quando non occorrano particolari mezzi patrimoniali per l’esercizio dell’attività economica, anche da un complesso stabile organizzato di persone, addirittura in via esclusiva allorquando siano dotate di particolari competenze e stabilmente coordinate ed organizzate tra loro, così da rendere le loro attività interagenti e idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili (Cass. 6 aprile 2016, n. 6693, con richiamo di precedenti di legittimità e della Corte di Giustizia UE in motivazione). Occorre poi ribadire che l’eterogeneità dei servizi svolti dal ramo, rivendicata come non ostativa alla possibilità per una struttura di svolgere una funzione imprenditoriale, sia da ricondurre ai consolidati principi suenunciati di corretta individuazione del ramo d’azienda trasferibile (richiamati, proprio in riferimento puntuale al caso in esame, tra le altre da: Cass. 28 aprile 2014, n. 9361; Cass. 15 dicembre 2015, n. 25229).

2.3. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato in fatto la carenza di prova dell’esistenza di un ramo d’azienda, in esito a puntuale scrutinio degli elementi allegati e acquisiti dalle risultanze istruttorie. E ciò ha congruamente argomentato con piena adeguatezza sotto il profilo logico-giuridico (per le ragioni esposte dal terzo all’ultimo capoverso di pg. 7 della sentenza), sicchè è insindacabile nel giudizio di legittimità, preclusivo di una revisione del giudizio di merito e di una nuova pronuncia sul fatto, siccome estranee alla sua natura e finalità (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394); tanto meno in una prospettiva di ricostruzione dei fatti operata dalla parte in contrapposizione a quella del giudice di merito, incensurabile dal giudice di legittimità, al quale solo pertiene la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412).

2.4. Un tale sindacato è tanto più precluso dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, in difetto di deduzione di omesso esame di un fatto, invero scrutinato, ma della sua valutazione, non censurabile (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).

3. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza. Nulla deve invece essere liquidato a carico dell’intimata MP Facility s.p.a..

P.Q.M.

La Corte

rigetta il ricorso e condanna Telecom Italia s.p.a. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2018

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