Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28593 del 20/12/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 28593 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: MANCINO ROSSANA

ORDINANZA
sul ricorso 4944-2012 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DEtLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI
ANTONIETTA, STUMPO VINCENZO, TRIOLO VINCENZO,
DE ROSE EMANUELE, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro

VISPARELLI DE GIROLAMO GIOVANNI, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso lo studio
dell’avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE, che lo rappresenta

Data pubblicazione: 20/12/2013

e difende unitamente all’avvocato PONZONE GIOVANNI
GAETANO, giusta mandato speciale in calce al controricorso;

– controricorrente avverso la sentenza n. 134/2011 della CORTE D’APPELLO di BARI

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
17/10/2013 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA MANCINO;
udito per il ricorrente l’Avvocato Antonietta Coretti che si riporta agli
scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MARIO
FRESA che si riporta alla relazione scritta.

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Ric. 2012 n. 04944 sez. ML – ud. 17-10-2013
-2-

del 10.1.2011, depositata il 14/02/2011;

r.g.n. 4944/2012 Inps c/ Visparelli De Girolamo Giovanni
Oggetto: operai agricoli a tempo determinato; riliquidazione indennità di disoccupazione;

Svolgimento del processo e motivi della decisione
1. La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 17 ottobre
2013, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a

2. “Visparelli De Girolamo Giovanni,operaio agricolo a tempo determinato,
conveniva in giudizio l’Inps chiedendo venisse accertato il suo diritto alla
riliquidazione dell’indennità di disoccupazione per l’anno 1999 non calcolato,
dall’INPS, ai sensi del D.Lgs. n. 146 del 1997, art. 4, tenuto conto dei minimi
retributivi previsti dalla contrattazione collettiva provinciale, con conseguente
diritto alle differenze tra quanto spettante e quanto percepito;
3. la Corte d’appello di Bari, riformando la sentenza del primo giudice, accoglieva
la domanda;
4. avverso detta sentenza l’INPS ricorre con tre motivi;
5.

la parte intimata si è costituita con controricorso e ha eccepito, in primo luogo,
il giudicato sulla statuizione della Corte di merito, non impugnata dall’INPS,
nella parte in cui ha attribuito efficacia di titolo esecutivo alla statuizione di
condanna alla riliquidazione del trattamento di disoccupazione erogato
all’istante, sulla scorta della deterrninabilità del quantum in base a mera
operazione aritmetica sulla scorta di dati certi e oggettivamente determinabili; ed
, inoltre, l’inammissibilità del ricorso per la mancata formulazione della
dichiarazione di valore della prestazione dedotta in giudizio, a norma dell’art. 38
del d.l. 98 del 2011, conv. in L.111 del 2011;

6. il ricorso non è qualificabile come inammissibile nei due profili eccepiti
dovendosi rilevare, in via preliminare, l’inapplicabilità, ratione tempozis, dell’art.
152 disp. att. c.p.c., come novellato dall’art. 52, comma 6 della legge 18 giugno
2009, n. 69, disposizione che, secondo quanto dispone espressamente la norma
transitoria contenuta nell’art. 58, comma 1, della stessa legge, si applica ai giudizi
instaurati dopo la data di sua entrata in vigore, cioè ai giudizi proposti, in primo
grado, a decorrere dal 4 luglio 2009, atteso che il riferimento ai “giudizi
instaurati”, e non alle “impugnazioni proposte”, rivela l’intento del Legislatore
di riferire le modifiche normative, in tema di enunciazione del valore della causa,

1
r.,g.n. 4944/2012

norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

alle nuove controversie previdenziali introdotte dopo l’entrata in vigore della
legge, tranne le modifiche per le quali è stata esplicitamente prevista
l’applicazione anche ai giudizi pendenti;
7. se tale è, expressis verbis, il dettato normativo relativo all’efficacia, nel tempo, del
precetto introdotto con la novella legislativa (“Le spese, competenze ed onorari
liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali non possono
superare il valore della prestazione dedotta in giudizio”), la sanzione processuale

98/2011, conv. con modif., in L. 111/2011), per la parte che ometta di
dichiarare il valore della prestazione previdenziale pretesa in giudizio, a
prescindere dalla sedes materiae prescelta dal Governo, in sede di decretazione
d’urgenza, e poi dal Legislatore, in sede di conversione, per introdurre
un’espressa sanzione di inammissibilità del ricorso (le disposizioni per
l’attuazione del codice di rito) è condizionata, nella sua efficacia temporale,
all’efficacia del precetto non variata dal Legislatore del 2011, e regolamentata,
per il regime transitorio, dalla disposizione introdotta dall’art. 38, co. 3, del d.l.
98/2011 cit. secondo cui : “In sede di prima applicazione delle disposizioni di
cui al comma 1, lettera b), numero 2), e per i giudizi pendenti alla data di
entrata in vigore del presente decreto, la dichiarazione relativa al valore della lite
deve essere formulata nel corso del giudizio”;
8. inoltre, si appalesa infondata l’ eccezione di giudicato atteso che l’impugnazione
della sentenza di condanna per ragioni attinenti l’ an debeatur impedisce il
formarsi del giudicato anche in merito al quantum, ed all’ammontare delle singole
voci che lo compongono, senza necessità di una specifica impugnazione della
sentenza;
9. la parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 47, terzo comma,del d.p.r.
639/1970 e successive modifiche) e rileva che erroneamente la Corte territoriale
ha ritenuto inapplicabile la regola della decadenza alla richiesta di riliquidazione
di prestazioni previdenziali solo parzialmente riconosciute e liquidate dall’ente
previdenziale;
/O, il motivo è manifestamente infondato, alla stregua di quanto deciso da ultimo
dalla sentenza di questa Corte n. 7245/2012 che ha confermato quanto già
ritenuto dalle Sezioni unite di questa Corte, con la precedente sentenza n.
12720/2009, affermando il principio di diritto secondo cui: “La decadenza di
cui all’art. 47 d.P.R. 30 aprile 1970 n. 639 – come interpretato dall’art. 6 d.l. 29
2
r.g n. 4944/2012

dell’inammissibilità del ricorso (introdotta dall’art. 38, co.1, lett. b), n.2), del d.l.

marzo 1991 n. 103, convertito, con modificazioni, nella 1. 1° giugno 1991 n. 166
– non può trovare applicazione M tutti quei casi in cui la domanda giudi7iale sia
rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla prestazione
previdenziale in sé considerata, ma solo l’adeguamento di detta prestazione già
riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene nei casi in
cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate
interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una componente,

ordinaria prescrizione decennale”;
l’autorità del precedente arresto interpretativo delle sezioni unite della Corte e
l’indiretta conferma della sua correttezza proveniente dallo stesso legislatore
che, da ultimo, con l’art. 38, primo comma, lett. d) del D.L. 6 luglio 2011 n. 98,
convertito in legge n. 111 del medesimo anno, ha aggiunto al citato art. 47 un
ultimo con-mia, del seguente tenore: “Le decadenze previste dai commi che
precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto
l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di
accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal
riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte”,
precisando al quarto comma che: “Le disposizioni di cui al comma 1, lett. c) e d)
si applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in
vigore del presente decreto”, depongono, in definitiva, per l’inapplicabilità
dell’art. 47 del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, prima delle integrazioni apportate
citato art. 38 del D.L. n. 98 del 2011, al caso di richiesta di riliquidazione di
prestazioni previdenziali solo parzialmente riconosciute e liquidate dall’ente
previdenziale;
12 con gli altri due motivi di ricorso l’Istituto ricorrente, lamentando violazione

degli artt. 18,co.18 del d.l. 98/2011 convertito in 1. 111/2011 e degli artt. 44,49 e
53 del CCNL operai agricoli e florovivaisti del 1998 in relazione all’art. 6
comma 4 lettera a) del d.lgs. n. 314/97 e all’art.3 d.l. n.318 del 1996 conv. in
legge n.402 del 1996, nonché in relazione agli artt. 1362, 2120 cod. civ. ed all’art.
4 commi 10 e 11 legge 297/82, censura la sentenza per avere incluso nella
retribuzione da prendere a base per la liquidazione dell’indennità di
disoccupazione, anche la voce denominata “quota di TFR” , la quale invece non
dovrebbe esserlo, per avere – contrariamente a quanto affermato la Corte
territoriale – effettiva natura di retribuzione differita;
3
r.,g.n. 4944/ 2012

nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della

13. i

motivi sono manifestamente fondati, alla stregua di quanto deciso da ultimo

dalla sentenza di questa Corte n. 202/2011 e da numerose altre conformi, con
cui si è enunciato il seguente principio: «Confermandosi quanto già ritenuto
dalla precedente sentenza di questa Corte n. 10546/2007 per cui “Ai fini della
liquidazione delle prestazioni temporanee in agricoltura, la nozione di
retribuzione – definita dalla contrattazione collettiva provinciale, da porre a
confronto con il salario medio convenzionale ex art. 4 del DIgs. 16 aprile 1997

affermato che, sulla base del suddetto principio, la voce denominata “quota di
TFR” dai contratti collettivi vigenti a partire da quello del 27.11.1991, va esclusa
dal computo della indennità di disoccupazione, in considerazione della volontà
espressa dalle parti stipulanti, che è vietato disattendere in forza della
disposizione di cui all’art. 3 D.L. 14 giugno 1996 n. 318 convertito in legge 29
luglio 1996 n. 402, a norma del quale, agli effetti previdenziali, la retribuzione
dovuta in base agli accordi collettivi, non può essere individuata in difformità
rispetto a quanto definito negli accordi stessi. Dovendo escludersi che detta
voce abbia natura diversa rispetto a quella indicata dalle parti stipulanti, non è
ravvisabile alcuna illegittima alterazione degli istituti legali da parte
dell’autonomia collettiva»;
14. l’ interpretazione di cui alle citate pronunzie è stata da ultimo avallata dal
legislatore, il quale, con l’art. 18 comma 18 del DL n. 98/2011, convertito in
legge 111/2011, ha stabilito che: “L’art. 4 del d.lgs. 16 aprile 1997 n. 146 e l’art.
1 comma 5 del D.L. 10 gennaio 2006 n. 2, convertito con modificazioni, dalla
legge 11 marzo 2006 n. 18, si interpretano nel senso che la retribuzione, utile
per il calcolo delle prestazioni temporanee in favore degli operai agricoli a
tempo determinato, non è comprensiva della voce del trattamento di fine
rapporto comunque denominato dalla contrattazione collettiva”.
15.

Sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione,
unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di
consiglio.

16. Il Collegio condivide il contenuto della relazione, ritenendo manifestamente
fondato il ricorso, che va pertanto accolto, con la conseguente cassazione della
sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può
provvedersi nel merito e rigettarsi la domanda.

4
r.,g.n.

494412012

n. 146 – non è comprensiva del trattamento di fine rapporto”, va ulteriormente

17. Alla luce della norma di interpretazione autentica sopravvenuta, che ha

definitivamente consentito di superare i contrasti interpretativi esistenti nella
materia, ricorrono giusti motivi per compensare le spese dell’intero processo.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi

quota di TFR nella base di calcolo dell’indennità di disoccupazione; compensa
le spese del giudizio.
Così deciso in Roma il 17 ottobre 2013
IL PRESIDENTE

accolti e, decidendo nel merito, rigetta la domanda relativa all’inclusione della

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