Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2859 del 06/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 06/02/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 06/02/2020), n.2859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16235-2014 proposto da:

COMUNE DI CARRARA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II n. 18, (Studio

Legale LESSONA), presso lo studio dell’avvocato DOMENICO IARIA, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

F.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO GALLEANO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 669/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 18/12/2013 R.G.N. 692/2013.

Fatto

RITENUTO

Che la Corte d’Appello di Genova, con la sentenza n. 669 del 2013, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Carrara tra F.P. ed il Comune di Carrara, dichiarava la nullità del termine apposto al primo dei due contratti stipulati tra le parti, e confermava nel resto la sentenza di primo grado.

2. F.P. aveva agito in giudizio chiedendo il riconoscimento della nullità del termine apposto ai due contratti stipulati con il Comune, con la conseguente condanna del Comune medesimo, se non a riammetterla in servizio, a corrisponderle il risarcimento del danno stabilito in misura pari a 20 mensilità dell’ultima retribuzione.

3. Il Tribunale nel dispositivo dichiarava la nullità (li entrambi i contratti, mentre in motivazione spiegava che l’illegittimità riguardava solo il primo dei contratti (iniziato il 3 febbraio 2003 con durata prevista sino al 30 giugno successivo, e poi prorogato al 31 luglio 2003), perchè ritenuto del tutto privo di causale espressa, o contenente il rinvio a una causale troppo generica, mentre per quanto riguardava il secondo contratto (stipulato per il periodo 14 novembre 2005-30 giugno 2006), valeva a rendere infondata la domanda attrice il riferimento nel contratto alla assenza per maternità di un’altra educatrice, quale causale del termine finale.

4. Il Comune aveva proposto appello, deducendo sia il contrasto tra la motivazione ed il dispositivo quale causa nullità della sentenza, sia la sussistenza di una sufficiente esplicazione della causale e la mancanza di danno in re ipso.

5. La Corte d’Appello ha accolto solo il motivo relativo alla erronea declaratoria di nullità del secondo contratto come risultante dal dispositivo.

La Corte d’Appello ha escluso la nullità della sentenza ma ha ritenuto che, come affermato nella motivazione della sentenza del Tribunale, il secondo contratto era legittimo, in quanto le ragioni della temporaneità erano state indicate.

Ha escluso la legittimità del primo contratto in quanto le ragioni giustificative del termine non erano esposte in modo adeguato, non essendo sufficiente il richiamo numerico ad un atto amministrativo di cui non risultava conoscenza o conoscibilità da parte della lavoratrice.

6. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il Comune, prospettando quattro motivi di ricorso.

7. Resiste la lavoratrice con controricorso.

8. Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerate.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, e degli artt. 1442 e 2947 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Il ricorrente si duole della ritenuta non fondatezza dell’eccezione di intervenuta prescrizione che aveva formulato in relazione alle richieste risarcitorie della lavoratrice, atteso che il giudice di appello statuiva “anche le altre eccezioni svolte dall’appellante sono infondate”.

Ed infatti, erano ampiamente trascorsi cinque anni, al momento della costituzione in mora del Comune di Carrara da parte della lavoratrice (avvenuta il 22 gennaio 2011) dalla data di sottoscrizione dei contrati a termine in questione (3 febbraio 2003 il primo, e 14 novembre 2005 il secondo), per cui il diritto al risarcimento doveva intendersi prescritto.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Nella sentenza di appello non vi sono riferimenti all’introduzione da parte dell’appellante di una censura relativa al rigetto da parte del Tribunale dell’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno azionato dalla lavoratrice, nè all’intervento di una statuizione di tale contenuto da parte del giudice di primo grado.

Lo stesso ricorrente censura la statuizione “anche le altre eccezioni svolte dall’appellante sono infondate”, da cui non si evince la devoluzione della questione di prescrizione.

Pertanto, il presente motivo di ricorso che non riporta il motivo di appello che si assume essere stato rigettato, viola il criterio (li specificità delle censure, e non consente alla Corte di verificare che la questione sottoposta non sia “nuova”, e sia rilevante, con la conseguente inammissibilità dello stesso.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 segg., del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, e dell’art. 7 del CCNL del 14 settembre 2000, Comparto Regioni ed Enti locali (art. 360 c.p.c., n. 3).

Il Comune prospetta la legittimità dell’apposizione del termine al primo contratto, contestando che il richiamo per relationem alla determina n. 10 del 3 febbraio 2003, contenuta nel medesimo contratto sottoscritto dalle parti, non fosse sufficiente ad esplicitare le ragioni giustificative l’apposizione del termine, e che tale atto non fosse ad effettiva conoscenza o conoscibilità della lavoratrice.

Nella determina era specificato che l’assunzione in questione si era resa necessaria “a seguito dell’attivazione del progetto straordinario dei laboratori didattici per i servizi per l’infanzia”. Ciò, assume il Comune implicava la riorganizzazione dei servizi educativi per l’anno scolastico 2002/2003, comportando la necessità di ricorrere a contratti a termine.

2.1. Il motivo non è fondato.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (si v., Cass., S.U., n. 4911 del 2016, Cass., n. 840 del 2019) è vero che – come già ritenuto da questa Corte (Cass., n. 17155 del 2015) – nell’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato, la specificazione delle ragioni giustificatrici D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1 può risultare “per relationem” anche da altri testi richiamati nel contratto di lavoro, ma l’indicazione deve essere circostanziata e puntuale e deve trattarsi di documenti accessibili agevolmente al lavoratore.

Ciò, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto (Cass., n. 21320 del 2019).

2.2. Nella specie, la Corte d’Appello ha tatto corretta applicazione dei suddetti principi, e con accertamento di merito che si sottrae a censure, ha rilevato che le ragioni giustificatrici della assunzione a tempo determinato della lavoratrice non erano espresse in modo valido, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo numerico, per di più espresso solo nelle premesse, ad un atto amministrativo di cui non risultava in alcun modo l’effettiva conoscenza o conoscibilità da parte della lavoratrice.

Il ricorrente non ha censurato in modo circostanziato nè le modalità del richiamo “per relationem” come accertato dal giudice nella sola insufficiente indicazione numerica, nè la mancanza di elementi sulla conoscenza o conoscibilità dell’atto richiamato da parte della lavoratrice.

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, sotto il profilo della sussistenza del diritto al risarcimento del danno (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3).

Il Comune rileva che la Corte d’Appello ha riconosciuto alla lavoratrice il diritto al risarcimento del danno anche se la stessa aveva omesso di fornire alcuna prova. anche per presunzione, di tale pregiudizio.

Ciò contrasterebbe con la disciplina nazionale e con quella comunitaria, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità e dalla giurisprudenza di merito come richiamata nel corso del motivo.

4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, della L. n. 300 del 1970, art. 18, della L. n. 183 del 2010, art. 32, sotto il profilo della quantificazione del danno (art. 360 c.p.c., n. 3).

Espone il Comune che, anche qualora si ritenesse sussistere il diritto della lavoratrice al risarcimento del danno, erroneamente la sentenza di appello lo avrebbe quantificato in un importo pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, mentre avrebbe potuto essere ristorato facendo riferimento, come parametro tendenziale, alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5.

5. Il terzo e il quarto motivo di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono fondati nei sensi di seguito indicati.

6. Va premesso che la materia (lei contratti a termine nel pubblico impiego contrattualizzato è stata oggetto di significative pronunce della CGUE (tra cui, escludendo il settore della scuola, CGUE sentenza 4 luglio 2006, Adeneler e a., C-212/04; sentenza CGUE 7 settembre 2006, Marrosu Sardino, C-53/04: sentenza della CGUE 7 marzo 2018, Santoro c. Comune di Valderice e a., C-494/ 16) e della Corte costituzionale (sentenza n. 148 del 2018) che hanno concorso. con la giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U., sentenza n. 5072 del 2016) a ridefinire i principi della materia.

La CGUE ha chiarito che la direttiva 1999/70/CE e l’accordo quadro si applicano ai contratti e ai rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e altri enti del settore pubblico.

6.1. In attuazione della direttiva è stato emanato il D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), che ha dettato la nuova disciplina del contratto a termine in conformità alla direttiva (prima del D.Lgs. n. 81 del 2015).

6.2. La CGUE, con le sentenze sopra citate, ha affermato che la clausola 5 dell’accordo quadro non osta, in quanto tale, a che uno Stato membro riservi un destino differente al ricorso abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione a seconda che tali contratti siano stati conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato (laddove l’ordinamento nazionale prevede la trasformazione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato) o con un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico (prevedendosi il solo risarcimento del danno, D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 36).

6.3. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 5072 del 2016, hanno statuito proprio rispetto alla portata applicativa e alla parametrazione del danno risarcibile ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, in presenza di abusiva reiterazione dei contratti a termine.

Le Sezioni Unite, con la citata sentenza hanno avuto modo di chiarire elle il pregiudizio economico oggetto di risarcimento non può essere collegato alla mancata conversione del rapporto: quest’ultima, inflitti, è esclusa per legge e trattasi di esclusione affatto legittima sia secondo i parametri costituzionali che secondo quelli comunitari.

Piuttosto, considerato che l’efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l’ammontare del danno, che sarà normalmente correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile, le Sezioni Unite, con la citata sentenza, hanno rinvenuto nella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, consente pro tanto al lavoratore di essere esonerato dall’onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori.

I principi enunciati dalle Sezioni Unite hanno trovato conferma nella sentenza della Corte di Giustizia 7 marzo 2018, C-494/16, Santoro, e nella sentenza della Corte costituzionale n. 248 del 2018.

6.4. Come questa Corte ha poi avuto modo di affermare (Cass., n. 5229 del 2017) non è seriamente dubitatile che rispetto al contratto a termine prorogato sussistano le medesime esigenze di prevenire gli abusi che hanno ispirato il legislatore comunitario rispetto alla reiterazione dei contratti a termine.

La mancata indicazione delle ragioni giustificative dell’apposizione del termine al contratto, poi prorogato, dà luogo ad una abusiva reiterazione del contratto a termine, che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 1999/70/CE, e dà luogo al diritto al risarcimento del danno secondo i principi sanciti da Cass., S.U., n. 5072 del 2016, non trovando applicazione nel pubblico impiego contrattualizzato, la misura della trasformazione.

Ed infatti la nullità del primo contratto acausale si riverbera anche sulla proroga, con conseguente illegittimità della reiterazione, e conseguente diritto al risarcimento del danno ex Cass. S.U., n. 5072 del 2016.

7. Ne deriva che la sentenza impugnata, che ha confermato la statuizione di primo grado che aveva quantificato il risarcimento nella misura di venti mensilità dell’ultima retribuzione, va cassata in relazione ai suddetti motivi terzo e quarto, accolti nei termini sopra indicati, con rinvio alla Corte d’Appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio, che dovrà applicare alla fattispecie in esame i principi di cui alla sentenza Cass., S.U., n. 5072 del 2016.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso. Rigetta il secondo motivo. Accoglie per quanto in motivazione il terzo ed il quarto motivo di ricorso.

Cassa la sentenza impugnata in ordine ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Genova in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2020

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