Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28583 del 08/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 08/11/2018, (ud. 30/05/2018, dep. 08/11/2018), n.28586

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annnalisa – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18563-2013 proposto da:

S.A.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA VALLINFREDA 28, presso lo studio dell’avvocato ALESSIA

GAETANI, rappresentata e difesa dall’avvocato EDGARDO SILVESTRO

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE NAPOLI/(OMISSIS) CENTRO, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CESARE

FEDERICI 2, presso lo studio dell’avvocato MARIA CONCETTA

ALESSANDRINI, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO GRIMALDI

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5962/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 05/11/2012 R.G.N. 9049/2008.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’Appello di Napoli, a conferma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda di S.A.M., dirigente medico dell’Asl Na (OMISSIS) Centro, rivolta ad ottenere il riconoscimento del diritto alla retribuzione di posizione quale responsabile di struttura complessa, con condanna dell’Asl al pagamento delle differenze retributive maturate dal 1/9/2000;

ha accertato che nel caso in esame, la preposizione dell’appellante all’incarico di responsabile dell’Unità operativa Servizio Tossicodipendenti del Distretto sanitario n. 49 era avvenuta in assenza della procedura specificamente prevista per il conferimento degli incarichi dirigenziali: in particolare era mancata l’indicazione della tipologia d’incarico conferito, così come l’assegnazione degli obiettivi da conseguire;

ha rilevato, inoltre, come, trattandosi dell’assegnazione di una responsabilità in capo a personale dirigente, la fattispecie rientrasse sotto la disciplina dell’art. 19, e non già del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52; che il c.c.n.l. per la dirigenza medica del giugno 2000, in attuazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 24 avesse previsto che la retribuzione di posizione, rivolta a remunerare le reali responsabilità assegnate a ciascun dirigente in base alla graduazione delle funzioni, escludesse l’applicazione dell’art. 2103 c.c. nel caso di assegnazione a funzioni diverse da quelle di appartenenza;

per la cassazione di tale pronuncia ricorre S.A.M. con otto motivi e l’Asl Na (OMISSIS) Centro resiste con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo parte ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per nullità perchè priva di motivazione sufficiente e corretta, requisito indispensabile ex art. 132 c.p.c. per il raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2, e n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 2 e art. 52”.

Deduce che la sentenza d’appello avrebbe erroneamente fondato il rigetto della domanda dell’appellante sul presupposto che il provvedimento dirigenziale n. 289 del 2000 sarebbe stato privo dei contenuti contrattuali indispensabili a far ritenere avvenuto il conferimento dell’incarico in capo alla ricorrente. Quest’ultima, infatti, non ha mai connesso la sua pretesa a una presunta conformità della nomina al procedimento previsto dalla legge e dal contratto collettivo, bensì all’affermazione dei proprio diritto alle maggiori retribuzioni per lo svolgimento di mansioni superiori, ancorchè non formalmente affidate ma svolte in via di mero fatto;

con il secondo motivo contesta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per nullità perchè priva di motivazione sufficiente e corretta, requisito indispensabile ex art. 132 c.p.c. per il raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2, e n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 2 e art. 52, e degli artt. 3,36 e 97 Cost.” Essendo l’incarico durato per un periodo di otto anni, erronea sarebbe la statuizione della Corte d’Appello secondo cui, tra preposizione a un ufficio dirigenziale e assunzione della relativa responsabilità non vi sarebbe una necessaria conseguenzialità;

con il terzo lamenta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per nullità perchè priva di motivazione sufficiente e corretta, requisito indispensabile ex art. 132 c.p.c. per il raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2 e n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Denuncia la contraddittorietà della motivazione nei punto in cui la stessa ha ritenuto che la ricorrente nulla avesse specificato in merito all’attività in concreto svolta, e l’omessa motivazione quanto alla ritenuta inesistenza dell’assunzione delle funzioni e della responsabilità dirigenziale conseguente a conferimento dell’incarico di direzione da parte dell’Asl;

con il quarto motivo lamenta ancora “Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per nullità perchè priva di motivazione sufficiente e corretta, requisito indispensabile ex art. 132 c.p.c. per il raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2, e n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. La sentenza gravata avrebbe omesso di esaminare i circa trenta documenti depositati a corredo dei ricorso di primo grado, di rilevante portata probatoria in merito alla circostanza che la ricorrente, oli,re che la responsabilità professionale di dirigente di struttura complessa, aveva assunto anche la gestione organizzativa e amministrativa dell’ufficio conferitole dall’amministrazione sanitaria;

con il quinto motivo deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per nullità perchè priva di motivazione sufficiente e corretta, requisito indispensabile ex art. 132 c.p.c. per il raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2, e n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24”. La censura contesta alla Corte d’Appello di non aver ritenuto rilevante la mancata contestazione da parte dell’Asl: a) dell’affidamento dell’incarico dirigenziale alla ricorrente; b) della natura di struttura complessa del Sert. L’argomento consistente nell’illegittimità della mancata indicazione della tipologia d’incarico e nella mancata assegnazione degli obiettivi costituirebbe, pertanto, soltanto “…un’illogica e illegittima involuzione dell’iter argomentativo (p. 17 ric.);

con il sesto motivo contesta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per nullità perchè priva di motivazione sufficiente e corretta, requisito indispensabile ex art. 132 c.p.c. per il raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2, e n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 2697 c.c., commi 1 e 2, e al D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 19 e 24”. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto di porre a carico della ricorrente l’onere di provare io svolgimento delle mansioni superiori, dovendo essere lo stesso posto a carico dell’Asl, anche sotto il profilo dell’eventuale revoca dell’incarico dirigenziale conferito alla ricorrente;

con il settimo motivo prospetta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per nullità perchè priva di motivazione sufficiente e corretta, requisito indispensabile ex art.132 c.p.c. per il raggiungimento del suo scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2, e n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra e parti. Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n.3, in relazione al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24”. Nell’affermare che la qualifica dirigenziale non esprime una posizione di carriera necessariamente passibile (li sviluppi, ma esclusivamente l’idoneità professionale della dipendente a svolgere le funzioni a seguito di conferimento d’incarico, la Corte d’Appello avrebbe esulato dei thema decidendum, focalizzato sulla questione di diritto riguardante la possibilità, per il dipendente che abbia svolto – di fatto – funzioni di direzione di struttura complessa, di percepire il corrispondente trattamento economico; che questa non è esclusa dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, il quale, nel negare l’applicabilità dell’art. 2013 c.c. alla dirigenza, non richiama anche l’art. 52 stesso D.Lgs.;

Con l’ottavo e ultimo motivo lamenta, infine “…segue violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per nullità perchè priva di motivazione sufficiente e corretta, requisito indispensabile ex art. 132 c.p.c. per il raggiungimento del suo scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2, e n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 19 e 52, e agli artt. 3,36 e 97 Cost. e art. 2126 c.c.”. Contesta l’appropriatezza dei richiami giurisprudenziali adottati dalla Corte d’Appello rispetto alla fattispecie in esame, e ribadisce l’applicabilità alla dirigenza del principio di diritto secondo cui, al dipendente pubblico che svolge mansioni superiori spetterebbe una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, indipendentemente dal fatto che il suddetto svolgimento avvenga nel rispetto della disciplina vigente, ovvero contra legem. All’applicazione di detto principio alla dirigenza non osterebbe lo speciale status, in virtù del quale a essa non sarebbero estensibili le disposizioni che disciplinano il rapporto di lavoro degli altri dipendenti pubblici; la Corte d’Appello non avrebbe motivato adeguatamente in ordine alle ragioni di tale differenziazione, violando il principio di parità di trattamento, in relazione al diritto costituzionale del lavoratore a percepire una retribuzione proporzionata e sufficiente alla quantità e alla qualità del lavoro svolto; sulla base di tali argomentazioni la censura ribadisce altresì la legittimità della domanda di indennizzo, proposta in via subordinata, ai sensi dell’art. 2041 c.c.;

i motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente per connessione;

essi presentano sia profili d’inammissibilità sia profili d’infondatezza;

quanto ai primi, si rileva che in tema di ricorso per cassazione, la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate nell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, è inammissibile; questa Corte ritiene, infatti, che non sia consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili “…quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi del fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il Giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al Giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al Giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse” (Così, ex multis, Cass. n.19443/2011);

sotto il profilo dell’infondatezza, i motivi, considerati nel loro insieme, tendono a prospettare una tesi, che non merita accoglimento, con la quale si pretenderebbe di sostenere che le funzioni dirigenziali all’interno del pubblico impiego contrattualizzato, sebbene esercitate contra legem, in violazione delle regole che ne disciplinano lo svolgimento, danno sempre e comunque diritto alla retribuzione proporzionata e sufficiente alla qualità e quantità del lavoro svolto;

nell’accertare la mancanza dell’assegnazione di un formale incarico dirigenziale, la sentenza impugnata si pone nel solco della consolidata giurisprudenza di legittimità, la quale ritiene che nell’impiego pubblico privatizzato, a differenza che nel lavoro privato, il formale conferimento costituisce il fondamento della funzione dirigenziale, ed esclude che al dirigente pubblico possa applicarsi l’art. 2103 c.c., giacchè l’incarico identifica la stessa funzione dirigenziale e, quindi, le attività concrete assegnate al dirigente (per una fattispecie riguardante i dirigenti sanitari, cfr. Cass. n. 20817/2008);

oltre a non trascrivere il relativo atto d’incarico, il ricorrente, lungi dal valutare la dirompente necessità della sua sussistenza ai fini dell’impianto difensivo, considera l’accertamento della Corte territoriale alla stregua di una “involuzione dell’iter argomentativo”, insistendo nel configurare la sua domanda unicamente quale riconoscimento di spettanze retributive per lo svolgimento di fatto di funzioni superiori, e non quale inadempimento per mancato conferimento dell’incarico superiore, con ciò confermando della scarsa consapevolezza delle regole che presiedono all’esercizio della funzione dirigenziale;

con riferimento alla struttura complessa del Sert, la Corte d’Appello, ha accertato l’assenza di un atto di macro organizzazione che graduasse la struttura, facendovi derivare le opportune conseguenze circa la natura dell’attività dirigenziale svolta dalla ricorrente;

la Corte territoriale ha attuato i principi affermati da questa Corte, là dove si afferma che, ai fini del riconoscimento delle funzioni di dirigente di struttura complessa, cui è correlato il trattamento economico di posizione, il presupposto indispensabile è costituito dalla graduazione della stessa, assunta con un atto di macro organizzazione, di natura costitutiva, normalmente di competenza delle parti sociali a livello decentrato, mediante il quale le mansioni dirigenziali vengono “pesate” al fine di stabilire quali tra esse sono ricollegabili alla direzione di struttura complessa (cfr. in materia di sanità pubblica la recente Cass. n. 4351/2018);

le deduzioni di parte ricorrente non si confrontano minimamente con la ratio della sentenza impugnata la quale, argomentando in modo chiaro, coerente ed esaustivo, ha accertato che la ricorrente non aveva allegato di avere assunto la gestione organizzativa dell’ufficio conferitole, fatto nel quale si sostanzia la responsabilità dirigenziale, nè di aver ricevuto l’assegnazione degli obiettivi, oltre a non aver provato che il Sert del Distretto sanitario n. 49 della Asl Na (OMISSIS) Centro era stato quotato come struttura complessa;

nè vale lamentare, come fa la ricorrente, che la domanda non è tesa a rivendicare la mancata attribuzione formale dell’incarico dirigenziale di struttura complessa, bensì soltanto ad ottenere la retribuzione proporzionata all’attività dirigenziale superiore effettivamente svolta;

come correttamente afferma la sentenza impugnata, la ricorrente è già in possesso della qualifica dirigenziale, e, pertanto, la norma applicabile al caso non è il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, previsto per i soli dipendenti a tempo indeterminato non facenti parte dell’area dirigenziale, bensì l’art. 19 dello stesso, rivolto agli incarichi di funzioni dirigenziali;

in definitiva, essendo i motivi infondati, il ricorso va rigettato; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso nei confronti della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4500 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 30 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2018

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