Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2858 del 06/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2858 Anno 2018
Presidente: CAMPANILE PIETRO
Relatore: ACIERNO MARIA

ORDINANZA
sul ricorso 5903-2016 proposto da:
ALI SHARAFAT, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CATANZARO n. 9, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO
MARIA PAPADIA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente contro
MINISTERO DELL’INTERNO (c.f. 80014130928), in persona del
legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende opelegis;

– controricorrentenonchè contro

Data pubblicazione: 06/02/2018

COMMISSIONE

INTERNAZIONALE

PER

IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE
INTERNAZIONALE DI ROMA, PROCURATORE GENERALE
C/0 LA CORTE DI

CASSAZIONE e

PROCURATORE

GENERALE C/0 CORTE D’APPELLO ANCONA;

avverso la sentenza n. 73/2016 della CORTE D’APPELLO di
ANCONA, emessa il 13/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 14/11/2017 dal Consigliere Dott. MARIA ACIERNO.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con sentenza del 13 gennaio 2016 la Corte d’appello di Ancona ha
rigettato l’appello proposto da Ali Sharafat, cittadino pakistano,
avverso l’ordinanza del Tribunale che, in conferma del provvedimento
della Commissione territoriale, aveva negato all’istante sia il diritto alla
protezione internazionale che il diritto alla protezione per motivi
umanitari.
l-la rilevato la Corte territoriale:
a)

che gli episodi di persecuzione e violenza narrati dall’istante

fossero scarsamente credibili, e comunque ascrivibili a delinquenza
comune, senza che potesse rilevare il mero richiamo al contesto sociopolitico generale del Paese di provenienza, perché esso non poteva, di
per sé solo, giustificare la concessione della protezione internazionalè
senza un ragionevole collegamento con la situazione individuale del
richiedente;

Ric. 2016 n. 05903 sez. M1 – ud. 14-11-2017
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– intimati –

b)

che mancassero anche i presupposti della protezione sussidiaria,

perché non appariva ravvisabile una situazione di violenza
indiscriminata tale da porre il richiedente in una situazione di pericolo
per il fatto stesso del suo rientro in Pakistan, ai sensi dell’art. 14, d.lgs.
251/2007;
che la circostanza che Ali Sharaf, prima di venire in Italia, sia

rimasto in Grecia per un lungo periodo senza chiedere alcuna
protezione confermasse che la sua volontà di lasciare in Pakistan non
fosse stata determinata da situazioni giustificanti la protezione
internazionale:
d)

che difettassero anche i presupposti per la concessione di un

permesso di soggiorno per motivi umanitari, non essendo state allegate
specifiche circostanze a dimostrazione di lesioni di diritti umani di
particolare entità.

Per la cassazione della suddetta pronuncia ricorre Ali Sharafat,
affidandosi a quattro motivi, cui resiste con controricorso il Ministero
dell’interno.

Con il primo motivo viene denunciata la violazione di legge e x art. 360,
nr. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 3 e 5, d.lgs. 251/2007, perché la Corte
d’appello non ha applicato il principio dell’onere probatorio
attenuato” e non ha valutato la credibilità del richiedente alla luce
dell’art. 3, c. 5, d.lgs. cit.
Deduce il ricorrente che gli atti di violenza subiti in Pakistan,
determinati da motivi di contrasto religioso e sfociati nell’uccisione del
padre e dello zio, erano stati adeguatamente documentati nei gradi di
merito, unitamente alla situazione generale del suo Paese. Null’altro

Ric. 2016 n. 05903 sez. M1 – ud. 14-11-2017
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c)

poteva pretendersi da lui alla luce della corretta interpretazione dell’art.
3, c. 5, d.lgs. 251/2007.
Con il secondo motivo viene denunciata la violazione di legge ex art.
360 n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 14, lett. c), d.lgs. 251/2007, perché
la Corte d’appello, nonostante la corposa allegazione, non ha

straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata, e ha
mancato di svolgere l’indagine officiosa ad essa imposta dalla legge.
Con il terzo motivo viene lamentata la violazione di legge ex art. 360,
or. 3, c.p.c., in relazione all’art. 14, lett. a e b, d.lgs. 251/2007, perché la
Corte d’appello non ha riconosciuto la valenza della “fa.twa” quale
pericolo attuale ed effettivo di condanna a morte del ricorrente.
Deduce il ricorrente di essere stato colpito dalla pronuncia di una
“fatwa” (condanna a morte) dal capo della moschea locale per aver
dato aiuto a dei cristiani, e ciò vale ad integrare il presupposto ex art.
14, lett. a) e b), d.lgs. 251/2007.
Con il quarto e ultimo motivo viene lamentata la violazione di legge tn:
art. 360, or. 3, c.p.c., in relazione all’art. 5, c. 6, e art. 19 digs.
286/1998; art. 32, d.lgs. 25/2008; art. 10, c. 3. Cost.: per avere la Corte
d’appello escluso aprioristicamente che l’istante rientrasse nelle
categorie soggettive per cui sono ravvisabili gravi lesioni dei diritti
umani, nonostante sia stato perseguitato e minacciato solo per avere
aiutato persone di religione diversa. La Corte ha ritenuto che il
permesso umanitario rientrasse nella domanda di asilo, rigettandone
aprioristicamente il riconoscimento sulla base degli stessi presupposti.

I motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, in quanto
logicamente connessi e fondati in larga parte su argomentazioni
sostanzialmente analoghe.
Ric. 2016 n. 05903 sez. M1 – ud. 14-11-2017
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riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino

La Corte territoriale .ha ritenuto che non risultassero riscontrabili agli
atti specifiche situazioni soggettive (sia pure intendendo in senso
elastico la necessità di riscontri individualizzanti) che potessero
giustificare la protezione internazionale o, in subordine, umanitaria.
Tale giudizio è sorretto da una valutazione di totale inattendibilità di

censurabile in questa sede, implicando accertamenti di merito che sono
per loro natura estranei al giudizio di legittimità. ..ppare chiaro che il
giudice di merito ha effettuato la valutazione della credibilità soggettiva
del richiedente applicando i principi sanciti da cluesta Corte, alla
stregua dei criteri sanciti dall’art. 3, d.lgs. 251/2007 (Cass.
14157/2016). Nel caso di specie, pur tenendo presente il principio
dell’onere probatorio attenuato”, la Corte territoriale ha recisamente
negato la sussistenza, sul piano fattuale, di qualsiasi presupposto che
potesse legittimare una misura di protezione internazionale o, in
subordine, di protezione umanitaria, e ciò ha conseguentemente
escluso la possibilità stessa per il giudicante di attivare d’ufficio
strumenti istruttori, non essendo) sufficiente, di per sé, il inero
riferimento al contesto socio-politico

generale del Paese

di

provenienza. I dedotti -vizi motivazionali e di violazione di legge in
realtà consistono in censure alle valutazioni e agli accertamenti di fatto
compiuti dalla Corte d’appello e, come tali, sono inammissibili.
Esclusa la sussistenza dei presupposti fattuali per il riconoscimento
della protezione internazionale e umanitaria, va da sé che non
sussistono nemmeno • i presupposti per il riconoscimento dell’asilo
costituzionale ex art. 10, comma 3, Cost., non essendo esso dotato di
una propria autonomia in quanto pienamente attuato e regolato dalla
legislazione ordinaria attraverso i tre istituti di protezione (Cass.
10686/2012, 16362/2016).
Ric. 2016 n.’ 05903 sez. M1 – ud. 14-11-2017
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quanto dedotto, che, in quanto adeguatamente motivata, non è

Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato, con applicazione del
principio della soccombenza in ordine alle spese processuali, liquidate

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Curo 2010 per
compensi e in curo 100 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 14 novembre 2017.

come in dispositivo.

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