Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28578 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 15/12/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 15/12/2020), n.28578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33835-2018 proposto da:

A.G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BENACO

15, presso lo studio dell’avvocato ANNA PAOLA TODINI, rappresentata

e difesa dall’avvocato GESUALDO ANTONIO PALA;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA RELIGIOSA DI ROMA DELLA CONGREGAZIONE DELLE SUORE

ADORATRICI DEL SANGUE DI CRISTO, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DI VILLA SEVERINI 54, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO

RIDOLFI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIUSEPPE TINELLI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2583/2018 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 19/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/10/2020 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La provincia religiosa di Roma della congregazione delle Suore adoratrici del sangue di Cristo impugnava, con distinti ricorsi, gli avvisi di accertamento Ici, per il recupero della differenza di imposta, relativamente all’annualità 2010-2011 e per il recupero dell’Imu per le annualità 2012-2013, riconoscendo la sussistenza di un parziale debito di imposta in relazione ad taluni immobili e contestando invece la debenza dell’imposta per gli altri cespiti, in relazione alla quale invocava il D.P.R. n. 504 del 1992, art. 7, lett. i. A tal fine deduceva sia la presenza del requisito soggettivo (in quanto ente non commerciale) che quello oggettivo in quanto gli immobili erano destinati esclusivamente allo svolgimento delle attività indicate come meritevoli di ottenere il beneficio.

La CTP di Viterbo, riuniti i ricorsi, li accoglieva con riferimento all’Ici, affermando che il Comune non potesse richiedere il versamento dell’imposta, nonostante la decisione del Tribunale dell’unione Europea che aveva qualificato detta esenzione come aiuto di Stato, in assenza di una legge statale che la legittimasse; con riferimento all’IMU riteneva che era stata osservata la disciplina che richiede per l’esenzione che le attività siano svolte con modalità non commerciali, atteso che le rette scolastiche erano destinate a contribuire a coprire i costi dell’ente, almeno parzialmente.

La sentenza veniva impugnata dall’amministrazione comunale dinanzi alla CTR del Lazio che respingeva il gravame richiamando le argomentazioni dei primi giudici; in particolare, affermava la sussistenza del requisito soggettivo e di quello oggettivo per quanto riguarda l’ICI, ritenendo che l’attività didattica svolta era indirizzata a tutti, senza discriminazioni, che il bilancio aveva chiuso in pareggio con conseguente assenza di distribuzione di utili, il cui divieto era sancito nello statuto.

Con rifermento all’IMU, riteneva che l’attività era stata svolta con modalità non commerciali, evidenziando come l’attività era paritaria rispetto a quella statale, non venissero discriminati i richiedenti l’iscrizione, sussistesse l’obbligo di accoglienza di portatori di handicap, l’attività era svolta a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico tenuto conto che coprivano solo una frazione dei costi effettivi del servizio.

Avverso la sentenza n. 2583/2018 depositata il 19.04.2018, il Comune di Viterbo propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

La contribuente resiste con controricorso, opponendo l’infondatezza del ricorso per cassazione, illustrando le propria attività difensiva nelle memorie depositate in prossimità dell’udienza.

Diritto

MOTIVI DI DIRITTO

2. Con il primo motivo di ricorso, si denuncia la nullità della sentenza e la violazione dell’art. 132 c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost., per motivazione nulla, inesistente o contraddittoria; per avere i giudici regionali ritenuto sussistente – quanto all’ICI – il requisito oggettivo contraddicendo le conclusioni della giurisprudenza di legittimità; e per aver argomentato illogicamente – con riferimento all’IMU – richiamando dapprima i presupposti di cui alle disposizioni del D.M. n. 200 del 2012, per poi affermare la sussistenza dei requisiti invece previsti per l’esenzione ICI dal D.P.R. n. 504 del 1972, art. 7, lett. i.

3. Con la seconda censura, che prospetta violazione dell’art. 115 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., l’ente ricorrente lamenta che i giudici di appello abbiano affermato la sussistenza del requisito oggettivo facendo riferimento ad elementi probatori mai introdotti nel giudizio dall’ente religioso, avendo quest’ultimo allegato oltre all’atto impugnato, l’atto di costituzione dell’ente, il decreto di parificazione del Ministero della P.I. e il regolamento di cui al D.M. n. 200 del 2012, art. 3. Con la conseguenza che gli elementi caratterizzanti l’assenza della natura commerciale o dell’attività non potevano essere attinti dai documenti prodotti, in quanto l’atto costituito e lo statuto dimostrano solo il programma intenzionale dell’ente religioso ma non anche l’adozione dei comportamenti corrispondenti ad esso. In mancanza dei rendiconti annuali, dei contratti e degli statini paga, la CTR non avrebbe potuto affermare la gratuità del corrispettivo ricevuto dagli alunni, risultano peraltro irrilevante il carattere simbolico delle rette.

Aggiunge l’amministrazione comunale che l’ente contribuente non aveva fornito la prova nel giudizio di merito nè degli importi dei corrispettivi, nè dell’ammontare delle spese sostenute, nè della gestione economica dell’attività, nè dell’accoglienza di portatori di handicap, nè dell’applicazione della contrattazione collettiva ai docenti.

4. Con il terzo mezzo, l’ente locale lamenta la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. i, per avere la CTR del Lazio omesso di valutare sia l’utilizzazione diretta degli immobili da parte della provincia religiosa sia la destinazione concreta ed effettiva ad una delle attività tipizzate con modalità non commerciali.

Ed anzi, violando il decidente le disposizioni in esame laddove ha ritenuto la natura non commerciale pur in presenza del pagamento di corrispettivi, elemento rivelatore invece dell’esercizio di un’attività con modalità commerciale; attribuendo inoltre rilievo al fatto che la gestione in perdita potesse qualificare come non commerciale l’attività svolta dall’ente religioso.

5. Con l’ultimo motivo, si lamenta la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.M. n. 200 del 2012, artt. 3 e 4, per avere il giudicante affermato che i presupposti dell’Imu dovessero essere individuati nelle norme citate in rubrica, per poi affermare che l’imposta non era dovuta ai sensi del D.P.R. n. 504 del 1992, art. 7, lett. i).

6. La prima e l’ultima censura che deducono contraddittorietà della motivazione, sotto il duplice profilo del contrasto degli argomenti adottati con i principi della giurisprudenza di legittimità, nonchè per aver assunto a base del ragionamento – per l’accertamento dei requisiti dell’esenzione IMU – correttamente le disposizioni di cui al D.M. n. 200 del 2012, salvo concludere che l’imposta non è dovuta in forza D.P.R. n. 504 del 1992, art. 7, lett. i), nonchè violazione di legge sotto detto ultimo profilo, sono prive di pregio.

Si osserva che la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, (Cass. 13248/2020).

Inoltre il Vizio di motivazione contraddittoria sussiste solo in presenza di un contrasto insanabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata che non consenta la identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, sicchè detto vizio non è ipotizzabile nel caso in cui la contraddizione denunziata riguardi le valutazioni contrastanti con la giurisprudenza di legittimità, nè in caso di contrasto tra segmenti logici della motivazione ed elementi o dati ad essa esterni, recuperati da provvedimenti giurisdizionali. (V. Cass. 15 luglio 2003, n. 11056). Del resto, la circostanza che i giudici di appello abbiano argomentato la non commercialità dell’attività didattica richiamando i criteri di cui al D.M. cit., artt. 3 e 4, esclude la rilevanza – ai fini della valutazione circa la contraddittorietà della motivazione – del riferimento ultimo alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 7 cit., emergendo con chiarezza, al contrario, che nella valutazione in ordine alla natura dell’attività didattica, la CTR ha tenuto ben presente i requisiti dettati per l’esenzione IMU.

Nel caso di specie, i giudici di appello hanno ampiamente argomentato in ordine alla natura non commerciale dell’attività didattica svolta dall’ente, sia con riferimento all’Ici che con riguardo all’IMU, con la conseguente esclusione dei dedotti vizi di motivazione.

7. La terza censura è fondata, assorbita la seconda.

Invero, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 22223 del 2019; Cass. n. 7415 del 2019; n. 18831/2020) è concorde nel ritenere che il D.L. n. 203 del 2005, art. 7, comma 2 bis, aggiunto dalla L. di conversione n. 248 del 2005, dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 133, ed infine sostituito dal D.L. n. 223 del 2006, art. 39, convertito nella L. n. 248 del 2006, ha esteso l’esenzione dall’ICI disposta dalla citata L., art. 7, comma 1, lett. I), alle attività che non avessero esclusivamente natura commerciale; ed è questa la disposizione normativa da applicare “ratione temporis” alla specie in esame, concernente il pagamento ICI annualità 2010-2012, prima delle modifiche apportate alla norma in esame dal D.L. n. 149 del 2013, art. 11 bis, convertito con modificazioni nella L. n. 13 del 2013; ora, prima della modifica legislativa da ultimo citata, la giurisprudenza di questa Corte, con indirizzo costante, ha stabilito che l’esenzione dall’ICI non spetta ad un fabbricato, nel quale un ente religioso, quale è nella specie la contribuente, svolga un’attività a dimensione imprenditoriale anche se non prevalente; e, nella specie, non è contestato che l’ente religioso anzidetto svolgesse nei locali in questione attività scolastica e quindi diversa da quella di religione e dal culto; occorreva pertanto valutare se l’attività svolta, esercitata da detto ente religioso, potesse ritenersi finalizzata ad uno degli scopi istituzionali protetti, di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i); era necessario all’uopo accertare la sussistenza di due requisiti, di cui uno soggettivo e cioè la natura non commerciale dell’ente ed uno oggettivo e cioè che l’attività svolta rientrasse fra quelle previste dal citato art. 7; non era quindi sufficiente provare che l’attività, cui l’immobile era destinato, rientrasse fra quelle esenti, dovendosi altresì provare che detta attività non venisse svolta in concreto con modalità proprie di un’attività commerciale; e la Commissione dell’unione Europea, pronunciatasi in ordine alle disposizioni che regolamentavano l’esenzione ICI, onde valutare la loro compatibilità con il trattato istitutivo dall’unione Europea, art. 107, paragrafo 1, con decisione del 19 dicembre 2012 ha stabilito che anche un ente senza fine di lucro può svolgere attività commerciale e cioè offrire beni e servizi sul mercato, con conseguente necessità di accertare che si tratti di attività svolta a titolo gratuito ovvero a fronte di versamenti del tutto minimi; sono pertanto irrilevanti ai fini tributari le finalità solidaristiche, che certamente connotano le attività didattiche svolta dall’ente anzidetto, occorrendo al contrario verificare se l’attività svolta da detto ente religioso fosse rivolta ad un pubblico indifferenziato ovvero a categorie predefinite di soggetti; se il servizio venisse offerto per l’intero anno solare; se la struttura funzionasse o meno come un normale istituto scolastico; quale tipo di tariffa venisse applicata e quale tipo di compenso venisse richiesto, se cioè esso avesse una qualche rilevanza ovvero fosse meramente simbolico.

La CTR ha accertato i suddetti requisiti argomentando che l’ente “svolge negli immobili di cui agli accertamenti del comune di Viterbo attività didattica paritaria rispetto a quella statale, non adotta discriminazioni nell’accettazione degli alunni, non chiude il bilancio con risultato superiore al pareggio economico, non distribuisce utili”. Ma non ha svolto alcun accertamento con riferimento alle modalità con cui veniva svolta in concreto l’attività didattica, vale a dire se a titolo gratuito ovvero a fronte di versamenti del tutto minimi. Secondo questa Corte, l’esenzione può trovare applicazione a condizione che sia dimostrato che l’attività in oggetto, di natura didattica, sia svolta con modalità non commerciali. E a fare il discrimine in questo caso è la retta (Cass. 18831/2020; n. 3369/2019; n. 2019/13787, in motiv; 24308/2019; Cass. n. 10754/2017; Cass. n. 10483 del 2016; n. 19773 del 2019; n. 13970 del 2016, massimate).

In particolare, questa Corte con sentenze n. 13970 dell’8 luglio 2016 e n. 24308/2019 ha precisato che, in tema di imposta comunale sugli immobili, lo svolgimento esclusivo nel cespite (nella specie, di proprietà di ente ecclesiastico) di attività di assistenza o di altre attività equiparate, senza le modalità di un’attività commerciale, costituisce il requisito oggettivo necessario ai fini dell’esenzione dall’imposta, prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), e va accertato in concreto, con criteri di rigorosità, seguendo le indicazioni della circolare ministeriale n. 2/DF del 2009 e, dunque, verificando, soprattutto, dell’importo delle rette, che deve essere significativamente ridotto rispetto ai prezzi di mercato, onde evitare un’alterazione del regime di libera concorrenza e la trasformazione del beneficio in un aiuto di Stato. Deve quindi concludersi, dando seguito all’orientamento di legittimità di recente espresso (Cass. n. 4066 del 2019); che l’esenzione prevista in favore degli enti non commerciali dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), è compatibile con il divieto di aiuti di Stato sancito dalla normativa dell’Unione Europea solo qualora abbia ad oggetto immobili destinati allo svolgimento di attività non economica nei termini sopra precisati: quando l’attività sia svolta a titolo gratuito ovvero dietro il versamento di un corrispettivo simbolico.

Così ricostruita la portata e l’efficacia del dato normativa applicabile alla fattispecie, deve concludersi che il giudice d’appello non ha fatto una corretta applicazione della norma; per tutte le annualità oggi in esame, non è stata correttamente valutata la ricorrenza del presupposta oggettivo per l’esenzione dall’ICI. Infatti, in conformità ai principi sopra indicati, si devono considerare irrilevanti – ai fini tributari – le argomentazioni con le quali la CTR ha ritenuto la sussistenza dei presupposti dell’agevolazione basandosi esclusivamente sull’atto costitutivo o sul regolamento interno dell’ente religioso. Alla luce dei criteri su richiamati, per escludere la natura economica delle attività svolta nell’immobile quale scuola paritaria è necessario un puntuale accertamento di fatto, condotto in termini rigorosi, volto a verificare la gratuità delle attività espletate ovvero che gli eventuali importi versati dagli alunni siano, per la loro entità, simbolici o comunque inidonei a costituire una retribuzione del servizio prestato in quanto notevolmente inferiori ai costi di gestione. Tale puntuale accertamento di fatto, va condotto in modo rigoroso, ispirandosi alle indicazioni contenute, pur se con riferimento a diversa fattispecie, in Cass., Sez. 5, n. 13970 dell’8 luglio 2016 e, dunque, verificando, in concreto, che le condizioni indicate nell’atto costitutivo siano state effettivamente poste in essere oltre ad accertare che l’importo delle rette fosse significativamente ridotto rispetto ai prezzi di mercato, onde evitare un’alterazione del regime di libera concorrenza è la trasformazione del beneficio in un aiuto di Stato. La sentenza impugnata non ha fatto buon governo dei principi ora enunciati, avendo riconosciuto il ricorrere dei presupposti dell’esenzione senza in alcun modo chiarirne le ragioni secondo i profili fattuali dell’attività svolta, laddove avrebbe dovuto accertare se le attività gestite fossero in concreto esercitate con modalità non commerciali nei termini sopra esposti.

7.1 Il nostro Ordinamento, poi, per sfuggire ad un assai probabile procedimento per infrazione, ha successivamente provveduto ad abrogare l’imposta comunale sugli immobili e ad introdurre un’imposta municipale unica (c.d. IMU) sulla componente immobiliare.

In particolare, è stato il D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale), all’art. 7, ad introdurre nel nostro ordinamento l’IMU a decorrere dal 2014 (art. 8), ed a confermare per essa le esenzioni previste per l’ICI dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. d) e i).

Peraltro, il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, (c.d. Salva – Italia), convertito in L. 22 dicembre 2011, n. 214, che ha modificato alcuni aspetti dell’imposta rispetto alla sua concezione originaria, ha poi ritenuto opportuno anticipare in via sperimentale l’applicazione della nuova imposta già a partire dall’anno 2012 (art. 13), senza comunque intervenire sull’esenzione per gli immobili di cui al ricordato D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. d) ed i), e, un emendamento del Governo ha introdotto nel D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, (c.d. “decreto-legge sulle liberalizzazioni”), poi convertito in L. n. 27 del 2012, l’art. 91 bis, che, con decorrenza dal 1 gennaio 2013, ha previsto ulteriori limiti all’applicabilità dell’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. i).

L’art. 91-bis, (rubricato Norme sull’esenzione dell’imposta comunale sugli immobili degli enti non commerciali) che come si è detto al comma 1, prevede una modifica del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), prevede che “sono esenti dall’imposta: i) gli immobili utilizzati dai soggetti di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87 (ora art. 73), comma 1, lett. c), e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonchè delle attività di cui alla L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 16, lett. a), (D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i).

L’esenzione dal tributo comunale (IMU), prevista dall’ordinamento italiano, è attualmente fruibile da parte di soggetti che soddisfino contemporaneamente due requisiti: l’uno soggettivo e l’altro oggettivo. Ai fini dell’esenzione, gli immobili gravati dal tributo, devono essere utilizzati direttamente da soggetti (pubblici o privati) che non abbiano come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, e ivi svolgano, effettivamente con modalità non commerciali, attività “assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonchè (quelle) di cui alla L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 16, lett. a)”. Con tale articolo, dunque, il legislatore ha riformulato l’esenzione (ora riferita all’imposta IMU di nuova introduzione), ponendo ai fini del suo godimento l’ulteriore requisito secondo cui l’attività agevolata deve svolgersi con modalità “non commerciali”. Pertanto, ai requisiti oggettivo e soggettivo già vigenti si affianca ora il riferimento alle concrete modalità di svolgimento dell’attività che deve svolgersi nell’immobile perchè l’esenzione possa applicarsi. Il decreto attuativo approvato dal Governo ha a sua volta chiarito che tali modalità sono quelle “prive di scopo di lucro che, conformemente al- diritto dell’Unione Europea, per loro natura non si pongono in concorrenza con altri operatori del mercato che tale scopo perseguono e costituiscono espressione dei principi di solidarietà e sussidiarietà”.

Il D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, art. 9, comma 6, (convertito, con modificazioni, in L. 7 dicembre 2012, n. 213, “Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonchè ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012”) ha poi aggiunto un ulteriore periodo al suddetto art. 91-bis, comma 3, prevedendo che con successivo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze siano stabiliti anche “i requisiti, generali e di settore; per qualificare le attività di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i), come svolte con modalità non commerciali”

Le condizioni necessarie per beneficiare dell’esenzione dono dunque attualmente le seguenti: 1) gli immobili devono essere utilizzati da enti non commerciali (medesimo requisito soggettivo); 2) devono essere destinati esclusivamente allo svolgimento delle attività tassativamente indicate (quelle assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive e di religione o culto); 3) le attività tassativamente indicate devono essere svolte con modalità non commerciali (novità); 4) se gli immobili sono utilizzati promiscuamente (vi si svolgono sia attività agevolate che attività non agevolate) è necessario operare un frazionamento catastale che renda unità immobiliare autonoma la parte di immobile utilizzata per le attività agevolate; se il frazionamento non è tecnicamente possibile, l’esenzione si applica in proporzione all’utilizzo agevolato (novità).

Il regolamento redatto da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze è il D.M. 19 novembre 2012, n. 200, ed ivi sono state stabilite le modalità e le procedure relative alla dichiarazione IMU, gli elementi rilevanti ai fini dell’individuazione del rapporto proporzionale, nonchè i requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività previste dal novellato D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), (decreto ICI) come svolte “con modalità non commerciali”.

Le modalità non commerciali sono definite dall’art. 1, lett. p), come “modalità di svolgimento delle attività istituzionali prive di scopo di lucro che, conformemente al diritto dell’Unione Europea, per loro natura non si pongono in concorrenza con altri operatori del mercato che tale scopo perseguono e costituiscono espressione dei principi di solidarietà e sussidiarietà”.

Il successivo art. 3, elenca i requisiti generali per lo svolgimento con modalità non commerciali delle attività istituzionali, che sono: “a) il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonchè fondi, riserve o capitale durante la vita dell’ente, in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge, ovvero siano effettuate a favore di enti che per legge, statuto o regolamento, fanno parte della medesima e unitaria struttura e svolgono la stessa attività ovvero altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa vigente; b) l’obbligo di reinvestire gli eventuali utili e avanzi di gestione esclusivamente per lo sviluppo delle attività funzionali al perseguimento dello scopo istituzionale di solidarietà sociale; c) l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente non commerciale in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altro ente non commerciale che svolga un’analoga attività istituzionale, salvo diversa destinazione imposta dalla legge”.

Il successivo art. 4, prevede ulteriori requisiti (speciali). In particolare, si afferma che lo svolgimento di attività didattiche si ritiene effettuato con modalità non commerciali se: a) l’attività è paritaria rispetto a quella statale e la scuola adotta un regolamento che garantisce la non discriminazione in fase di accettazione degli alunni; b) sono comunque osservati gli obblighi di accoglienza di alunni portatori di handicap, di applicazione della contrattazione collettiva al personale docente e non docente, di adeguatezza delle strutture agli standard previsti, di pubblicità del bilancio; c) l’attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso.

Ebbene, anche con riguardo alla debenza IMU, la CTR del Lazio ha motivato sulla sussistenza dei requisiti di cui al D.M. cit., artt. 3 e 4, affermando che il regolamento approvato riconosceva il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione; che si trattava di attività paritaria rispetto a quella statale; che i corrispettivi coprivano solo in parte i costi dell’effettivo esercizio, risultando ciò dal regolamento che vietava la distribuzione di utili o avanzi di gestione in favore dei soci e dei collaboratori.

Ma detto ultimo requisito non appare idoneo ad escludere la commercialità dell’attività svolta, atteso che l’importo delle rette deve essere significativamente ridotto rispetto ai prezzi di mercato, onde evitare un’alterazione del regime di libera concorrenza, soprattutto, in considerazione del fatto che detto accertamento va effettuato in concreto anno per anno.

La CTR avrebbe dovuto verificare che la retta pagata dagli alunni della struttura non costituisse un contributo inidoneo a coprire, per una parte significativa, i costi effettivi di gestione (Cass., sez. 5, 2173/2012, n. 4502), non potendo assumere rilievo la mera circostanza che la retta coprisse solo una parte dei costi (Cass. n. 14226/2015).

8. Sulla base delle considerazioni svolte, i criteri che la CTR ha ritenuto soddisfatti nel caso in esame, per quanto sopra evidenziato, non possono ritenersi idonei ad escludere la natura economica delle attività svolta nell’immobile destinato all’esercizio dell’attività didattica, essendo altresì necessario verificare la gratuità di tali attività ovvero che gli eventuali importi versati dagli siano, per la loro entità, simbolici o comunque inidonei a costituire una retribuzione del servizio prestato in quanto notevolmente inferiori ai costi di gestione. Tale ulteriore e puntuale accertamento di fatto, da condurre in modo rigoroso, non è stato svolto nella sentenza impugnata, la quale si è limitata a richiamare quale elemento di prova della concreta non distribuzione degli utili e del rapporto retta-costi, il solo regolamento approvato dall’ente.

9. Il ricorso va accolto con riferimento alla terza censura, respinta la prima e l’ultima e assorbita la seconda; cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR del Lazio, in altra composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte:

Accoglie il terzo motivo di ricorso, respinti il primo e l’ultimo e assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Lazio, in altra composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 8 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

 

 

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