Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28574 del 15/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 15/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 15/12/2020), n.28574

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7331/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t,. rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è

domiciliata, in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Fallimento della “(OMISSIS) s.r.l.”, in persona del curatore por

tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 20/01/11 della Commissione tributaria

regionale del Molise, pronunciata il 21 maggio 2010, depositata il 3

febbraio 2011 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 6 ottobre

2020 dal Consigliere Andreina Giudicepietro.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

l’Agenzia delle entrate ricorre con tre motivi avverso il Fallimento della “(OMISSIS) s.r.l.” per l’annullamento della sentenza n. 20/01/11 della Commissione tributaria regionale del Molise (di seguito C.t.r.), pronunciata il 21 maggio 2010, depositata il 3 febbraio 2011 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’Ufficio in controversia relativa alla impugnazione degli avvisi di accertamento e di rettifica per gli anni di imposta 1994 e 1995, con cui l’amministrazione aveva determinato maggiore imponibile, con conseguenti maggiori imposte, interessi e sanzioni;

secondo la C.t.r. gli atti impugnati erano privi di adeguata motivazione, in quanto facevano riferimento ad accertamenti compiuti nei confronti di soggetti terzi che non erano stati portati a conoscenza del contribuente;

inoltre, il giudice di appello riteneva che le dichiarazioni rese da P.P., titolare della ditta San Felice Confezioni Mafalda, in ordine alla falsità delle fatture emesse in favore della (OMISSIS) s.r.l., non fossero utilizzabili, perchè assunte in violazione del divieto di prova testimoniale, del principio dell’integrità del contraddittorio e del diritto di difesa;

il fallimento della (OMISSIS) s.r.l. è rimasto intimato;

il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 6 ottobre 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56, e dell’art. 156 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in riferimento al dichiarato difetto di motivazione degli avvisi;

il motivo è fondato e va accolto;

costituisce principio giurisprudenziale pacifico quello per il quale “in tema di motivazione degli avvisi di accertamento (nella specie, per INVIM), l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7), va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3: il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perchè ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione” (così Cass. n. 26683 del 18/12/2009; conf. Cass. n. 22118 del 29/10/2010; Cass. n. 7654 del 16/05/2012);

deve, quindi, concludersi nel senso che “in tema di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di allegare al relativo avviso gli atti indicati nello stesso deve essere inteso in relazione alla finalità “integrativa” delle ragioni che giustificano l’emanazione dell’atto impositivo ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 3, sicchè detto obbligo riguarda i soli atti che non siano stati già trascritti nella loro parte essenziale nell’avviso stesso, con esclusione, peraltro, di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur non facendo parte della motivazione, sono utilizzabili ai fini della prova della pretesa impositiva” (Sez. 5, Ordinanza n. 24417 del 05/10/2018);

nel caso di specie, la ricorrente ha ampiamente evidenziato, riportando la motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, che gli atti dallo stesso richiamati (in particolare il p.v.c. della G.d.F. del Comando di Tenenza di (OMISSIS), che analiticamente descrive tutte le verifiche effettuate) sono stati trascritti nelle parti necessarie ai fini della motivazione dell’atto medesimo e della sua piena comprensibilità per il contribuente ai fini dell’impugnazione;

ogni ulteriore allegazione avrebbe potuto essere utilizzata dall’Ufficio eventualmente a fini probatori, non già a fini motivazionali, in relazione ai quali l’onere è stato pienamente assolto con la loro puntuale trascrizione nelle parti rilevanti;

con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè erroneamente il giudice di appello avrebbe ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese dal terzo;

con il terzo motivo, la ricorrente denunzia l’insufficiente motivazione su di un fatto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consistente nella carenza motivazionale in ordine agli elementi su cui il giudice ha basato il proprio convincimento;

il motivo secondo motivo è fondato e va accolto, con conseguente assorbimento del terzo;

in via di principio, è opportuno precisare che “nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice” (Sez. 5 -, Sentenza n. 9080 del 07/04/2017);

il giudice di appello, quindi, non avrebbe dovuto ritenere tout court inutilizzabili le dichiarazioni rese dal terzo, ma avrebbe dovuto verificare se le stesse potevano assumere valenza indiziaria, considerate unitamente agli altri elementi evidenziati dall’Ufficio;

l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso impone la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio alla C.T.R. del Molise, in diversa composizione, affinchè decida anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. del Molise, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2020

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