Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28573 del 06/11/2019

Cassazione civile sez. trib., 06/11/2019, (ud. 31/05/2019, dep. 06/11/2019), n.28573

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19323-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERAIE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FRATELLI B. DISTILLERIE SRL elettivamente domiciliato in ROMA

PIAZZA GONDAR 22, Presso lo studio dell’avvocato ANTONELLI MARIA,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAGNANI

CORRADO;

– controricorrente

la sentenza n. 48/2012 della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata

il 24/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/05/2019 dal Consigliere Dott. LOCATELLI GIUSEPPE.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con la dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 1998, la società F.lli B. s.r.l. chiedeva il riconoscimento di un credito di imposta corrispondente all’imposta pagata all’estero in relazioni ai dividendi ricevuti dalla controllata argentina F.lli B. Desilerias Argentina; il credito veniva richiesto nella misura del 40% dell’ammontare dell’imposta versata in Argentina. Con successiva istanza del 22.12.2000 la società F.lli B., ritenendo di avere erroneamente richiesto il credito di imposta nella misura del 40%, anzichè per la totalità dell’imposta estera versata, presentava istanza di rimborso del rimanente 60% dell’Irpeg versata all’estero.

A seguito del silenzio rifiuto della Agenzia delle Entrate, la società F.lli B. proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Milano che lo accoglieva con sentenza n. 160 del 2011.

L’Agenzia delle Entrate interponeva appello, rigettato dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia con sentenza n. 48 del 24.4.2012. Il giudice di appello riteneva che, in presenza di una esposizione solo parziale della detrazione di imposta nella dichiarazione relativa all’anno di competenza, la previsione della decadenza stabilita dal D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, art. 15, comma 3, non precludeva al contribuente di richiedere successivamente il rimborso della eccedenza di imposta ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38.

Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione con unico motivo, deducendo: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 15, comma 3 (vigente ratione temporis); D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38: 12 e 14 disp. prel. c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Deposita memoria.

La società resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato.

1. In riferimento ai dividendi di fonte estera (corrisposti da società con sede in paesi extracomunitari), l’art. 96 TUIR, comma 1, vigente ratione temporis stabiliva che “gli utili distribuiti da società collegate ai sensi dell’art. 2359 c.c. non residenti nel territorio dello Stato concorrono a formare il reddito per il 40 per cento del loro ammontare”. L’art. 15 TUIR, comma 1, intitolato “Crediti di imposta per i redditì prodotti all’estero”, attribuiva al contribuente che ha indicato in dichiarazione redditi prodotti all’estero, la facoltà di portare in detrazione le imposte già versate all’estero sino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente. Ne consegue che la detrazione del credito d’imposta sui dividendi tassati all’estero spetta, ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 15 e art. 96-bis (nella formulazione applicabile “ratione temporis”) soltanto con riferimento a quella percentuale di dividendi esteri che concorre alla formazione della base imponibile in Italia, pari al 40 per cento in ipotesi degli utili percepiti da società con sede in paesi extracomunitari. (Sez. 5 -, Sentenza n. 18400 del 12/07/2018)

2. L’art. 15 TUIR, comma 3, testo vigente all’epoca dei fatti, stabiliva che la detrazione deve essere richiesta, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo. La espressa previsione del termine di decadenza per beneficiare della detrazione di imposta preclude che la richiesta di detrazione possa essere formulata nei periodi di imposta successivi; a maggior ragione è precluso che gli effetti della decadenza possano essere aggirati mediante ricorso all’istituto del rimborso disciplinato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, il quale presuppone l’inesistenza della obbligazione tributaria italiana, obbligazione che nella fattispecie era invece pienamente sussistente considerato che del precedente versamento di imposta aveva beneficiato il fisco estero e non l’erario nazionale, e che, successivamente, l’intervenuta decadenza dal diritto al credito di imposta per decorrenza del termine perentorio aveva determinato l’estinzione del diritto alla detrazione dell’imposta versata all’estero. In altri termini, il contenuto del diritto al credito di imposta in oggetto si esaurisce nella facoltà attribuita al contribuente di detrarre dall’imposta italiana una somma corrispondente all’imposta pagata all’estero, e non ammette l’opzione alternativa della richiesta di rimborso del credito, opzione neppure astrattamente configurabile allorquando, a causa della intervenuta estinzione -per decadenza- del diritto al credito di imposta, difetta il presupposto sostanziale dell’azione restitutoria D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38, costituito dalla eccedenza di imposta versata all’erario nazionale. Il Collegio pertanto aderisce all’orientamento giurisprudenziale secondo cui il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 15, al fine di evitare la doppia imposizione, nel testo applicabile “ratione temporis”, prevede che, se alla formazione del reddito concorrono redditi prodotti all’estero, le tasse ivi pagate sono ammesse in detrazione fino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente, a condizione, però, che la detrazione sia richiesta nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo in cui le imposte estere sono state pagate, con la conseguenza che, mancando tale richiesta, il contribuente non può chiedere, successivamente alla dichiarazione dei redditi, il rimborso dell’imposta pagata all’estero e poi nuovamente in Italia. (Sez. 5, Sentenza n. 6108 del 16/03/2011; Sez. 5 n. 18371 del 2005).

Tale orientamento delle Sezioni semplici è avvalorato dalla pronuncia delle Sez. U. n. 13378 del 30/06/2016), la quale, dopo aver affermato che, in caso di errori od omissioni nella dichiarazione resta fermo il principio che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria, ha cura di precisare (pag.6 motivazione) che “il principio della generale e illimitata emendabilità della dichiarazione incontra il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze”, nel caso di specie espressamente comminata dal citato art. 15 TUIR, comma 3.

Il ricorso deve pertanto essere accolto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo della società contribuente. Spese regolate come da dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della società. Compensa le spese dei gradi di merito; condanna la controricorrente al rimborso delle spese in favore della Agenzia delle Entrate, liquidate in Euro 13.000 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2019

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